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26 - La Repubblica Romana del 1849

30 giugno parte 1

La difesa di Porta San Pancrazio delle truppe di Garibaldi dall'attacco dei francesi.
La difesa di Porta San Pancrazio delle truppe di Garibaldi dall'attacco dei francesi.

L'ULTIMO ASSALTO, 30 GIUGNO — CADUTA DI ROMA.

— Perché viva la patria, oggi si muore. — CARDUCCI: Ça ira.

Noi dobbiamo morire per chiudere con serenità il quarantotto .... Affinché il nostro esempio sia efficace, noi dobbiamo morire.

LUCIANO MANARA, in una lettera da Roma, 1849. (Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, pag. 168).

La fine era vicina. L' artiglieria francese usciva vittoriosa dal duello così valorosamente sostenuto da ambo le parti per più di una settimana. Le batterie romane erano quasi « soffocate sotto la tempesta dei proiettili nemici », i parapetti lungo la linea delle mura Aureliane non eran più che mucchi informi di terra, e sulle mura propriamente dette della città, la breccia del Bastione scendeva con lento declivio dalla casa Merluzzo alla strada esterna, dove a pochi metri di distanza si erano trincerati gli assalitori.

L' Oudinot aveva scelto la notte dal 29 al 30 giugno, festa di San Pietro e Paolo, per l'assalto finale. Nella prima parte della notte, la città celebrò la festa alla romana appendendo lampioncini accesi alle finestre e accendendo razzi nelle strade — funzioni a cui quel popolo mobile come argento vivo, non voleva rinunciare neanche quando nereggiava sul suo orizzonte l'ombra di una sciagura imminente. Il Triumvirato aveva dato il suo appoggio ufficiale a quegli innocui circenses, e la cupola di San Pietro era smaltata da una profusione di colori. Gli ufficiali francesi che, ritti alla testa della massa scura delle loro colonne, aspettavano il segnale per salir sulla breccia, potevan vedere sotto a loro la città rosseggiante, « come una gran fornace quasi estinta e pur circondata da un'atmosfera di fuoco ». Tutt'a un tratto, i cieli si squarciarono irati, e un diluvio di pioggia si rovesciò sui figlioli disubbidienti del Papa, estinguendo i loro ultimi e meschini fuochi di gioia. Cessato l'acquazzone torrenziale, una sola fiammella dalla cima della gran cupola di San Pietro gettava ancora qualche guizzo nelle tenebre fìtte, quasi ammiccando i crociati all'assalto Q).

GÌ' italiani sul Gianicolo però, non avevano l'animo disposto ai passatempi fanciulleschi con cui i loro compatriotti si divertivano laggiù. Degli uomini al comando di Garibaldi ne rimanevano appena poco più di quattromila. Le riserve erano appostate sul Colle Pino e a San Pietro in Montorio ; da qui alla Porta Portese per tutto Trastevere, si allineavano le truppe ; la Villa Spada mezza diroccata ma sempre usata come quartiere generale, era ancora saldamente tenuta dal Manara e da una parte dei suoi Bersaglieri ; la batteria presso alla Porta San Pancrazio era affidata alla Legione Garibaldina e ai superstiti della cavalleria del Masina, a piedi e armati di lancie per la pugna corpo a corpo. Finalmente sotto un rovescio acciecante di pioggia e di bombe un distaccamento di Bersaglieri fu spedito sul bastione Merluzzo a difender la casa e la breccia. « I poveri tiratori, con il fango fino al ginocchio, atterrati dalle bombe che cadevano fitte e fatali, occuparono il posto loro assegnato, silenziosi e scoraggiti ». Li guidava un ragazzo, il tenente Morosini, forse il più amato di tutti i giovani lombardi di quel reggimento : « Non arrivando ancora ai diciott' anni, egli era l'esempio, la meraviglia di tutto il battaglione per la sua angelica e simpatica bontà. Più fanciullo di tutti noi era quasi nostro mentore, e noi lo chiamaci vamo l'angelo nostro custode — tanta era l'illibatezza verginale della sua condotta e la severità inalterabile dei principi suoi, eh' egli cercava con una forza di cui spesso difettano le anime più elette, di mantenere incontaminati negli amici suoi ».

