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FORO ROMANO

Casa delle Vestali

Casa delle Vestali con in fondo il Palatino
Casa delle Vestali con in fondo il Palatino

La casa delle Vestali, spaziosa e magnifica, ma chiusa a guisa di un chiostro, trae il nome di Atrium Vestae dalla sua parte più importante; vogliam dire, il gran cortile cinto di colonne. La casa venne quasi per intero scoperta nel 1883-1884, mentre l'ala occidentale tornò alla luce nel 1901, dopo la demolizione della chiesa di Santa Maria Liberatrice.

Il collegio delle Vestali dapprima si compose di sei e più tardi di sette sacerdotesse, fra le quali dovevano esservi sempre alcune bambine, atteso che l'età per l'ammissione era circoscritta tra il sesto e decimo anno. Venivano scelte dal Pontefice Massimo, col consenso dei parenti, ed avevano l'obbligo, almeno per trent'anni, di rimanere severamente rinchiuse nell'Atrio di Vesta. Fra i vari doveri che a loro spettavano, eravi pur quello di attingere l'acqua santa dalla fonte delle Camene fuori la porta Capena (sulla via Appia, presso San Sisto Vecchio), nonchè di assistere a molti sacrifici, talvolta congiunti con cerimonie assai complicate. La Vestale che veniva meno ai suoi doveri era severamente punita; così, per esempio, ove avesse lasciato spegnere il fuoco sacro, il Pontefice Massimo la castigava battendola a colpi di verga; se poi avesse mancato al voto di castità, la si seppelliva viva nel Campo Scellerato, che trovavasi nelle vicinanze della porta Collina (luogo corrispondente all'angolo settentrionale del Ministero delle Finanze, in via Venti Settembre). Coteste dure condizioni del sacerdozio, fecero sì che coll'andar del tempo divenisse sempre più difficile il trovare fanciulle che si adattassero ad entrare nell'Ordine, ed anche genitori che vi acconsentissero. L'ammissione tuttavia nell'Ordine, era facilitata dal fatto che mentre nei tempi antichissimi solo le fanciulle patrizie avevano il diritto di servire a Vesta, più tardi tale diritto venne accordato anche a quelle di famiglie plebee, e dopo i tempi di Augusto, persino alle figlie dei libertini. Quando entravano nell'Ordine, spesso ricevevano una dote cospicua; lo stesso Tiberio, noto per la sua parsimonia, donò alla vestale Cornelia due milioni di sesterzi (5,000,000 di lire). Le Vestali non stavano, come tutte le altre donne, sotto la tutela del pater familias, ma potevano disporre dei propri beni e far testimonianza in giudizio, senza prestare il giuramento, che era per chiunque altro obbligatorio. Una loro raccomandazione era tenuto in grandissimo conto per le promozioni, sì civili come militari; se un reo, condotto al supplizio, s'imbatteva in una Vestale, gli si accordeva subito la grazia; al circo, al teatro, all'anfiteatro, esse occupavano posti d'onore. Allorquando andavano attorno per la città, erano precedute da un littore, e gli stessi consoli cedevano loro il passo. Avevano inoltre il diritto, riserbato alle sole imperatrici, di girare in carrozza per le vie di Roma; ed un'offesa fatta alla loro persona, era punita con la morte. Ma non ostante tutti cotesti privilegi, nei secoli posteriori, come rilevano con vera soddisfazione i Padri della Chiesa, difficilmente si trovavano fanciulle che volessero dedicarsi al culto di Vesta, laddove i monasteri cristiani rigurgitavano di vergini a Dio consacrate. Nel 382, Graziano confiscò i beni delle Vestali; la casa poi servì di alloggio agli ufficiali della corte imperiale, e in appresso a quelli della corte pontificia. Dopo l'undecimo secolo l'edifizio fu abbandonato e cadde in rovina.

