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6 - La Repubblica Romana del 1849

aprile 1849

Il Generale Oudinot e Napoleone III

Il Generale Oudinot e Napoleone III

Gli avvenimenti dell'aprile 1849

17 APRILE

I primi a provocare l'intervento armato contro la Repubblica romana, benché rimasti poscia gli ultimi nel fornirne il contingente, sono stati, come vedemmo, i ministri di Spagna. I signor Fidal, nella tornata del 19 maggio, annunziava la partenza d'una spedizione armata per Civitavecchia. Tale spedizione, secondo il parlare del signor Fidal, non era un intervento, perché il governo spagnuolo abborrisce gli interventi. Il sentimento cattolico la guidava esclusivamente a proteggere il capo della Chiesa privato d'un trono che gli é necessario a poter liberamente esercitare la suprema podestà spirituale.
II ministero di Francia invece, in sulle prime, non fece parola né di religione, né di papato, né di chiesa; ma toccò di reazione ond'era minacciato il popolo romano, toccò dell'austriaco predominio in Italia necessariamente avverso all'interesse ed all'onore della Francia. Il Bonaparte, deciso d'intervenire a qualunque costo a Roma, permetteva che nei suoi dispacci il ministero parlasse delle cose nostre colla più crassa ignoranza, e condotto ad un falso passo sragionasse mirabilmente in famose note che resteranno nella Storia a perenne suo vituperio. Nel chiedere quel ministero il 17 aprile un supplemento di 1,200,000 franchi all'assemblea per la spedizione a Civitavecchia, assicurò di venire come per ottenere allo Stato romano un governo, non quale potevasi desiderare dall'Austria, ma fondato su liberali istituzioni: non intendere di rovesciare alcune delle Repubbliche esistenti in Italia, non essendo ciò concesso dalla vigente costituzione della Francia: solo accorrere perché vedeva Toscana e Roma minacciate da invasione austriaca, e come tutelarle senza la forza delle armi, massime dopo la disfatta del Piemonte a Novara? Non aver certo intenzione di difendere la Repubblica romana, ma neppure volerla attaccare: occorrere di occupare ad ogni costo Civitavecchia, non di marciare su Roma: colà sarebbero iti i Francesi quando li avesse richiesti la popolazione. Infine sulla parola d'onore dichiarava non doversi dalla spedizione appoggiare alcuna forma di governo respinta dal voto della maggioranza.
Emanuele Arago, mal soddisfatto dalle ambagi e dalle oscurità, dove aggiravansi i discorsi del Bonaparte e del suo ministero all'assemblea, sorse a richiedere il governo che si spiegasse aperto sullo scopo politico della spedizione: non doversi imporre
sagrifizi d'uomini e tesori alla nazione senza farle conoscere il perché. Gli rispose Odilon Barr'ot, scopo della spedizione essere di conservare alla Francia la sua legittima influenza nelle cose d'Italia, e mantenere saldi i diritti della libertà. Ledru-Rollin ragionò a lungo per mostrare che questa influenza la Francia l'aveva meritamente perduta in Italia, quando rimase spettatrice impassibile dei disastri arrecati dalle armi austriache alla Lombardia, alla Venezia e al Piemonte; né diede un soccorso a Messina, né un soccorso a Napoli mentre queste due città erano tempestate da una fiera grandine di bombe: l'aveva perduta quando non volle riconoscere gli inviati della Repubblica romana: l'aveva perduta quando sapendo che Napoli, Spagna ed Austria, erano convenute a Gaeta per rimettere in trono il Papa aveva aderito senz'altra condizione che quella di assistere anche essa coli' armi proprie a un atto cosi apertamente ostile alla sovranità del popolo. O ella dunque doveva intervenire a favore del popolo romano contro la ristorazione del Pontefice e apparecchiarsi alla guerra contro le altre potenze cattoliche, allora i 12 mila uomini della spedizione non bastavano; o ella interveniva pel vano orgoglio di mostrare che le altre potenze non riconducevano senza di lei il Papa a Roma, e allora la sua spedizione era in totale servigio del Papa contro il popolo; e i vincitori di Rivoli, di Lodi e di Castiglione erano umiliati al punto di diventare i soldati del Papa.
