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Palazzo Massimo delle Colonne

Palazzo Massimo delle Colonne
Palazzo Massimo delle Colonne

1532-36

Dal palazzo omonimo (arch. Peruzzi). I Massimi, poi detti delle Colonne, dalle colonne dell'atrio del loro palazzo, che oggi è venuto a trovarsi sul Corso Vittorio Emanuele. pretendono discendere da Fabio Massimo il 'Cunctator'. Nell'interno del palazzo ammirasi la statua del Discobolo copia in marmo del capolavoro di Mirone, trovata nel 1781 nella villa Palombara all'Esquilino.
Nel salone al 1° piano Daniele da Volterra dipinse le imprese di Q. Fabio Massimo. Al 2° piano vi è una camera, ridotta a cappella, in memoria di San Filippo Neri, che ivi il 16 marzo 1584, risuscitò Paolo Massimo. Pietro e Francesco Massimi diedero stanza nella loro casa, nella parte posteriore della piazza San Pantaleo, a Corrado Schweinheim e Arnoldo Pannartz, che ivi impiantarono la prima tipografia (1467).

Blasi

Palazzo Massimo delle Colonne

La famiglia Massimi, che pretende di aver le sue origini da Fabio Massimo il Cuncatator, è senza dubbio un'antica stirpe gentilizia, perchè fin dal secolo XII esisteva la denominazione di via de' Massimi e perchè aveva da tempo immemorabile sepoltura gentilizia in S. Lorenzo in Damaso.
Nel secolo xv l'abitazione dei Massimi era nella via Pontificia, oggi S. Pantaleo. Un nobile ricordo si riannoda a questa dimora nel 1445: e cioè che Pietro Massimi, con l'opera di Corrado Schweynheim e Adolfo Pannartz vi aveva stabilito una tipografia, la prima che sorgesse in
Immagine del Prospetto del Palazzo Massimi.
Prospetto del Palazzo Massimi.
Roma e la seconda in Italia. La prima opera di essa uscita fu De civitate Dei di S. Agostino e tutte l'edizioni portavano la firma: in domo Petri de Maximis. Suo figlio Domenico ereditò la proprietà che accrebbe e migliorò ma, venuto il sacco di Roma del 1527, la nobile impresa, come tante altre, andò spogliata e distrutta ed il povero Domenico ne morì di crepacuore, dividendo i suoi beni fra i figli Pietro, Angelo e Luca che s'ingegnarono a riparare ai mali del terribile uragano. Essi per restaurare la parte posteriore del palazzo, danneggiala dal sacco di Roma, si rivolsero all'architetto Baldassarre Peruzzi di Siena che da poco era tornato a Roma, dopo essersi rifugiato nella città natìa per porsi al riparo dai danni dell'assedio. Il Peruzzi si pose subito all'opera e, sebbene incontrasse grandi difficoltà per l'economia impostagli dai fratelli Massimi e per doversi valore della vecchia abitazione, in parte rovinata ed incendiata, nel 1535 compì il palazzo. Il trionfo fu completo, perchè esso è una delle più meravigliose e tipiche costruzioni del Rinascimento, un capolavoro di genialità e di abilità, in quanto che il Peruzzi lo ricavò con tale effetto nell'armonia delle masse, tale classica purezza ed eleganza dei particolari e tale illusione di magnificenza che lo fa credere molto più ampio ed adorno di quello che è in realtà: tuttavia niuna cosa gli manca in tutte le parti e cioè semplicità di stile, ricchezza d'ornamenti, comodità di distribuzione, benchè sia innalzato in un sito obbligato ed in una strada angusta e curva tanto che non si poteva mai calcolare l'effetto prospettico, prima che fosse, aperto il corso Vittorio Emanuele, se, non entrando nell'opposta via del Paradiso ove se ne scorgevano solo le due estremità.
L'antica abitazione dei Massimi aveva, come, la moderna, un portico, perciò furono denominati Del Portico, cambiato poi in quello Delle Colonne, per le sei che formano il magnifico ingresso al palazzo.
