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23 - La Repubblica Romana del 1849

L'assedio di Roma parte 1

Vista generale delle operazioni dell'assedio di Roma dal London Illustrated News del 1849. In primo piano il campanile di Sant'Andrea delle Fratte del Borromini.
Vista generale delle operazioni dell'assedio di Roma dal London Illustrated News del 1849. In primo piano il campanile di Sant'Andrea delle Fratte del Borromini.

L'assedio.

Non è mio intendimento tessere la storia militare dell'assedio e della caduta di Roma. Altri e più sapienti e più in grado di conoscerla di me compierono già quest'importante lavoro. Io passai 20 giorni quasi continuamente a letto; quando però il nemico minacciava d'un attacco decisivo, e nelle varie sortite che il battaglione nostro ebbe a fare, io veniva avvisato da" miei amici e mi recava alla Porta, d'onde terminata la bisogna mi restituiva a letto a farmi curare.

Il giorno 4 Garibaldi ammaestrato, come egli stesso ebbe a dire, dalla triste esperienza del giorno antecedente, mutò sistema e non volle esporre più così inutilmente le vite preziose di tanti che componevano le truppe migliori. I Francesi non inquietati si occuparono subito di quei lavori di approccio che formano ora l'ammirazione di quanti li visitano, e cominciarono ad appostare le artiglierie ohe doveano battere in breccia i bastioni 6 e 7 colla annessa cortina.

Il cannone continuò solo nei giorni successivi a tuonare e con notevole danno del nemico il quale non potea nei primi di rispondere gagliardamente; per molti giorni fu una continua scaramuccia di piccoli corpi, destinati a proteggere i lavori d'ambo le parti, nella quale si ebbe ancor campo di ammirare il coraggio straordinario dei nostri soldati, che seppero più volte in piccoli scontri tener fronte e volgere in fuga la più agguerrita truppa del mondo.

In uno di questi, due compagnie del primo battaglione del reggimento dell'Unione, spintesi troppo innanzi a proteggere i lavoratori, si scontrarono in un grosso Corpo nemico, e vennero subito alle mani con sì grande ardimento, che dopo breve lotta l'ebbero respinto fin oltre le sue barricate, delle quali s'impossessarono. Le munizioni sventuratamente vennero a mancare, ma quei coraggiosi, dato di piglio alle pietre, continuarono la stranissima zuffa.

In quel punto assistemmo dalle mura ad un meraviglioso atto del capitano polacco Wern, il quale, slanciatosi sulla barricata e fatto bersaglio ai colpi spessissimi, non per questo si rimoveva di là, ma accennando colla mano alle molte decorazioni che gli ornavano il petto, e fra cui era la croce della Legion d'onore acquistata nelle campagne d'Africa, gridava forsennatamente al nemico vicino : " Làches ! canaille ! visez ici ! tirez sur la Croix de la Légion d'Honneur ! " Una palla gli colpiva la testa, ed il sangue che cadeva dalla ferita gli gocciolava sul petto e gli bagnava quella croce ; ed egli : " Plus bas ! ici ! tirez donc ! " Venne trascinato lontano e portato all'ospedale.

Ben vorrei narrare tutti gli atti eroici di quei giovani soldati i quali facevano ammirato lo stesso nemico ; ma l'esser io stato lontano in quei giorni dal combattimento mi fa meno atto a questo lavoro. E poi, perché appunto si facevano, non v'era ohi li narrasse; sendo che le gradassate sono prerogativa dei dappoco e dei vili, non mai dei gagliardi. Certo che in quel mese di pugna la legione Garibaldi, quella di Medici, composta tutta di giovani agiati ed educati, i Bersaglieri Lombardi ed i Bolognesi di Mellara posti sempre innanzi al fuoco, senza riposo, senza soccorsi, sostennero quasi essi soli l'urto prepotente ed ordinato dell'inimico. Ogni giorno ne cadeva buon numero, e molte dolorose perdite avemmo noi pure a deplorare, fra le quali dolorosissima quella del capitano Bartolomeo Rozat di Ginevra, che ferito sul petto il giorno 3, tornato il giorno 9 al suo posto, mentre la compagnia proteggeva dalle mura una sortita, salito in piedi sul parapetto, si mise a far fuoco con una carabina. Una palla gli portava via il cappello ed egli continuava imperterrito fin che un'altra entratagli nell'occhio destro lo gettava esanime a terra.