Levossi il generale Lamoriciòre, e come uno della commissione che aveva approvato come urgente la spedizione a Civitavecchia e il milione e dugento mila franchi di credito supplementario alle spese: « Se noi, disse, avessimo creduto che la Francia dovesse andare in Italia per agire in senso dell'Austria, noi non vi avremmo riferito alla tribuna il rapporto che avete udito. » E il ministro della giustizia, confermando i detti del generale, interruppe per soggiungere: noi saremmo colpevoli di avervelo proposto. « La Francia, continuò il generale, è stata colle altre potenze invitata dal Papa a Gaeta a soccorrerlo perché possa tornare a Roma. La Francia ha tosto spedito colà un suo inviato per sapere le deliberazioni che in proposito si prendevano a Gaeta. Fu deciso di ricondurre il Papa a Roma. La Francia si riserbo di consigliarsi coi suoi interessi e colle circostanze. Ciò accadeva mentre l'esercito dell'indipendenza italiana era sconfitto a Novara che può dirsi oggi il Vaterloo d'Italia. Ora la Repubblica romana cogli altri popoli dell'Italia centrale che avevano usato del loro diritto, ha dichiarato la guerra all'Austria, la quale essendo oggi riuscita vittoriosa può valersi del diritto di guerra. Napoli, Spagna e Russia le dicono: marciate su Roma: intronizzate il Papa. Voi sapete che ove l'Austria senza nostro concorso di sorta riconducesse il Papa a Roma ne seguirebbe una controrivoluzione compiuta, e allora non la sola Repubblica romana soccomberà, ma saranno anche perdute le istituzioni liberali, e la libertà d'Italia, e l'influenza colà della Francia.
Io penso dunque, e la maggioranza della commissione pensò che si debba consentire al ministero la somma che domanda, e autorizzarlo a far occupare Civitavecchia. Se dopo sbarcata la nostra spedizione l'Austria marcia su Roma per distruggervi la Repubblica e ristabilirvi col Papa la propria influenza, noi pensiamo che si debba fare abilità al governo d'inviare la spedizione a Roma acciocché vi salvi quanto può dal naufragio, se non la Repubblica romana, almeno la libertà e l'influenza della Francia in Italia. »
Allucinata l'assemblea da queste ed altre bugiarde promesse di salvare in Roma la causa della libertà, minacciata dalla invasione austriaca, concesse con 323 voti contro 283 la spedizione e i fondi richiesti. Intanto l'infinto Bonaparte ordinava al generale in capo della spedizione Oudinot tutto l'opposto di quello che si era dichiarato alla tribuna; perciocché in luogo di raccomandarseli la causa della libertà, gli prescriveva nelle istruzioni dovesse colFarmi aiutare quella del dispotismo.
Per Vienna, fatta vittoriosa a Novara, poteva e doveva per necessità di conservare il riconquistato dominio di Lombardia e di sfogare l'inveterato desiderio di vendetta spingere sul suolo romano i suoi battaglioni; chè sapeva ben ella aver quivi a fare con popoli irreconciliabili, e a temere anche non le insorgessero colle armi alle spalle, ove l'armistizio conchiuso con Torino per qualche inaspettato incidente non si fosse mutato in pace definitiva. Era poi anche necessità per lei di abbattere una Repubblica la quale, dopo caduto il Piemonte, restava unico Rappresentante in Italia del principio dell'indipendenza, e poteva e doveva farsi propagatrice acerrima di nazionale rivolgimento contro dell'Austria. Una medesima necessità consigliava re Ferdinando di Napoli ad aiutare l'invasione austriaca siccome il più minacciato sul trono dai principii di libertà che regnavano in Roma, i quali oltre ogni dire contristavano quella rea anima dispotica. Ma non era per alcun apparente pretesto giustificato il ministero di Francia di intervenire nelle cose di Roma, ostava l'onore della propria bandiera, ostava il rispetto alle istituzioni sancite, ostava la coerenza ai repubblicani principi. Il suo presidente però calpestava e onore e rispetto e principi repubblicani, che mai ebbe in cuore, per aiutare la causa dei preti e quella degli Ignaziani, alla cui Società era affigliato; in concambio dell'uccisa libertà italiana , egli avrebbe avuto tutto l'appoggio di quelle nere coorti e nel colpo di Stato del 2 dicembre 1851, e nella votazione per l'impero.