Quello che tuttora rimane dell'Atrio sopra terra, appartiene all'edifizio imperiale, le cui parti più antiche non sono anteriori al primo secolo dopo Cristo. Delle costruzioni preaugustee, solo pochi avanzi furono rinvenuti circa un metro sotto il livello del gran cortile: sono quasi esclusivamente resti di pavimenti composti di piccoli pezzi di marmo bianco e colorato, il cui orientamento corrisponde alla "Regia vecchia". Certamente l'antica casa delle Vestali aveva dimensioni più modeste di quella del tempo imperiale; accanto ad essa, sotto la pendice del Palatino, si trovava un bosco sacro (Lucus Vestae), il quale poi sparì per i vari ingrandimenti fatti alla casa.

Si distinguono nella casa delle Vestali tre gruppi di sale e stanze, appartenenti a diversi periodi; la parte più antica ad oriente del cortile, contiene camere di uffizio o di ricevimento, e sembra costruita nella seconda metà del primo secolo dopo Cristo; le due ale a mezzogiorno e a ponente del cortile contengono stanze d'alloggio che dovranno attribuirsi alla metà del secondo secolo; finalmente il lato settentrionale, più danneggiato degli altri e con appartamenti meno notevoli, appartiene per avventura ai restauri di Settimio Severo.

Il gran cortile, che può dirsi Atrio ovvero Peristilio, ha ricevuto la forma che oggi vediamo anche in parte dai restauri Severiani. I diversi edifizi anteriori che lo circondavano, avevano piani di altezze differenti; per nascondere queste diversità, il cortile fu circondato da un portico a due file di colonne sovrapposte, ma senza soffitto intermedio. I fusti inferiori delle colonne sono di cipollino, quelli superiori di breccia corallina. Nell'asse longitudinale del cortile si trovano parecchi bacini per l'acqua (i muri sporgenti sopra terra sono modernamente suppliti), anch'essi forse spettanti all'edifizio Severiano. Il più grande di essi venne colmato già quando nel centro del cortile fu eretta una fabbrica di pianta ottagonale, le cui fondamenta, composte di grandi tegoloni quadrati, rimangono tuttora. Probabilmente vi si deve riconoscere una specie di giardino, ultimo ricordo del Lucus Vestae da lungo tempo scomparso. Questo ottagono, come dimostrano i bolli dei mattoni, è dell'età dioclezianea. Il nome di Penus Vestaeche gli si è voluto dare, è affatto erroneo.

Ornamento speciale del cortile erano le statue delle Vestali situate nel portico inferiore con apposite iscrizioni alle basi, commemoranti le loro virtù e i loro meriti. Di una sola base, fu trovata la parte inferiore al posto antico (angolo sud-ovest); quasi tutte le altre furono rinvenute negli ultimi giorni del 1883, nell'estremità occidentale dell'atrio formanti un cumulo, la cui costruzione fece chiaramente riconoscere, che tutte erano destinate a sparire in una calcara medievale. In terra giacevano le basi scritte, messe orizzontalmente; sopra di esse stavano i torsi delle statue, con le braccia, le mani, i piedi e tutte le parti sporgenti mozzate; i frantumi poi erano adoperati per riempire gli interstizi fra i torsi. Di nessuna statua perciò si può indicare la base con l'epigrafe relativa. Le epigrafi, ad eccezione di una sola (Praetextata Crassi filia; in una piccola base che ora sta nel lato settentrionale del cortile) sono posteriori a Severo. Le sacerdotesse, i cui nomi ci vengono rivelati da questi monumenti, e da altri trovati nell'atrio in tempi anteriori (le lapidi segnate con * non si trovano più nell'atrio), sono:

Numisia Maximilla - 201 dopo Cristo

Terentia Flavola - 209, 213, 215 dopo Cristo

Campia Severina* - 240.

Flavia Mamilia* - 242.

Flavia Publicia - 247, 257.

Coelia Claudiana - 286.

Terentia Rufilla* - 300, 301.

C . . . . . - 364.

Coelia Concordia* - 384.