Tutti quei g'orni fu guerra più di cannoni che di moschetti. I Francesi continuavano con lentezza, ma al sicuro, i lavori d'approccio. Al loro sapientissimo Genio noi non potevamo opporre che pochi ingegneri civili e un battaglione di Zappatori ignorantissimo e male animato. Tentò Garibaldi in sulle prime di provvedere alla difesa con qualche sortita, ma queste per lo più andavano a vuoto per la vigilanza dei Francesi e l'inesperienza dei Volontarii che cominciavano le grida e le fucilate troppo da lontano, ne sapevano come si faccia a condurre siffatte imprese di guerra. Perlochè non si seppe trarre giovamento dal più utile mezzo di resistenza che abbia una città assediata, cioè disturbando i lavori e sgomentando con ardite scorrerie l'inimico. L'ardore ed il coraggio non venivano però meno nei soldati, e ad accrescerlo anzi contribuivano potentemente la fiducia in Lesseps e le voci che si andavano spargendo che la pugna avrebbe ben poco durato, e che ogni giorno per noi guadagnato equivaleva ad una vittoria.

Intanto passavano i giorni. I Francesi rincalzavano i lavori ; ogni giorno nuove batterie aprivano il loro fuoco contro i bastioni 6 e 7, ed aprirono infine due breccie a questi due bastioni a sinistra della porta S. Pancrazio. Queste vennero da noi fortificate alla meglio e presidiate da forte truppa. Noi ci avvedevamo tutti, che presa una volta qualche breccia e coronatala, non v'era più da sperare che nelle novelle di Francia. Il nostro valore, inferiore per la disciplina al francese, sarebbe allora divenuto inutile.

Nella notte del 21 stava a guardia del bastione 6 il secondo battaglione del reggimento l'Unione. Tutto era tranquillo. Il tenente colonnello Rossi, a cui incombeva quella sera la ronda maggiore, trovava colà ogni cosa in ordine, i soldati al loro posto, il silenzio profondo. Continuava la ronda fino alla vicina porta Portese. Nel ritornare presso alla breccia si sente arrestare dal qui vive? della sentinella. Come i Romani pure usano in fazione: l'alt! qui vive, egli rispose, scambiò la parola d'ordine e fece per proseguire: quando si vide arrestato e dichiarato prigioniero. Che cosa era mai avvenuto? Nello spazio di mezz'ora i Francesi avevano occupato la breccia, non come cosa nemica ma come si muta in una piazza la guardia. Non fu scambiato un colpo di fucile, non isparsa una goccia di sangue. Le sentinelle s'erano date alla fuga; i picchetti addormentati s'erano trovati desti dal nemico che scuotendoli in silenzio loro ingiungeva di ritirarsi precipitosamente in salvo ; e ben si può immaginare che maravigliati, atterriti, non se lo fecero dire due volte. Il più inesplicabile mistero avviluppa quel fatto ; si sospettò un tradimento. Le sentinelle interrogate risposero che i Francesi eran sórti di sotterra, e avean loro imposto di fuggire.

Questa concorde asserzione non fece che impacciare vieppiù i giudici. Si vociferò da ultimo che i Francesi eran venuti in cognizione d'una porticina segreta che per mezzo d'un corridoio sotterraneo dal piede esterno delle mura adduceva in città. Per questa via essi eran surti d'improvviso nel cuor della notte in mezzo alle spaventate sentinelle che vedendosi d'ogni parte avviluppate cedettero senza resistenza. Nella stessa notte il bastione n. 7 e la cortina che l'unisce col 6 caddero dopo energica resistenza in mano ai Francesi.

Fu terribile il senso che fece in città questa notizia. I Francesi dominavano di là il nostro campo, e quando vi avessero potuto mettere cannoni, noi eravam rovinati. Essi cominciarono subito a fortificarsi.