I tre fratelli si divisero, comandando al Peruzzi di sistemare le loro definitive abitazioni. Il Peruzzi fece due progetti di cui il motivo principale era un portico obbligato sulla fronte, per seguire l'andazzo del soprannome della famiglia Massimi.
Sembra che il Peruzzi ne facesse un terzo, a meno che i disegni scoperti dal Letarouilly non siano che varianti. In ambedue i progetti il portico esterno aveva la medesima disposizione e le colonne accoppiate. Invece nel progetto non eseguito, o nelle varianti, la facciata ed il portico sono centinati e ciò è indicato con linee strette. Nel 1532 il Peruzzi cominciò i due palazzi. Egli era allora nella pienezza del suo talento: il gusto e la varietà ispirata che ha messo nell'ornamentazione dimostra quanto studio e genialità mettesse nei menomi particolari.
Duecento anni prima della scoperta di Pompei, il Peruzzi, studiando gli autori antichi, rifece l'antica casa di un patrizio, appunto perchè i Massimi, credendo di discendere dal romano Fabio, avevano adottato il celebre motto d'Ennio: cunctando restituit e volevano posare ad antichi romani.
Infatti egli, ad imitazione degli antichi portici, creò un portico con colonne doriche e architrave, un soffitto a cassettoni e con altri ornati di stucco, nel mezzo del quale primeggia l'arma dei Massimi portata da Ercole fanciullo, ed un piano superiore con vaste sale. L'architettura sembra dei tempi dell'imperatore Antonino Pio nello studio dogli ordini, nell'impiego degli stucchi sulle volte del vestibolo e dei portici, nella decorazione di soggetto mitologico. Le statue, gli dei, i bassorilievi, che ornano le pareti, ne completano l'illusione. Eppure questa creazione del Peruzzi è meno greca delle abitazioni pompeiane e più di gusto romano puro.
Dopo aver attraversato il vestibolo si entra in un corridoio che mena al cortile, analogo al prothyrum delle case di Pompei. A sinistra questo passaggio da entrata a molte belle sale e a destra a quella da pranzo. La volta era decorata di un affresco di Giulio Romano, disgraziatamente scomparso quando la sala da pranzo fu poi trasformata in cucina perchè non poteva ricevere direttamente la luce.
I particolari dell'ordine dorico non hanno alcuno ornamento in triglifi, e le modanature offrono belle linee e profili. Il capitello è greco, o romano degli ultimi tempi della repubblica, come quelli che si vedono a Tivoli e a Palestrina. Un ordine, posto al disotto d'una costruzione così elevata doveva essere fortificato, perciò il Peruzzi vi ha messo un'apparenza di forza e le colonne accoppiate.
La fregiata della porta è inghirlandata di lauro che si riattacca alla mensola con uno aggiustamento originale. I diversi ornamenti, pur essendo distribuiti con sobrietà potevano togliere alla porta il suo carattere dorico: ma il Peruzzi ha ben intuito questo e perciò ha aggiunto nella cornice dei modiglioni semplici che hanno analogia con i modiglioni dell'ordine dorico.
Tutti questi particolari c'indicano lo studio indefesso del Peruzzi e la perfezione da lui raggiunta.
Sul portico si eleva un muro semplice, scompartito in masse rettangolari, nel quale si aprono tre piani. Il piano nobile, poggiato sulla trabeazione del portico, è costituito da grandi finestre con magnifiche cornici ed architravi che danno loro un aspetto di grandiosità. Il secondo e terzo piano sono trattati come parte secondaria ed hanno piccole finestre riquadrate con cornici semplicissime, ma quelle del secondo piano sono alquanto ingrandite da volute. Le modanature, le barbatelle e le mensole delle finestre del primo piano hanno la finezza e il sentimento dei monumenti degli ultimi tempi della repubblica. Corona l'edificio un cornicione magnifico per l'ornamentazione.