Il lungo indugio all'attacco causato dal temporale, teneva tanto una parte che l'altra in una sospensione intollerabile. Alla fine — erano passate le due dopo mezzanotte — le colonne francesi furono sguinzagliate. La pioggia era cessata, ma faceva buio pesto. Con il valore impetuoso e pur ordinato che aveva segnalata la loro condotta in tutto l'assedio, i francesi corsero sulla breccia sotto le fìtte cariche dei Bersaglieri, s'avventarono sulla Casa Merluzzo e dopo un aspro conflitto sopraffecero i difensori del Bastione. Il Morosini ferito gravemente, fu portato via nelle tenebre verso la Villa Spada da quattro dei suoi uomini. Intanto una seconda colonna francese staccata dal Bastione Centrale preso dieci giorni avanti, procedeva al di qua delle mura lasciandosi la Casa Merluzzo alla sinistra, e arrivata sotto le mura Aureliane le attaccava alla punta della baionetta (Vedi la carta). Una volta dentro la linea di difesa, questa colonna ubbidì ammirabilmente gli elaborati ordini ricevuti, malgrado il buio e la confusione di quella notte. Una parte girò a destra scantonando il fianco delle trincee lungo le mura Aureliane e fece impeto sulla Villa Spada, mentre l'altra avanzò sulla sinistra alla presa della batteria della Porta San Pancrazio i cui cannoni dominavano Casa Merluzzo, caduta allora allora in mano alla prima colonna francese. La seconda colonna così penetrata nella linea di difesa, aveva l'ordine di non dar quartiere, e l'ordine fu rigidamente ubbidito O. I quattro Bersaglieri che trasportavano il Morosini alla Villa Spada incapparono in essa e non fu tenuto alcun conto dei loro tentativi di resa.

« Trovandosi circondati e minacciati nella vita dal nemico inferocito dalla pugna, avevano deposta la barella e tentato di salvarsi ; allora, memorabile a dirsi, fu veduto quel povero giovinetto alzarsi, ritto sulla barella insanguinata e, posto mano alla spada che gli giaceva a lato, continuare già morente, a difendere la propria vita, finche colpito una seconda volta nel ventre, ei cadde di nuovo. Commossi a tanto e sì sventurato coraggio, quei Francesi lo raccolsero e portarono all'ordinanza di trincea ».

Ivi egli languì per un giorno e morì, commovendo i nemici fino alle lacrime e impressionandoli come aveva impressionato sempre tutti quanti lo avevano veduto, per quelle rare qualità di santo che sono in ogni tempo eredità naturale di qualche compatriotta di San Francesco. L' Oudinot stesso intenerito, raccontò queste cose in una lettera alla madre del Morosini che era stato teneramente devoto a lei e alle sorelle. Quando l'avevano sollecitata a non lasciarlo andare alla guerra ella aveva risposto : « Dò al mio paese tutto il meglio che possiedo, il mio unico e adorato figliolo » . Ne aveva stipulato per il suo ritorno. « In tali madri risorse l'Italia ». Il distaccamento francese che aveva dato il colpo finale al Morosini caricò al di qua delle trincee, cacciandosi avanti tutti gli italiani che stavano alla guardia di quelle, fino a che inseguitori e inseguiti si scagliarono contro il cancello della Villa Spada. Il Manara e i suoi uscirono alla difesa, ma non potendo discernere i nemici dagli amici a causa dell'oscurità, sospesero la scarica fino a che l'Hoffstetter potè distinguere a pochi metri le spalline dell'uniforme francese ; allora i Bersaglieri fecero fuoco con effetto terribile e gli assalitori indietreggiarono . Garibaldi stesso non era più nella Villa Spada. Al primo allarme era balzato in piedi e si era lanciato fuori con la sciabola in mano gridando : « Orsù ! questa è l'ultima prova ». C'era bisogno di lui là fuori ; il primo urto della colonna francese aveva messo in fuga molti italiani che scorrazzavano qua e là nel buio, pazzi di terrore, mentre altri continuavano a tener fermo disperatamente in piccoli gruppi, presso il bastione Merluzzo e davanti alla villa Savorelli. A questo punto, quando una catastrofe vergognosa si faceva più che probabile, Garibaldi seguito da pochi valorosi si scagliò a capofitto sui francesi vittoriosi e pose argine al loro progresso : i fuggitivi ispirati dalla presenza del loro capo, tornarono sui loro passi e « l'ultima prova » fu degna dell'assedio di Roma. « Vidi Garibaldi » scrisse Emilio Dandolo, « spingersi innanzi con la spada sguainata e cantando un inno popolare ». Nel folto della mischia egli cantava e fendeva colpi con la sua pesante sciabola di cavalleria che fu vista grumosa di sangue il giorno dopo. Dietro a lui le camicie rosse incalzavan l'urto. Sulla strada davanti alla villa Savorelli e sulla batteria della Porta San Pancrazio, italiani e francesi si azzuffavano corpo a corpo con furore primitivo.