Intanto fra i Generali romani eran diversi i pareri. Roselli voleva che si montasse subito all'attacco, e si cercasse di riprendere alla baionetta la perduta posizione. Garibaldi, più consapevole dello sgomento che erasi quella mattina introdotto perfino nei migliori che già dubitavano di tradimento e vedevano finita ogni cosa, si opponeva con calore.

Furono spese in vani dibattimenti le ore più preziose. Venne la sera. I Francesi avevano già coronata la breccia, e l'impresa diventò impossibile. Da quel punto noi tutti vedemmo perduta a fortuna di Roma. Benché tenute con ogni cura nascoste, le notizie di Francia cominciavano a circolare fra noi ; e i più cominciavano a dimandarsi — Perché andiamo ancora combattendo?

L'onor delle armi era salvo; ed ogni piazza può arrendersi con onore quaudo la breccia è in mano al nemico, e non avvi alcuna speranza di esterno aiuto. Se noi da un mese continuavamo a difenderci contro il Corpo spedizionario, non era perché fossimo si presontuosi da credere che Roma potesse resistere a tutta Francia ; ma solamente perché scorgendo sì stranamente falsato lo scopo della spedizione, noi speravamo con una vigorosa resistenza di far chiaro qual fosse lo spirito della popolazione, e ricondurre il Governo francese a più giuste e benevole intenzioni. Ma quando l'Assemblea confermò al generale Oudinot le istruzioni che gli ingiungevano di entrare in Roma a qualunque costo, ed a Lesseps fu intimato di giustificare la propria condotta, quando ogni speranza cadde col fatto del 21, e i soldati cominciarono a guardarsi in viso chiedendo a che giuoco giuocavano, e Garibaldi stesso declinò la propria responsabilità; perché il governo, per meglio dire Mazzini, volle continuare la lotta disperata? Perché facevansi circolare il 22 sera falsi bullettini portanti strepitosi mutamenti nel Governo francese?

Io ho fra le mani una lettera che Mazzini scriveva a Manara il 22, e che Manara stesso dietro mia domanda allora mi diede. Io voglio qui metterla per intiero, per far chiaro, che anch'egli sapeva, e meglio d'ogni altro, come stavano le cose, e che se volle persistere nella difesa lo fece per non so qual sentimento, di cui avrà a render conto terribile a Dio e a quegli uomini che rimpiangono tante vite inutilmente gettate. — Eccola:

22 giugno, ore 6 e 1/2, pom. Cittadino Colonnello. Odo la determinazione del generale Garibaldi di non realizzare l'assalto promesso per le cinque. Deploro altamente questa decisione e la credo funestissima al paese.

Bisognava assalire questa notte, mezz'ora dopo salita la breccia.

Se non si poteva, perchè nella notte lo spirito della truppa noi concedeva, bisognava mantenere l'accordo fatto con Roselli, alle 5 e 1/2, della mattina: assalire allora. E dacché s'era commesso l'errore di non assalire all'ora prefissa, bisognava assalire alle cinque del dopo pranzo, come s'era nuovamente promesso. Domattina l'attacco riescirà impossibile: l'artiglieria nemica sarà collocata.

Il sistema è adunque interamente cangiato, permettetemi il dirlo, rovinato. Nelle nostre circostanze non si fa difesa senz'assalto.

Stamane mi si fece suonare a stormo, suscitare il popolo, poi sospendere e cadere in un gesuitismo di spiegazioni che ammazza l'entusiasmo.

Questo dopo pranzo il popolo s'era fanatizzato; 2000 popolani erano pronti ad aggiungersi alle nostre forze, numericamente sufficienti a prender il Casino, e quanto si esige. Un'altra immensa moltitudine veniva in seconda linea.

Deluso una seconda volta il popolo, si convincerà che abbiamo paura, e avrà paura esso pure. La parte avversa se ne prevarrà Un municipio o altro verrà fuori alla prima seria minaccia e rifaremo Milano.

Voi non avete ora lavoranti né materiale. Quaranta giorni di lavoro hanno esaurito la vitalità operosa del popolo.

Noi non avremo presto carne, né polvere, ne farina. Considero Roma come caduta. Dio voglia che il nemico osi e assalga egli; avremo, se presto, una bella difesa di popolo alle barricate; v'accorreremo tutti. Più tardi non avremo nemmen quella.