Entrando dal portone nell'andito, questo conduce al primo cortile, mirabile per la straordinaria ricchezza degli ornamenti d'ogni genere che però non turbano punto l'armonia e la chiarezza dell'insieme. Esso è a tre piani: i due primi aperti a loggia, con colonne d'ordine dorico a pian terreno, d'ordine ionico al superiore, intramezzati da un potente attico, che molti credono non sia opera del Peruzzi, mentre dal disegno del suo manoscritto si deduce il contrario. Le trabeazioni sono rettilinee, le volte nel pianterreno sono a botte, nel piano superiore piane. Il terzo piano e basso e semplicissimo, ed è coronato da un originalissimo cornicione. Il pianterreno delle quattro faccio del cortile e in travertino: gli altri piani sono a mattoni rivestiti di stucco. I pilastri della loggia e le due colonne sono di marmo bianco. I pilastri scanalati della loggia sono in rilievo e di pietra, mentre i contropilastri che l'accompagnano sono in pittura e messi in prospettiva.
Immagine del Primo cortile del Palazzo Massimi.
Primo cortile del Palazzo Massimi.
I quadri sotto il cortile, quelli delle due nicchie della scala e gli ornamenti della fontana sono posteriori al Peruzzi. Secondo un conto che esiste negli archivi della famiglia Massimi, furono eseguiti nel 1610 da uno stuccatore, di nome Giov. Battista Solari, che fu anche incaricato d'imbiancare una parte del palazzo.
Da questo cortile si passa ad un secondo, assai più semplice, ma anch'esso grazioso ed armonico.
Tutte le pareti, le finestre, le porte, le volte sono ornate di fregi, di bassorilievi, di medaglioni, di cassettoni, ecc. immaginati ed eseguiti con ottimo gusto ed inarrivabile intelligenza per l'insieme e pel posto per cui furono creati. Nella volta del pianterreno si trovano tre quadri dello stesso Peruzzi, il quale, continuando in essi il suo poetico sistema di decorazione, vi ha rappresentato soggetti antichi come le corse al Circo, i giuochi di naumachia e nel quadro centrale un sacrificio agli Dei. I gustosi ornati intorno ai quadri sono di stucco e sono formati da putti coperti di scudi che con la spada in pugno attaccano risolutamente un mostro alato. Le figure seminate nei campi lisci fra gl'inquadramenti hanno una disposizione singolare. La distribuzione degli scomparti della volta è la stessa delle due parti del cortile.
Nel primo piano, come nei palazzi Venezia, Mattei, Girami, Farnese, vi è un salone, grandioso nei particolari: la parte inferiore della decorazione, a pilastri e pannelli in pittura, sembra provvisoria, la parte superiore invece è monumentale. Il soffitto di quercia è a cassettoni profondi con forti intagli e cornici pesanti; i rosoni sono di tre varietà: turchini, bianchi e quelli di mezzo gialli. Le greche sono bianche su fondo rosso chiaro, le foglie d'alloro che ornano i campi dei cassettoni sono bianche come i frutti ed i gruppi violetti; gl'intrecci dei cassettoni oblunghi sono bianchi e le foglie dell'estremità gialle.
La cornice all'ingiro che si rilega al soffitto è dipinta in bianco. Nel fregio le modanature degli inquadramenti e le teste di leoni sono dorate nel fondo turchino. Il fondo all'architrave è bianco con ornamenti dorati.
Il motivo del fregio combina con quello dell'ordine ionico e degli scomparti del soffitto e presenta due specie di pannelli decorati di pitture inquadrato in modanature rientrate. Ciascun piccolo pannello contiene una divinità mitologica e quelli più grandi le forze d'Ercole ed i fatti più noti della storia di Fabio Massimo, tutte pitture di Daniele da Volterra. Sotto le armi dei Massimi, sui fianchi del salone, è scritto: cunctando restituit rem. Vi è un bel camino di marmo sormontato dal busto di Raffaello, un baldacchino con ricche tappezzerie e la sua balaustrata, il candelabro e delle statue che danno al tutto un aspetto monumentale.
