Tesori di Roma: foto di Roma gratis

2 - Palazzo Massimo alle Terme

Sede del Museo Nazionale Romano

Statua di Eros
Statua di Eros

Parte seconda

Statua di giovane Sovrano

Stampa antica del Colosseo

Statua colossale dì uomo nudo (giovane Sovrano?)con una mano dietro la schiena e l'altra appoggiata ad una lunga asta. La testa, pur essendo alquanto idealizzata, ha dei tratti caratteristici specialmente nella corta barba, e somiglia vagamente a più d'uno dei dinasti macedoni, che si divisero le spoglie dell'impero d'Ales- sandro Magno. E a quel tempo ci riporta sia lo stile nn po' ampolloso é teatrale della statua sia la derivazione sua da un originale di Lisippo, che rappresentava Alessandro Magno appoggiato con la mano a un'alta lancia. I tentativi di identificare il personaggio non hanno per ora portato a risultati sicuri. Trovata insieme con l'altra statua dfi bronzo n. 463, costruendo il Teatro Drammatico Nazionale e donata dalla Società che lo costruiva.

L'Efebo di Subiaco.

Stampa antica del Colosseo

Statua di superba bellézza rappresentante un giovane nudo, che piega un ginocchio a terra e solleva le braccia. La testa è parte delle braccia mancano. Molto si è discusso dagli studiosi sulla interpretazione della statua. Chi pensò di riconoscervi un arciere, chi un corridore, chi un discobolo, chi Hylas inseguito dalle ninfe sulla spiaggia del mare, chi Ganimede sul quale sta per piombare l'aquila di Giove. Ma la più probabile ipotesi è che vi si debba vedere uno dei quattordici figli di Niobe che Apollo e Diana uccisero a frecciate. La strage cr delissima era stata più volte rappresentata dagli antichi scultori, e il supplichevole atteggiamento del nostro, la molle delicatezza del corpo suo sembrano voluti per muovere a sentimenti di pietà. Ma la ricerca erudita deve innanzi a quest'opera cedere il passo alla ammirazione e al godimento estetico. La mirabile sapienza dell'artista nel rendere in tutto il suo faccino la bellezza d'un corpo giovanile peifettamente conformato, la morbidezza squisita del modellato, la conoscenza profonda d'ogni dettaglio anatomico, la magica patina dorata che dà l'illusione del sangue corrente tra quelle carni cosi soffuse di vita, tutto fa di questa statua un insigne ca polavoro. Come data le si può assegnare la fine del sec. IV. a. Cr. Fu rinvenuta nel 1884 fra le rovine della Villa Neroniàna a Subiaco.

Grande sarcofago

Stampa antica del Colosseo

Grande sarcofago privo del coperchio. Nel centro scena di matrimonio : i coniugi compiono la dextrarùm iunctio assistiti da luno Pronuba. Ai lati quattro figure allegoriche in cui sono da riconoscere a cominciare da sinistra: Portus (il porto di Traiano presso Ostia col suo faro), Liberalitas o Frumentatio (personificazione della distribuzione gratuita del frumento), Annona o Abundantia e Africa con Telmo di spoglia d'elefante. Si deduce dalle figure scelte che lo sposo, che appare piuttosto avanzato in età, aveva coperto importanti uffici nell'amministrazione che provvedeva al vettovagliamento di Roma, al trasporto dei grani in special modo dall'Africa, ecc. (praefectura annonae). Dall'acconciatura della donna e dal vestito dell'uomo appare che il sarcofago devesi attribuire al sec. IlI d. Cr. avanzato. Da via Latina.

La pittura parietale romana

Stampa antica del Colosseo

La storia della pittura parietale romana, alla fine della Repubblica e al principio dell'Impero, si è potuta ricostruire abbastanza bene grazie ai ricchi e numerosi ritrovamenti delle case di Pompei, sagacemente studiati da Wolfgang Helbig e da August Mau. Questi dotti hanno, diviso in quattro periodi o stili i due secoli circa di pittura che sono rappresentati nelle pareti pompeiano. Il primo stile ancora di età repubblicana è quello così detto delle incrostazioni, che simula con un bugnato multicolore le lastre di marmo applicate a decorazione delle pareti. Il secondo stile della fine della Repubblica presenta come caratteristiche nobili architetture, che inquadrano paesaggi, graziose figure o scene mitiche. Ma le forme architettoniche pretendono a sempre maggior varietà e sveltezza, le colonnine si assottigliano e si allungano acquistando proporzioni irreali, su di esse si piantano balconi e padiglioni di aspetto fantastico, e si giunge così al terzo stile dei candelabri, che è del principio dell'impero. Le pitture della Farnesina sono da ascriversi a un periodo di passaggio dal secondo al terzo stile.