Ho l'anima ricolma d'amarezza da non potersi spiegare. Tanto valore, tanto eroismo perduti !

Badate ; ho la vostra, relazione, non parlo a voi ; vi stimo e comincio ad amarvi. Giuro che voi pensate come io penso, e con voi Roselli, calunniato da molte parti, e i buoni dello Stato Maggiore.

A me rimarrà la sterile soddisfazione di non apporre il nome mio a capitolazioni che io prevedo infallibili. Ma che importa di me? Importa di Roma e dell'Italia.

Vostro

Gius. Mazzini.

Mostrate pure questa, lettera al Generale.

Mazzini il 22 giugno considera Roma come caduta, deplora tanto valore e tanto eroismo perduti, prevede capitolazioni infallibili. Se egli era convinto di ciò, perché fé' durare ancora otto giorni l'inutile carnificina? Perché queste sue savie paure non lo indussero a chiarire al popolo il vero stato delle cose?

Cominciò da quel giorno uno stadio per noi tristissimo di sconfortanti pericoli e d'inutile coraggio. Manara e i buoni si rinfervoravano coll'entusiasmo di chi cerca acciecarsi per non veder dove deve finire, e molti si facevano pensosi; i soldati erano disanimati benché ancora risoluti ad obbedire. Tutti prevedevano un prossimo tristissimo fine alle comuni speranze; ma l'onor militare c'impediva d'essere i primi a mostrar prudenza, quando chi era incaricato della somma delle cose faceva ad ogni momento pompa d'eroismo e non parlava che di seppellirsi sotto le rovine della città minacciata. Il nemico giungeva la mattina del 24 ad armare quattro cannoni sulla cortina che unisce i bastioni 6 e 7, ma questi dall' incessante e maraviglioso colpire della nostra batteria di S. Pietro in Montorio furono costretti a tacersi, e vennero rimessi per dar tempo al genio di fare lavori che più resistessero.

Intanto stavasi da noi fortificando alla meglio una seconda linea formata dall'antico ricinto Aureliano, che stendesi in semicerchio, duecento passi circa in dentro dei bastioni. Si riordinavano le batterie, si tentava, mercé buone disposizioni introdotte nel turno di servizio da Manara (molto fortunatamente nominato, dopo la morte del colonnello Daverio, capo di Stato Maggiore) a risparmiare i Corpi scelti da troppe continue fatiche, e si prolungava così di giorno in giorno quella difesa che ci lasciava meravigliati la sera di non essere ancora assaliti e circondati, ma che ci facea prevedere prossimo ed inevitabile un attacco che la nostra posizione e lo spirito de' nostri poveri soldati rendevano per noi indubitatamente terribile.

La brava legione Medici occupava ancora il Vascello e (cosa mirabile) i casini circostanti di cui alcuni erano a pochi passi dalla breccia occupata.

Da questi era vivissimo lo scambiarsi delle fucilate col nemico, e gli assalti e le disperate difese. Era spettacolo maraviglioso il vedere quei giovani volontari, avvezzi fino allora a pacifici studii ed agli agi delle loro famiglie, resistere giorno per giorno senza speranza di soccorso a quei valorosi Francesi cbe mostravansi ben degni della loro fama. Alcuni giovani milanesi avendo troppo ardito spingersi nel casino Barberini che sta precisamente di fianco alla breccia, furono da molti nemici, celati nelle cantine, assaliti e circondati, e quasi nessuno ebbe scampo. Caddero dopo la più ostinata resistenza, e il pittore Induno riceveva 25 colpi di baionetta. Alcuni coraggiosi, corsi per levarne il cadavere, lo trovarono ancora vivo, e curato all'ospedale pervenne a ristabilirsi pienamente. Il Vascello rovinava il giorno 26 sotto l'incalzare delle cannonate nemiche, e nella sua caduta seppelliva sotto una ventina d' infelici ; ma non per questo il valorosissimo Medici cadeva quella contrastata ed importante posizion , che anzi fattosi baluardo delle macerie continuava a tenere in rispetto gli imbaldanziti Francesi e a difendere co' suoi pochi la porta ed i bastioni.