Tutte le statue sono erette a Vestali Massime, chè a queste solamente, e non già alle semplici sacerdotesse, si apparteneva il diritto di avere statue onorarie. L'abbigliamento sacerdotale che indossavano, si componeva di una sottoveste (stola) e di una sorta di mantello (pallium), ambedue di lana bianca. Uno scialle (suffibulum) tenuto da una spilla (fibula) ricopriva loro il capo quasi interamente, lasciando soltanto scoperta la fronte e l'attaccatura dei capelli. Di sotto, all'orlo anteriore dello scialle, appariva la cappigliatura, divisa, secondo la rituale prescrizione, in sei treccie (seni crines), non di capelli propri, sì bene posticci, cui si attorcigliavano nastri di lana nera e rossa. Cotesta arcaica e poco comoda acconciatura portavano le Vestali durante tutta la vita; laddove le donne romane erano obbligate ad adottarla soltanto nel dì delle nozze, quale buon augurio, perocchè la sposa doveva mantenere la fedeltà al marito, nella stessa guisa che le sacerdotesse alla dea. La meglio conservata fra le statue dell'atrio mostra sul petto i resto di un monile in bronzo (catenella e medaglione), il quale non sembra facesse parte dell'abbigliamento ufficiale, ma sì bene fosse una speciale distinzione. Merita pure di esser notata tra le statue del cortile, quella di un uomo (imperatore?), la cui barba di marmo era mobile. Le altre imagini delle Vestali, e specialmente le migliori rispetto all'arte, vennero trasferite al Museo delle Terme Diocleziane.

L'ala settentrionale della casa, per essere assai danneggiata, non permette di decidere a quale scopo servissero le singole camere. Nella stanza posta nell'estremità est, sono stati trovati sotto il livello dell'età imperiale, avanzi di un'ara quadrata, composta di ceneri e di resti di sacrifizi, l'orientamento della quale corrisponde alle menzionate costruzioni antiche sotto il cortile. Il vano che le sta daccanto con nicchie nelle pareti, sembra essere stato un cortile o un triclinio estivo. Dinanzi all'ingresso, verso il cortile, si vede una base di marmo con l'iscrizione: Flaviae L(uci) f(iliae) Publiciae, religiosae sanctitatis v(irgini) V(estali) max(imae), cuius egregiam morum disciplinam et in sacris peritissimam operationem merito in dies respublica feliciter sentit, Ulpius Verus et Aur(elius) Titus (centuriones) deputati ob eximiam eius erga se benivolentiam g(rati) p(osuerunt). La statua quindi era dedicata alla Vestale Massima, Flavia Publicia "la cui immacolata castità e profonda conoscenza di tutte le cerimonie, vengono giornalmente riconosciute dallo Stato pei loro felici successi" (un'altra iscrizione celebra la medesima Vestale per la ragione che essa "in tutti i gradi del sacerdozio, inserviente agli altari di tutti i numi e custodendo il sacro fuoco con pio animo giorno e notte, era meritamente pervenuta al suo alto posto"). I dedicanti erano due centuriones deputati (ufficiali che, come i corrieri delle ambasciate moderne, facevano il servizio fra il governo centrale di Roma e le amministrazioni delle singole provincie), i quali avevano ottenuto per l'intercessione della sacerdotessa, una promozione o una onorificenza (petito eius ornatus, dice in un'altra epigrafe posta alla Vestale Campia Severina un tribuno della prima coorte aquitanica).

Il lato orientale è forse anteriore all'incendio Neroniano: nelle sue mura non sono stati trovati mattoni con bolli. Quattro gradini conducono in una sala (appellata comunemente tablinum) già coperta con una vôlta a botte: il pavimento di marmi colorati è stato restaurato rozzamente in un tempo tardo. Da ambedue i lati della sala si aprono tre celle, credute a torto stanze di alloggio per le sacerdotesse. Ma poichè il numero senario difficilmente sarà casuale, così alcuni credono che queste celle abbiano formato una specie di sagrestia, e che ognuna delle Vergini abbia avuto la sua cella per conservarvi i vestiti ed arredi sacri. Accanto alle stanze a destra si trova un cortile scoperto con una fontana ornata di nicchie per statue. In quel vano sotterraneo a vôlta, che si appoggia alla parete di fondo delle celle, furono rinvenuti parecchi vasi di terracotta, in parte di forma arcaica.