Le terme di Diocleziano e il Museo nazionale romano - Roberto Paribeni (1920)

La decorazione parietale romana

Stampa antica del Colosseo

Abbiamo veduto che nell'architettura romana la parete ha la funzione di determinare lo spazio: concepita come limite o fondo, qualifica lo spazio atmosferico antistante allo stesso modo che il fondo di una piscina determina, per trasparenza, il colore dello specchio d'acqua. La qualità plastica della parete non è definita soltanto dalle membrature architettoniche, ma anche dalla decorazione plastica e, negli interni, pittorica. Poiché la parete non è sentita come una superficie solida, ma come una spazialità o una profondità immaginaria, non sorprende che su di essa vengano rappresentati, plasticamente o pittoricamente, aspetti della natura o eventi storici e mitologici. Lo spazio della parete rimane tuttavia uno spazio immaginario o ipotetico, un piano di proiezione: le immagini - architettoniche o naturalistiche - risentono ad un tempo della condizione imposta dal piano e della libertà concessa alla fantasia dell'artista dal fatto che quello spazio è, appunto, uno spazio immaginario. Un caso tipico è l'Ara Pacis Augustae, che si presenta come un quadrilatero di piani modellati: su alcuni è una teoria di figure a bassorilievo, su altri vi sono larghe volute di tralci di acanto. Il bassorilievo partecipa, con le sue parti più sporgenti, dello spazio naturale, atmosferico e luminoso; con i piani intermedi e più profondi, suggerisce il dissolversi di quello spazio fisico nella profondità illusoria e necessariamente abbreviata della lastra. I tralci d'acanto, a loro volta, sono bensì rilevati, ma sviluppati in volute ritmiche e cioè ricondotti al piano della parete. Questo è dunque concepito come un termine medio o di raccordo tra spazio naturale e spazio figurato o immaginario. La decorazione plastica sfrutta anche, specialmente per gli effetti più sottilmente chiaroscurali e pittorici, la tecnica dello stucco. È una tecnica molto antica, già conosciuta dagli artisti egizi e cretesi: consiste in un impasto di calce e polvere di marmo, praticamente lo stesso che veniva usato in Grecia come ultimo rivestimento dell'architettura e della scultura e come preparazione alla stesura dei colori. Impiegato a corpo, cioè con notevoli spessori, si presta alla modellazione di immagini a rilievo: queste vengono plasmate direttamente sulla parete nell'impasto molle. Seccando e indurendosi, la superficie acquista una lucentezza serica, sensibile alle minime variazioni luminose; e appare come un dipinto monocromo. Alla pittura, infatti, più che al rilievo può avvicinarsi lo stucco plastico: sia per la tecnica rapida, a piccoli tocchi di spatola, sia per la morbidezza e la delicatezza dei passaggi chiaroscurali. Al posto della pittura è infatti impiegato nei luoghi dove per l'umidità o la scarsa visibilità non possono collocarsi pitture murali: esempio tipico, di rara finezza, la decorazione della basilica sotterranea di Porta Maggiore, a Roma. Non vi è dubbio che la pittura parietale romana dipenda da modelli ellenistici: questi, infatti, sono quasi totalmente perduti, mentre negli edifici di Pompei ed Ercolano, sepolti dalle ceneri del Vesuvio nel 79 d.C., molti ambienti conservano intatta la decorazione pittorica. Si distinguono, per semplificare, quattro stili. Il primo, sicuramente di origine orientale, consta di semplici riquadri colorati a imitazione del marmo, di cui sono un surrogato economico. Tinteggiando le pareti si dà un'intonazione coloristica all'ambiente. Il secondo stile è più complesso: al di sopra, e, figurativamente, al di là di uno zoccolo è dipinta una prospettiva architettonica in cui vengono inscritti "quadri" con figurazioni per lo più mitologiche su vasti sfondi architettonici o paesistici. Il terzo stile, detto "della parete reale" ha complicate architetture in prospettiva, ma gli edifici raffigurati sono del tutto fantastici e, per lo più, tracciati con linee sottili e con colori tenui. In questi tracciati, che non hanno alcuna pretesa illusionistica, vi sono riquadri, spesso d'un nero lucente, sui quali il pittore traccia con tocchi rapidi, brevi e vivaci, piccole figure sospese, come volanti. La funzione della riquadratura prospettica è, sostanzialmente, di sospendere il pannello figurato in una profondità immaginaria, impedendogli di identificarsi con il piano murario. Il quarto stile, che compare soltanto negli ultimi anni dell'esistenza di Ercolano e Pompei, riprende il tema architettonico-prospettico del secondo, sviluppandolo però con un colorismo più intenso e con una più complessa scenografia, talvolta con riferimenti espliciti alla scena architettonica del teatro.