Neil'ultima ora di tenebre avanti l'alba, tutto il tratto dal Colle Pino alla Porta era una massa ondeggiante d' uomini che si ammazzavano a colpi di baionetta, di calcio di fucile, di lancia e coltello, al grido di « Viva l'Italia » « Vive la France ». La cavalleria di Bologna, i camerati del Masina, sopravissuti a lui ma per poco, si batterono a piedi fra i cannoni della batteria fino a che perirono quasi tutti. Il giorno dopo, i generali francesi ammirati e impietositi, videro il suolo coperto dei pennoni rossi delle lancie ancor strette nel pugno dei caduti .

Su questa scena sorse l'alba dorata ; là come sempre nella freschezza mattutina s' ergevano ancora il Soratte, il Lucretile e il monte Albano. Ai primi albori gli italiani rioccuparono la linea delle mura Aureliane e la strada davanti alla villa Savorelli , ma i francesi con la loro mirabile prontezza in cose d' ingegneria, si stavano già fortificando intorno alla casa Merluzzo. Così, di primo mattino e alle strette, continuò incessante e furioso un fuoco di cannoni e di moschetti rotto soltanto da spasmodiche cariche alla baionetta . Le batterie francesi del Bastione Barberini e del Centrale come del poggio Corsini, ricominciarono a bombardare la Villa Spada e la Savorelli, mentre dal bastione occupato di recente, il fuoco della fanteria spazzava le linee italiane. ì cannoni degli assediati, eccetto alcuni pochi dal colle Pino, tacevano tutti, quasi tutti rovesciati fra i cadaveri, con le ruote spezzate ; la batteria della Porta San Pancrazio era nelle mani del nemico . Vedendo che la Porta poteva esser presa ad ogni istante, Garibaldi finalmente richiamò il Medici e i suoi valorosi compagni dalle rovine del Vascello che l'esercito francese non era riuscito a prendere per assalto. Il Medici e i suoi si ritirarono in Roma senz'esser molestati, in perfetto ordine : eran così poco avviliti che ebbero la prima parte in una felice difesa della villa Savorelli e del bastione settentrionale dietro ad essa, in cui il nemico aveva aperto una breccia ma a cui ora dava l'assalto invano .

Ma gli sforzi principali dei francesi in quella mattina del 30 giugno furono rivolti a obbligare alla resa la Villa Spada, e fu tra le pareti di questa che si svolse la tragedia del Manara e dei suoi Bersaglieri. L' ultima scena nella villetta dovrà sempre esser descritta nelle parole di Emilio Dandolo, che sebbene non ancora guarito della grave ferita del 3 giugno , prendeva sempre parte alla difesa :

« Villa Spada era circondata; noi eravamo stati costretti di rinchiuderci dentro, barricare la porta e difenderci dalle finestre. Le palle di cannone cadevano frequenti devastando e uccidendo ; entravano dalle sgangherate finestre le palle dei Chasseurs de Vincennes e ben di rado fallivano la meta. E terribile il combattere dentro una casa dove ogni parete può rimandare di rimbalzo una palla, dove, se non colpisce il cannone, le pietre che rovinano possono schiacciare, dove l'aere s' impregna di fumo, di polvere, i gemiti dei feriti si fanno udire più forti, il pavimento insanguinato sdrucciola sotto i piedi e l'intiera casa vacilla sotto l'urto crescente delle cannonate.

« Già da due ore durava questa difesa. Manara si aggirava continuamente per le camere onde rianimare colla presenza e colle parole i combattenti. Io lo seguivo coli' animo angosciato, non avendo alcuna notizia di Morosini. Una palla di rimbalzo mi ferì al braccio destro. « Perdio ! sclamò Manara che mi stava presso, hai sempre da esser tu il ferito? io non devo portar via nulla da Roma? » .

Pochi minuti dopo egli stava guardando col cannocchiale dalla finestra alcuni francesi che stavano appostando un cannone, quando un colpo di carabina lo passò da parte a parte. Fece tre passi poi cadde bocconi senza che io col braccio che mi rimaneva sano potessi sostenerlo. — Son morto; mi disse egli cadendo, ti raccomando i miei figli. — Accorse il medico; io lo interrogavo ansiosamente collo sguardo e nel vederlo impallidire perdetti ogni speranza. Fu posto sopra di una barella, e per una finestra rovinata, cogliendo un momento di quiete, ci gettammo nella campagna ». Pure anche quando il loro capo fu portato via a morire altrove, i Bersaglieri continuarono la difesa della villa fino a che tutti o quasi tutti quelli che vi eran dentro oltre l'Hoffstetter e il Dandolo, furono feriti.