Il 27 mattina dodici pezzi venivano allogati sulla breccia. Fu spaventoso allora il piover della mitraglia e delle bombe. Villa Savorelli, quartier generale di Garibaldi, che si era fino allora preso sollazzo a mostrarsi sulla più alta torretta senza riparo di sorta, rovinava dalle fondamenta; San Pietro in Montorio, Palazzo Corsini e tutte le case adiacenti venivano pure miseramente bersagliate. Il popolo di Trastevere si mostrò in quella circostanza pieno di risolutezza e di coraggio. Il Governo aveva messo a disposizione dei danneggiati i palazzi cardinaleschi; e le famiglie che non avevano più tetto, ricoveravano nelle ricche saie. Le altre restavano tranquille e fidenti nei minacciati casolari. Non un lamento, non un grido, non uno che domandasse la resa. Solamente quando si sparse la voce in città, che Garibaldi aveva abbandonato il suo posto per una contesa avuta col Generale in capo, e ricoverava in città, fu immenso il clamore che lo richiamava alle mura. Manara corse a scongiurarlo, e quell'intrepido soldato ritornò alla porta fra gli applausi di tutta la popolazione.

In quel pericolo incalzante quasi tutti i feriti leggermente ritornarono ai loro Corpi ; ed io vidi in quei solenni momenti atti degni di un esito più felice. La 7ª nostra compagnia destinata ad innalzare ripari là dove più fulminava l'artiglieria nemica, fatta bersaglio a colpi terribili, continuava tranquilla nel lavoro e lo compiva, resa mezza pei caduti, ma non perduta d'animo. Molti caddero nel togliere la terra che dai muri rovinati avrebbe fatto facile l'ascesa; moltissimi alti nel voler strappar la miccia alle bombe. Queste facevano grande strage fra noi e gran danno e terrore nella città, dove cadevano frequenti e rovinose. Le batterie romane erano soffocate quasi dal tempestare dei proiettili nemici; agli artiglieri caduti si sostituirono soldati di linea; e continuarono esse, finché un pezzo restava in piedi, il loro fuoco, oggetto d'ammirazione a tutto il campo nemico. Il quartier generale aveva ricoverato a Villa Spada, e là si andava attivando colla più grande sollecitudine ogni possibile mezzo di difesa.

In poche ore il nemico aveva aperto molte breccie al recinto Aureliano e al bastione n. 8, che fino a quel punto aveva paralizzato gli effetti della presa delle altre due breccie ; non era eccezione un pezzo di muro caduto ed una fossa colmata, ma bensì quei ripari che ancora resistevano all'urto delle artiglierie. Il servizio era divenuto faticosissimo, ed avvenne che più d'una delle nostre compagnie restò di fazione ad un posto che richiedeva metà degli uomini in sentinella per 72 ore, e altri due giorni e tre notti continue. I nostri ufficiali raddoppiavano di zelo e di coraggio; non una in quei difficili momenti mancò un minuto solo al proprio dovere.

Il capitano Ferrari, il capitano Bronzetti, il luogotenente Mangiagalli, facevano nel medesimo tempo da soldati e da ufficiali superiori. Comandavano i posti più pericolosi, dirigevano i lavori e le arrischiate spedizioni, pronti sempre alle fatiche e all'ardimento.

Il secondo in ispecie veniva incaricato del comando di quattro compagnie e della difficile difesa di un casino posto sul bastione n. 8, la quale si compieva col più grande senno e coraggio, finche per gli eroici stenti sofferti cadeva gravemente ammalato, cosa che non lo impediva di prendere una parte brillante al combattimento del giorno 30. Manara era ammirabile per assennatezza, per valore e per istancabile previdenza. Pareva che ognuno volesse in quei giorni estremi illustrare colle proprie azioni la gloriosa caduta di Roma e mostrarsi superiore agli infelici destini di quella sventurata e nobile terra…..

I Volontari ed i Bersaglieri Lombardi

ANNOTAZIONI STORICHE - EMILIO DANDOLO - SOCIETÀ EDITRICE DANTE ALIGHIERI - ALBRIGHI, SEGATI & C. - 1917