La pittura romana

Stampa antica del Colosseo

Benché sia noto dalle fonti che a Roma si praticava la pittura su tavola, le sole pitture romane che conosciamo sono le figurazioni inserite nelle decorazioni parietali e appartengono, in gran parte, alle due città campane di Pompei ed Ercolano. Nel I secolo a.C. la pittura romana si distacca dalla tradizione etrusca a cui era collegata e si volge agli esemplari greci: un pittore che si dice "ateniese" firma Le giocatrici di astragali, poche figure finemente disegnate e appena velate da un colore diffuso, ispirate ai vasi attici a fondo bianco. Da più recenti esemplari ellenistici dipendono riquadri di decorazioni parietali, come la figurazione nuziale delle Nozze Aldobrandini: celebrata come un capolavoro quando fu ritrovata, alla fine del Cinquecento, è piuttosto l'opera di un corretto imitatore, che traccia le figure con colori fluidi e con tocchi liberi, a macchia, anche se, probabilmente, non afferra l'unità spaziale e compositiva del modello. Per gli antichi, la pittura è rappresentazione d'immagini e, come le immagini, non deve aver corpo, saldezza plastica: è un gioco di macchie colorate, di luce ed ombra. Il fatto stesso che i temi fossero ripetuti da modelli, spesso a memoria e con varianti, favorisce l'andamento corsivo, rapido e appena sommariamente descrittivo del pennello. Non bisogna confondere, come spesso s'è fatto, questa pittura compendiaria, cioè rapida ed evocativa, con il moderno impressionismo, che tende a rendere con assoluta immediatezza un'emozione visiva. Consideriamo, scegliendo a caso, il gruppo di Ermafrodito e Sileno, nella casa dei Vettii. Il discorso pittorico è rapido, ha una cadenza accentata, vivace; ma scorre su uno schema del tutto convenzionale. È una pittura a macchia; ma il contrasto tra la macchia luminosa del corpo di Ermafrodito e quella scura del corpo di Sileno dipende dalla convenzione di dipingere in toni chiari i corpi delicati delle donneo degli adolescenti e in toni bruno-rossastri i corpi robusti o dei vecchi. Convenzionali sono anche gli atteggiamenti delle figure, il fondo con un accenno sintetico e quasi simbolico di alberi e architetture, perfino le lumeggiature bianche sui massimi risalti dei volti. Il pittore non cerca di inventare, ma di ripetere con vivacità e bravura: come il musicista che esegua una partitura data. Nella villa dei Misteri a Pompei è perfettamente conservato un grande fregio figurato, che rappresenta con ogni probabilità un rito di iniziazione al culto di Dioniso. Le figure sono viste sullo sfondo vicino di una parete rossa: su di essa risaltano entro contorni sottili e precisi, guidati da una volontà di chiarezza classica. Ma il contorno stesso, più che una linea disegnata, è il limite tra le due zone coloristiche e ne modula sensibilmente il rapporto. La stesura coloristica è leggera, fusa, trasparente: con i contorni fermi il pittore non ha voluto determinare il risalto dei corpi né precisare la loro anatomia, ma fissare, proiettandola sul piano rigido della parete, un'immagine senza corpo, fatta di trascorrenti nubi d'ombra e di luce. La componente romana, in questa pittura di fondo ellenistico, è generalmente indicata dall'accentuazione realistica; ma, più che in un interessato riferimento al dato oggettivo, la si nota in un appesantimento dell'immagine, non dissimile da quello che osservammo nella pittura etrusca. Nei paesaggi e nei ritratti, specialmente, l'immagine, pur non dipendendo da una sensazione o emozione ricevuta dal vero, viene intensificata per dare l'illusione del vero. Un porto di mare è rappresentato dall'alto, in modo quasi planimetrico; edifici e navi sono distribuiti come su una carta topografica; i brillanti tocchi di luce non hanno alcun riferimento a una luce reale, sono un espediente per ravvivare, illusivamente, le immagini delle cose. Nel giardino della villa di Livia a Roma, si ha un "inventario" di piante, raffigurate a memoria: il pittore conosce la forma di ogni singolo albero o arbusto e la descrive con sicurezza; ma ciò che viene precisato con rapidi tratti di colore non sono le cose che l'artista vede, bensì le nozioni che ha di esse. Non dunque lo spettacolo della natura, ma le immagini della mente prendono forma e si fanno evidenti nell'arte; e la tecnica rapida e per cenni, compendiaria, non è una tecnica creata per rendere con immediatezza le emozioni visive ma per tradurre visivamente quelle immagini. Si spiega così come questa tecnica diventi anche più rapida e intensa nella pittura cristiana delle catacombe, le cui immagini puramente simboliche non hanno alcun rapporto con la realtà oggettiva. Anche nel ritratto si parte da "tipi" , che vengono poi specificati in modo da evocare le fattezze. Nelle tavolette che, tra il I e il V secolo, si ponevano in Egitto sulla mummia nei sarcofagi (detti ritratti del Fayum), la persona è rappresentata per lo più frontalmente, con grandi occhi spalancati per dare l'idea della vita; ma solo l'accentuazione di qualche tratto fisionomico richiama la figura reale del defunto. È, come si vede, un procedimento che non parte dal "vero" ma, muovendo dall'idea o dal tipo, tende ad accostarsi al vero: un procedimento, cioè, che va dal generale al particolare ma senza implicare una presa diretta dal reale.