Le quattro piccole porte laterali sono ben studiate, ma quella di fondo, che serve d'entrata al salone, è meschina e non è posta in mezzo all'intercolunnio.
La sala d'ingresso al piano nobile è decorata da affreschi di Giulio Romano. Alcuni vogliono che sia poco probabile che Giulio Romano ne fosse l'autore, perchè, secondo il Vasari, Giulio allora era stato autorizzato da Clemente VII a passare al servizio di Federico Gonzaga, marchese di Mantova, presso il quale si fissò. Il papa morì nel 1534 e le pitture erano anteriori a quell'anno e mentre nel 1536 morì il Peruzzi il palazzo non era finito. Le dette pitture rappresentano le dodici fatiche d'Ercole. Lo pareti delle seguenti stanze sono tutto dirette obbliquamente verso l'angolo della sala del Discobolo, per far vedere questa celebre statua, copia in marmo del capolavoro di Mirone in bronzo, trovata il 15 marzo 1781 nella villa Palombara sull'Esquilino, proprietà della famiglia derivata da Barbara, ultima dei Savelli, il cui primogenito Carlo abbellì a fresco l'ultima villa Massimo verso il Laterano.
Nella sala del Discobolo superbo è il soffitto dorato ed intagliato, con fregio di Giulio Romano rappresentante la storia della fondazione di Roma. Nelle pareti sono quadri, busti di imperatori romani, dipinti a fresco presi dalle Terme di Tito, segati ed inquadrati dal cardinale Camillo Massimo.
Nella seguente stanza nel pavimento vi è un magnifico mosaico trovato nella tenuta di Tor Sapienza, spettante al principe Massimo (titolo conferito da Leone XII, essendo prima marchese di Baldacchino), fuori porta Maggiore. Nel vago fregio della vicina stanza Pierin del Vaga rappresentò le gesta di Didone ed Enea.
Nel secondo piano è una cappella dedicata al miracolo di S. Filippo Neri che risuscitò Paolo Massimo.
Il palazzo d'Angelo Massimi è d'uno stile più semplice e maschio. Il portone e le crociere del centro hanno fermi profili, le finestre dei piani superiori sono meno ornate e delicate, infine il muro della facciata è liscio e contrasta assai con quello del palazzo di Pietro. Il cortile è d'una gran semplicità, con arcate al pianterreno, muri lisci e nessuna decorazione.
Si dice anche che il palazzo d'Angelo fosse architettato dal Buonarroti dopo il sacco di Roma. Il palazzo fu anche chiamato di Pirro, dalla famosa statua colossale, da lui acquistata per 2,000 ducati d'oro, che si credeva allora che rappresentasse quel re, mentre è il Marte Ciprio, che si ammira ora al museo Capitolino.
La facciata posteriore del palazzo corrisponde nella piazza della porteria di S. Pantaleo, chiamata Massimi, di buono stile, in cui Daniele Ricciarelli dipinse a graffito alcuni fatti di storia sacra e profana con figure maggiori del vero di cui il più bello è l'episodio di Giuditta ed Oloferne, battaglie e trofei. Si dice anche che vi abbia lavorato Polidoro da Caravaggio. Le pitture le fece fare Domenico Massimi in occasione del matrimonio d'Angelo, secondogenito, con Antonina Planca degli Incoronati.
Baldassarre Peruzzi, come Raffaello, terminò la sua vita d'artista col suo capolavoro. Poichè, essendosi scossa la sua salute, morì, forse avvelenato, nel 1576 in povertà per sostenere la sua numerosa famiglia e mai aveva potuto avere salari proporzionati al suo merito e ai suoi servigi.

Palazzo Istoriato e Colonna dell’Odeon

Sede della prima tipografia romana e delle poste pontificie ha la facciata decorata da affreschi monocromi della scuola di Daniele da Volterra. Nel 1950 fu eretta al centro della piazza una colonna dell’antico Odeon di Domiziano, destinato agli spettacoli musicali che avrebbe contenuto fino a 10.000 spettatori.