22 APRILE

Il 22 aprile, dai forti di Tolone e di Marsiglia sal^ pava su quattordici legni di guerra una divisione! francese, comandata dal generale Oudinot di Reggio. Il 24, l'avanguardo della flotta, fra cui la -fregata a vapore Panama, presentavasi nelle acque di Civitavecchia. La popolazione, la quale ansiosamente attendeva i Lombardi, capitanati da Avezzana, che si sapevano imbarcati nella riviera della Liguria, discese subito al porto per fare agli accorsi fratelli ovazioni votive. Ma anziché l'italiano vessillo scorgendo quello francese, gli animi di tutti rimasero sospesi. Il generale Oudinot mandava a terra il caposquadrone di stato maggiore Espivent de la ville Boisnet, suo aiutante di campo, il capitano di stato maggiore Durand de Villers, aiutante di campo del generale St. Jean d'Angely, e il segretario di legazione Latour d'Auvergne. Si presentavano i tre messi al preside della città, Michele Manucci, e a lui consegnavano un foglio del comandante la spedizione, in cui veniva detto che l'assemblea costituente francese aveva determinato di porre fine ali' anarchia sotto cui gemevano le popolazioni romane e di fondare un regolare stato di cose. Manucci, che aveva ordine di respingere colla forza qualunque aggressione, radunava, senza porre tempo in mezzo, i membri del Municipio, convocava le autorità militari, ed esposta la situazione in cui si trovava il paese, domandava se v'era il concorso di tutti per quella resistenza che veniva ordinata dal governo. Tutti furono dj avviso che la resistenza era impossibile. In quel mentre si faceva circolare in Civitavecchia un proclama. che il generale Oudinot aveva stampato a Marsiglia, in cui si racchiudevano espressioni ingiuriose contro la Repubblica romana. Quantunque firmato Oudinot, quel proclama era stato scritto dal ministro Barrot; in esso si magnifica vano i benifici di Pio IX, e si dichiarava non voler trattare con un governo non riconosciuto dalla Francia. Manucci chiedeva agli inviati come fosse fatto circolare quell'ingiurioso proclama; essi dissero nulla saperne, convennero che lo scritto poteva offendere i sentimenti dei Romani, vollero si riguardasse come non pubblicato , e con subdole arti cercarono mascherare lo scopo della spedizione. L' Espivent giunse persino a dichiarare in iscritto « essere intendimento del governo della Repubblica di Francia di rispettare il voto della maggioranza delle popolazioni romane, di non imporre a queste popolazioni forma di governo, che non fosse da essa desiderata: venire infine da amico nel solo scopo di mantenere la sua legittima influenza. » Manucci a queste dichiarazioni, chiedeva tempo a rispondere, e frattanto scriveva per nuove istruzioni al Triumvirato. Ma mentre avveniva quanto abbiamo narrato la popolazione di Civitavecchia , lusingata dai messi francesi, si prendeva a gridar pace; e, udito come il preside attendesse ordini da Roma, il mattino del '25 tumultuava così, che, consigliato anco dal Municipio, dalla Camera di Commercio e dalla Guardia Nazionale a risparmiare i danni d'una guerra, era mestieri a Manucci deliberare di non opporsi allo sbarco delle truppe francesi; tuttavia volle che il generale Oudinot confermasse le promesse del suo aiutante di campo. Egli le confermava non solo; ma si profferiva anco amico del preside, attestava il rispetto della Francia pel governo voluto dalla maggioranza, e formava per patto che il governo romano tenesse l'amministrazione della città, le sue truppe a presidio 'della fortezza, della darsena, dell'antemurale, soltanto le porte ed i quartieri presidiati da quelle francesi, rimanesse in armi la guardia civica, in autorità il Municipio: le due bandiere tricolori sventolassero unite sulle torri della città.