Finalmente, quando le munizioni cominciavano a mancare, Garibaldi guidò i suoi Legionari e parte del reggimento di linea del Pasi a un' ultima disperata carica contro le posizioni francesi. Eran freddi colpi di lama come la notte avanti, e ancora una volta Garibaldi stava alla testa spargendo la morte con la spada, offrendosi ai colpi e rimanendo illeso contro ogni probabilità .

Era impossibile far sgombrare i francesi ; a poco a poco il fuoco si diradò. A mezzogiorno si stipulò una tregua per raccogliere i morti e i feriti e Garibaldi fu convocato in Campidoglio dove l'Assemblea stava discutendo la resa. Le rovine della Villa Spada non erano ancora state cedute, ma tutti sapevano che Roma era caduta .

Dandolo e i suoi avevano intanto portato il Manara alla retroguardia.

« Dopo molto aggirarci arrivammo all'ambulanza di Santa Maria della Scala, dove stava già raccolto un centinaio dei feriti più gravemente, che non potevano esser trasportati più oltre. Appena giunto, Manara mi disse di mandare a chiamare il dottore Agostino Bertani suo amico milanese » .

Quando il dottore, che da buon patriotta nelle due settimane precedenti aveva fatto quanto era in suo potere per mitigare le condizioni dei feriti in Roma, arrivò al letto di morte dell'amico, questi esclamò : « Oh Bertani, lasciami morir presto 1 soffro troppo » .

Ne altro lamento gli sfuggì dalle labbra nelle lunghe ore d' agonia . •« Dopo essersi comunicato non parlò per qualche tempo. Mi raccomandò poscia di nuovo i suoi figliuoli. — Allevali, mi disse, nell'amore della religione e della patria. — Mi pregò di portare in Lombardia il suo corpo insieme con quello di mio fratello. Scorgendomi piangere mi domandò : — Ti rincresce eh' io muoia? — E vedendo che io non rispondeva perché soffocato dai singhiozzi, aggiunse sommessamente, ma con la più santa rassegnazione : — Anche a me dispiace !...

» Poco prima di morire si cavò un anello che si aveva carissimo e me lo mise in dito egli stesso, poi attirandomi verso di lui : — Saluterò tuo fratello per te, non è Vero? — » . Così Emilio Dandolo fu lasciato derelitto al mondo come molti altri nobili animi italiani in quell'anno. In un mese aveva perduto i tre uomini che amava — suo fratello Enrico, il Morosini e il Manara : e aveva perduto la patria. Con il cuore spezzato scrisse per i posteri la storia del suo reggimento e la dedicò alla memoria dei suoi tre cari. Poi per dieci anni cercando di distrarsi come meglio poteva, s' armò di coraggio, fino a che il suo paese cominciò a riscuotersi un' altra volta per un altro grande sforzo in cui avrebbe avuto al fianco il valoroso esercito francese. Nel febbraio 1859, quando nelle città serve dell'Italia cominciava a spirare con segreta esultanza un soffio di guerra vicina, e cara come gli effluvi primaverili dopo un inverno nordico, Emilio Dandolo morì. Pro solita humanitaie sua, la morte veniva quando non era più la benvenuta. La gran dimostrazione di Milano ai funerali di lui in faccia agli austriaci che non osavano intromettersi, fu non indegno tributo all'ultimo superstite del piccolo consorzio di amici che avevano guidato a Roma i Bersaglieri lombardi.

Ma le file di questo reggimento contavano alcuni, la cui storia io credo, ci impietosirebbe ancor più di quella del Dandolo, se soltanto ci fosse nota. Pochi giorni dopo aver sepolto il loro capo, sulla cui tomba gemettero le trombe e Ugo Bassi anche lui presso a perire, proferì un' orazione funebre , il reggimento fu sbandato. Ma i lombardi non avevano una casa dove tornare ; l'Austria governava un' altra volta sulla loro regione nativa e Vittorio Emanuele non osava ancora dare asilo a molti nel suo Piemonte. Così quei « miseri esuli scacciati da Roma, condannati a viver di carità nelle vie di Civitavecchia, furono dalla disperazione costretti ad arruolarsi per l'Africa o a riconsegnarsi agli austriaci » che non avrebbero mancato di « sferzarli, imprigionarli, o fucilarli come ribelli e disertori ».