Nel lato meridionale, dinanzi le camere passa un corridoio. Le prime stanze sono fortemente alterate da muri di un'età tarda innestativi. La prima camera si tiene per un forno, nella seconda sta un mulino di lava ben conservato. Ambedue le camere hanno il pavimento rialzato circa 70 cm. sopra quello del corridoio: un simile rialzamento si osserva nella quarta stanza, ove sopra il pavimento primitivo fu messo un altro, sorretto da un 'vespaio'di mattoni, per ripararlo dall'umidità. Un pavimento di mattoni, nello stesso livello più alto del corridoio, si trovava anche, fino al 1899, nella stanza quinta: quando esso fu tolto, si scoprì un bellissimo pavimento di opus sectile marmoreo, forse appartenente al secondo secolo dopo Cristo

Presso a questa camera, una scala conduce ai piani superiori (chiusi da un cancello), ove si trovano gli appartamenti delle sacerdotesse. Si entra in un corridoio fiancheggiato a destra da parecchie stanze da bagno, con gli apparecchi pel riscaldamento (le bocche delle stufe si vedono in un andito angusto dietro alle vasche). Quindi voltando a sinistra si passa accanto ad una fontana con bacino di marmo ed arrivasi ad alcune camere situate sopra e dietro il tablinum, dalle quali si gode una bella veduta non solo su tutta la casa, ma sulla Sacra Via fino alla Basilica di Costantino. Ivi rimane pure il principio di una scala conducente ad un piano più alto ancora, e poichè già ci troviamo al terzo piano (compreso il mezzanino sopra il pianterreno), così è da tenere che la casa avesse per lo meno quattro piani, e verso il Palatino probabilmente cinque; donde inoltre s'inferisce che era assai spaziosa per le sei sacerdotesse e la loro numerosa servitù. — Ed ora ritorniamo alla scala, e per essa al pianterreno.

Nell'ala meridionale, passata la porta q, rientriamo nel corridoio, ove si vedono avanzi di un bel pavimento di marmo; a sinistra si trova una stanza , col pavimento rialzato e con un muro parallelo alla parete di fondo, inserito in appresso per riparare il vano dall'umidità; dirimpetto all'ingresso sta una base esagona di marmo, con iscrizione onoraria a Flavia Publicia. Dall'altra parte, attigua al corridoio è una camera, nella quale recentemente fu scoperto un bellissimo pavimento di vari marmi: giallo, portasanta, pavonazzetto ecc. Nell'angolo in fondo a destra, una porta dà accesso ad un andito stretto, sotto il cui pavimento nel 1899 furono trovate 397 monete d'oro dell'ultimo periodo dell'Impero occidentale. La maggior parte di esse appartiene al regno dell'imperatore Antemio (467-472); vi sono 345 pezzi col ritratto suo e dieci con quello di sua moglie Eufemia; e perciò è da credere che il ripostiglio, forse nel 472, allorquando le orde di Ricimero presero e saccheggiarono Roma, fosse nascosto da un impiegato della corte imperiale, il quale aveva la sua dimora nella casa delle Vestali. Le monete ora si conservano al Museo delle Terme Diocleziane.

All'estremità dell'ala meridionale, due scale mettono al piano superiore; nella parete del piccolo vestibolo a piè della scala si trova una nicchia per un'imagine sacra cui è attigua una sala con abside, il pavimento della quale è stato rappezzato rozzamente nel principio del medio evo.

Nell'angolo nord-ovest del cortile sono tre grandi basi di marmo, scavate precisamente in quel luogo nel 1883. Esse avevano servito per materiale da costruzione in una casupola medioevale. Sotto il pavimento di mattoni di una delle camere, fu rinvenuto un vaso di terracotta con 835 monete, delle quali 830 erano di conio anglo-sassone e portavano i nomi dei re Alfredo il Grande (876-904), Edoardo I (900-924), Athelstan (924-940; questi sono i più numerosi), Edmondo I (940-946), e i nomi altresì di alcuni arcivescovi di Canterbury. Questo ripostiglio rappresenta un obolo di San Pietro, spedito, come sovente accadeva, dal secolo ottavo in poi a Roma, dai Britanni cristiani. Insieme con le monete stava nel vaso una fibula d'argento con l'iscrizione: Domno Marino papa. Tali fibule servivano come insegne di ufficiali superiori della corte pontificia nel medio evo; e quindi è da credere che un impiegato del papa Marino II (942-946) avesse quivi nascosto il tesoro a lui affidato, forse per ripararlo in occasione di una delle scorrerie dei Saraceni allora frequenti. Anche queste monete ora sono conservate nel Museo delle Terme.