Storia dell'Arte Italiana - Giulio Carlo Argan

I resti delle navi di Nemi

Stampa antica del Colosseo

L'ultima sezione della galleria contiene i resti delle così dette navi di Nemi. Nel lago di Nemi la tradizione di una nave sommersa di mirabile ricchezza è stata sempre tenuta viva e confortata dell'esperienza dei pescatori che vedevano impigliarsi e la- cerarsi le loro reti. I primi tentativi di ricupero, di cui si ha no- tizia, furono quelli eseguiti da Leon Battista Alberti per ordine del card. Prospero Colonna Verso la metà del secolo XV. Il geniale architetto aveva immaginato un piano di risollevamento completo mediante un sistema di botti vuote, che avrebbero dovuto agire quasi come cassoni ad aria compressa. Disgraziatamente il progetto né falli del tutto, né riuscì completamente, ma danneggiò la nave, schiantando gran parte della prora. Da allora tentativi di completo ricupero non furono più fatti, ma più d^una volta, con strumenti che più o meno si accostavano alle moderne campane da palombaro, scesero uomini nel lago a sradicare legni e bronzi della povera carcassa. Del prodotto di quegli scavi esisteva una trave nel Museo Kircheriano e qualche frammento di bronzo al Vaticano. Gli oggetti conservati in questa nostra sala provengono da esplorazioni l'atte nel 1895 a mezzo di palombari dal sig. Eliseo Borghi. In queste nuove esplorazioni fu accertata la presenza di una seconda nave del lago, e il Ministero della Pubblica Istruzione intervenne, acquistando gli oggetti trovati, e incaricando il colonnello Malfatti del Genio Navale di compiere le indagini occorrenti per determinare la natura, le dimensioni e i mezzi di estrarre e di salvare quegli interessanti monumenti, Non si tratta di vere navi da navigare, ma di galleggianti riccamente ornati, annessi a una villa imperiale che si stendeva sulle rive del lago. Dei tubi di piombo destinati alle condutture di acqua potabile portano il nome di Caligola, e rivelato il possessore o uno almeno dei possessori della villa e delle navi. E al 1° sec. dell'Impero sì debbono ascrivere i bellissimi bronzi che decoravano le navi

Le terme di Diocleziano e il Museo nazionale romano - Roberto Paribeni (1920)