« Così finirono i Bersaglieri lombardi, raro esempio di disciplina, di coraggio e di sventura ; ... lasciati dopo tanti pericoli e tante fatiche nel più nefando abbandono, furono uditi più volte i superstiti invidiare la sorte dei tanti che con una morte onorata sul campo, avevano saputo sfuggire a quell'accanimento della fortuna, che li sparse raminghi e miserabili sulla faccia del mondo » . Verso il mezzogiorno del 30 giugno, mentre il Manara moriva nell'ospedale, Garibaldi galoppava sull'altra riva del Tevere verso il Capitolino dove l'Assemblea della Repubblica Romana lo aveva convocato alla sua adunanza decisiva .

Cavalcava a briglia sciolta perché sebbene la pugna fosse andata languendo, egli non aveva voluto consentire ad assentarsi dal suo posto per più di un' ora. La morte lo aveva sfuggito in battaglia, e il suo cuore era gonfio d' amarezza. Ad accrescere la sua ambascia eragli giunta allora la nuova che il negro Aguyar, il suo fedele amico che gli aveva così spesso salvaguardata la vita nei perigli di guerra, era stato ucciso da una bomba mentre attraversava una strada in Trastevere. Garibaldi, che era di gran lunga superiore ad ogni meschino orgoglio di razza e considerava tutti gli uomini come fratelli da apprezzarsi ciascuno a seconda del suo merito, aveva dato liberamente il suo cuore a quel nobile Otello che superava di molto in altezza, così di corpo come d' animo, il tipo comune dell'uomo bianco .

Piagato al cuore, preoccupato da amari pensieri, salì il Capitolino al galoppo, smontò ed entrò nell'Assemblea così com era, con la camicia rossa coperta di polvere e di sangue, il viso ancora molle del sudore della battaglia, e la spada così distorta che sporgeva incagliata a metà fuori della guaina. I membri altamente commossi, saltarono in piedi acclamandolo, mentre egli si accostava a passi lenti alla tribuna e ne montava gli scalini. L' avevano fatto venire per sentire il suo parere sulle tre linee di condotta fra cui, come il Mazzini aveva detto quella mattina in un suo discorso, erano ridotti a scegliere : potevano arrendersi ; potevano morire battendosi nelle strade ; o finalmente potevano fare un esodo sulle montagne conducendo con se il Governo e V esercito. Quest'ultima era la stessa che Garibaldi da più giorni avvocava presso il Triumvirato ; ora egli spronò l'Assemblea ad adottarla con un discorso breve e vigoroso.

Mise subito da parte l'idea di continuare la difesa di Roma. Dimostrò essere impossibile sostenerla nelle strade, perché bisognava oramai abbandonare il quartiere di Trastevere, e il cannone nemico dall'altezza di San Pietro in Montorio poteva ridurre in cenere la capitale del mondo. Quanto alla resa non sembra eh' egli r abbia nemmeno discussa. Rimaneva il terzo progetto, darsi alla campagna con il Governo e l'esercito. Questo egli lo approvava. « Dovunque saremo, colà sarà Roma », disse; questa era la parte eh' egli si era scelta per se e per chiunque volesse seguirlo. Ma non voleva che volontari e non voleva condur via nessuno sotto false pretese : dichiarò che non poteva promettere nulla e tracciò onestamente ai senatori un quadro della vita di pericoli e privazioni a cui li invitava.

Era nell'insieme un discorso pieno di saviezza e di nobiltà, perchè troncava ogni partito che portasse maggior rovina sugli edifici di Roma, e nello stesso tempo offriva uno scampo di gloria e di sacrificio a chiunque era come lui, deliberato a non trattare mai con lo straniero su suolo italiano. Detta la sua, lasciò l'aula e ritornò di galoppo al Gianicolo.

Nella discussione che seguì, il Mazzini appoggiò la proposta di Garibaldi ; ma l'andarsene affrontando la morte non spettava che ai pochi, e l'Assemblea ebbe ragione astenendosi dall'adottare r esodo come programma ufficiale. Fu passata la seguente deliberazione: « In nome di Dio e del Popolo,

L' Assemblea Costituente Romana cessa una difesa divenuta impossibile e resta al suo posto ».

GEORGE MACAULAY TREVELYAN

GARIBALDI E LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA

TRADUZIONE DI EMMA BICE DOBELLI

BOLOGNA - NICOLA ZANICHELLI - MCMIX

Indice Storia della Repubblica Romana

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