La base di marmo che sta più vicino all'ingresso, secondo attesta l'apposita iscrizione, sosteneva una statua dedicata dal collegio dei pontefici sotto la presidenza del Pontefice massimo Macrinio Sossiano, ad una Vestale Massima "erettale per la sua castità e moralità, non meno che per l'ammirevole sua pratica nei sacrifizi e nelle cerimonie". Il nome della sacerdotessa è abraso con molta cura, di modo che non ne resta leggibile se non la sola lettera prima C. Quale sarà stata la cagione di questa condanna della memoria di lei? La data incisa sul alto destro della lapide (9 giugno 364 dopo Cristo "sotto il consolato del Divo Ioviano — successore di Giuliano l'Apostata, che regnò soli otto mesi — e Varroniano") ci addita un tempo in cui i seguaci del paganesimo cercavano, con grande energia, a ravvivare di nuovo il culto dei numi antici e durante il quale tra cristiani e pagani erano contese molto vivaci. Se in un tempo come quello, una Vestale fosse stata condannata per una grave colpe commessa contro la castità, un tal fatto eccezionale nelle nostre fonti contemporanee — che sono assai numerose — certamente non sarebbe passato sotto silenzio. È molto più probabile che questa Vestale sia uscita dall'Ordine per volontà propria. Ora il poeta cristiano Prudenzio, che scrisse sotto Teodosio, celebrando i trionfi del cristianesimo, dice: "il Pontefice depone la benda sacerdotale e riceve la croce, e la Vestale Claudia entra nel tuo santuario, o Lorenzo" (vittatus olim pontifex adscitur in signum crucis aedemque Laurenti tuam Vestalis intrat Claudia). Onde è molto verisimile che la Vestale, il cui nome appunto comincia con una C, sia proprio quella che, deposto il sacerdozio di Vesta, si era fatta monaca in uno dei conventi presso San Lorenzo fuori le mura. Naturalmente allora i pontefici vollero cancellare il suo nome dalla base onoraria.

Ritorniamo per la porta e passiamo dietro al tempio, ove, pressow, è l'ingresso alla cucina e alla dispensa della casa delle Vestali. Passata un'anticamera, si entra nella cucina ove a destra sta il grande focolare: dietro alla cucina è la dispensa ora chiusa con un cancello, nella quale furono trovate molte anfore, piatti, catinelle ed altri vasi da cucina. Vi fu anche rinvenuto un gran serbatoio di piombo per l'acqua. In uno dei vasi si trovò un pezzo di focaccia carbonizzata, ma ben conservato.

Le camere nel lato esteriore dell'ala settentrionale, secondo la loro pianta e costruzione, fanno parte della casa delle Vestali, con la quale tuttavia non stanno in nessuna comunicazione. Ivi forse, almeno nel pianterreno, si trovavano botteghe d'affittare (tabernae), le quali, lungo la continuazione della Sacra Via, erano assai numerose. Sotto i muri laterizi dell'età imperiale sono tornati alla luce molti avanzi di costruzioni più antiche di tufo e travertino (pareti con resti di affreschi, pavimenti composti di piccoli pezzetti di marmo, mezze colonne con basi e un gran canale di tufo per lo scolo delle acque). L'orientamento di questi avanzi corrisponde a quello della Regia e delle costruzioni antiche sotto il cortile della casa delle Vestali.

Tratto da: Il Foro Romano - Storia e Monumenti da Christian Hülsen pubblicato da Ermanno Loescher & Co Editori di S. M. la Regina d'Italia 1905

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