FELICE VENOSTA: ROMA E I SUOI MARTIRI (1849) - 1863

GARIBALDI E LA DIFESA DI ROMA

Gli avvenimenti dell'aprile 1849

5 APRILE 1849

Era chiaro che non vi sarebbe stato sinecura per i difensori del nuovo Stato. La Spagna, l'Austria e la Francia si contendevano con Napoli l'onore e il vantaggio di rinsediare il Papa, sebbene la nuova Repubblica che ogni potenza cattolica fornita di truppe sufficienti alla bisogna considerava suo dovere morale distruggere, non solo non giustificasse ingerenze diplomatiche di alcun genere, ma avesse issato nei suoi confini uno stendardo di libertà e di tolleranza interamente nuovo nella storia dei Governi minacciati di pericolo interno ed esterno. I reazionari che venivano riguadagnando terreno in ogni angolo d'Europa l'accusavano di terrorismo e di confisca. Il Mazzini si indignava al vedere che le loro false asserzioni eran strombazzate ai quattro venti dal Times, che dichiarava le mire e i metodi della Repubblica Romana identici a quelli dei « rossi » di Parigi, sebbene in realtà i suoi metodi per preservare lo Stato in tanto pericolo, facessero spiccato contrasto con quello dei vecchi giacobini francesi, e la sua legislazione, tutta individualistica e a favore delle classi povere, fosse basata su principi diversi dal socialismo francese del giorno. II seguente « Programma » pubblicato il 5 aprile dal Triumvirato, riassume fedelmente la teoria e l'azione del Governo :
« Non guerra di classi, non ostilità alle ricchezze acquistate, non violazioni improvvide o ingiuste di proprietà ; ma tendenza continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla fortuna »
Il partito clericale, noncurante della verità, proclamava all'Europa che i suoi nemici erano comunisti e socialisti, nomi allora odiosi alle classi abbienti quanto cinquant'anni prima quello di giacobino. « Chi non sa — scriveva il Papa nella sua Allocuzione del 20 aprile — che la città di Roma, sede principale della Chiesa, è ora divenuta, ahi ! una selva di bestie frementi, riboccante di uomini d'ogni nazione, o apostati, o eretici o maestri del comunismo e del socialismo? ». Ma la sola prova che gli opuscoli papali poteron produrre a sostegno dell'accusa di « comunismo e socialismo » dopo la caduta della Repubblica, fu il fatto incongruo che le ville Corsini, Valentini, Spada e Barberini eran state distrutte in battaglia (da cannoni non meno francesi che italiani), e che alcune altre case fuori delle mura eran state soppresse dal Triumvirato per facilitare la difesa militare della città. … Le funzioni della Chiesa erano libere e rispettate, i libelli contro i preti, soppressi, e i preti stessi protetti dal Governo. Non fu che dopo r intervento non provocato della Francia a sostegno dei clericali, che furono perpetrati due o tre delitti atroci su preti sospettati di dar aiuto allo straniero, ma l'azione delle autorità, l'esempio e l'esortazione continua del Mazzini, misero fine a quei delitti che altrimenti avrebbero potuto diventar contagiosi. Il Mazzini stesso era in religione eterodosso e mistico, ma la sua reverenza per tutte le religioni e la sua fiducia negli effetti della tolleranza, erano sincere e profonde. Aveva preso a motto del suo Governo : « Inesorabile verso i principi, tollerante e imparziale verso gli individui ». I nemici clericali e laici della Repubblica, che covavano complotti contro di essa dentro le mura della capitale stessa, godevano la protezione del Governo; il Mazzini sapeva cosa stavano macchinando e li lasciava fare deliberatamente. Governò lo Stato in tempo d'invasione straniera e di crisi interna, « senza prigioni, senza processi, senza violenza ». Questo, il Governo di « banditi » contro il quale il Re Bomba e i cattolici francesi marciarono in nome della moralità oltraggiata !
… Nel complesso, la popolarità della Repubblica aumentò fra le varie classi di mano in mano che le sue intenzioni e il suo carattere si delineavano più chiari. Nel peggiore dei casi, essa stava sempre per l'Italia, e per ogni repubblicano zelante si poteva contare su dieci buoni italiani. Una parte del clero, malgrado la scomunica del Papa, si stringeva intorno al nuovo Governo tollerante e nazionale; il mezzo ceto e gli artigiani si accendevano ogni giorno più di entusiasmo ; i contadini, in quella parte almeno dove l'influenza dei preti reazionari non era troppo forte, diventavano ligi, o cessavano dall'essere attivamente ostili ad esso; nella Romagna poi erano repubblicani a tutta prova. I trasteverini e altri abitanti di Roma si facevano sempre più contrari alla restaurazione del giogo clericale. Finalmente anche i capi partiti moderati delle classi più alte, quella primavera,— per quanto profondamente disgustati dalle violenze dei democratici nell'inverno decorso, per quanto alieni dalle idee su cui il Mazzini aveva fondato lo Stato, non poterono a meno di ammirare l'eroica resistenza opposta nel nome dell'Italia tutta, alla lega europea dei suoi oppressori.

GEORGE MACAULAY TREVELYAN
GARIBALDI E LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA