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Fontana di Trevi

Fontana di Trevi nel progetto di Gian Lorenzo Bernini

Fontana di Trevi
Fontana di Trevi
Il gruppo marmoreo centrale della Fontana di Trevi in un disegno di GL Bernini

Pareva che dopo la morte di Gian Lorenzo Bernini non si fosse potuto più pensare alla costruzione delle grandiose fontane romane, quando, nel 1733, l'architetto Niccolò Salvi, romano, nato nel 1699 e morto nel 1761, autore di modeste opere, quali la ricostruzione della chiesa di Santa Maria in gradi di Viterbo, il Ciborio de' Benedettini di Montecassino, gli altari di San Pantaleo, di San Niccolò in San Lorenzo in Damaso e di Sant'Eustachio, per allogazione di Clemente XII, diede il sontuoso prospetto dell' acqua Vergine detta di Trevi.

Codesta acqua fu condotta anticamente a Roma per opera di Agrippa, genero di Augusto imperatore, per fornirne le sue terme celebri situate presso il Pantheon, e fu detta Vergine da una fanciulla che ne indicò la sorgente ad alcuni soldati estenuati dalla sete. Essa ha origine su l'antica via Collatina, nella tenuta di Salone, che si trova fra le strade di Tivoli e di Palestrina, e giunge nella città per un condotto sotterraneo, restaurato da Claudio e da Traiano, che ha una lunghezza di quattordici miglia. L' acquedotto passa nelle vicinanze del ponte Nomentano, attraversa le vie Nomentana e Salaria, e, dopo aver percorso la villa Borghese, giunge ai piedi della Trinità de' Monti, dove si divide in due rami, di cui l'uno passa per la via Condotti e l'altro sbocca nella Fontana di Trevi.

Nel Quattrocento il pontefice Niccolò V - come narra il Vasari - fece costruire con l'aiuto di Leon Battista Alberti l'emissario alla dolcissima acqua: « Capitando Leon Battista a Roma al tempo di Nicola V, che aveva col suo modo di fabbricare messo tutta Roma sottosopra, divenne per mezzo del Biondo da Forlì suo amicissimo, famigliare del papa, che prima si consigliava nelle cose di architettura con Bernardo Rossellino, scultore ed architetto fiorentino, come si dirà nella vita d'Antonio suo fratello. Costui avendo messo mano a rassettare il palazzo del papa ed a fare alcune cose in S. Maria Maggiore, come volle il papa, da indi innanzi si consigliò sempre con Leon Battista: onde il pontefice col parere dell'uno di questi duoi, e coll'eseguire dell'altro, fece molte cose utili e degne di essere lodate ; come furono il condotto dell'acqua Vergine, il quale essendo guasto, si racconciò, si fece la fonte in sulla piazza di Trevi con quegli ornamenti di marmo che si veggiono, ne' quali sono l'arme di quel pontefice e del popolo romano.»

Nel Cinquecento Pio IV, dopo aver fatto restaurare l'acquedotto, edificò una rustica mostra in un lato del maggior prospetto del palazzo Poli. Come l'acqua sgorgava per tre bocche nel bacino, così fu detta in « Trivio » e poi per corruzione di « Trevi ». Urbano VIII rivolse la mostra della fontana dalla parte in cui si vede presentemente, decorandola con una facciata assai semplice; ma in seguito Clemente XII, come s' è detto, costruì il prospetto sontuoso, il quale, con la magnificenza sua, oscura e fa quasi passare in seconda linea le splendide fontane del Bernini. E appare in verità un miracolo, il concetto di codesta opera grande, sorta come per incanto a mezzo di un secolo freddo e oscuro nell'arte quale fu il decimottavo, e per giunta immaginata da un artefice modestissimo, che senza di essa non sarebbe certo passato alla memoria de' posteri.

Ma gli intelligenti, soltanto per virtù d'impressione, non sanno dividere il concetto delle fontane del Seicento da quello di codesta, e più di uno, nuovo di Roma, alla vista dell'opera sovrana, non ha saputo che richiamare alla mente le più belle concezioni del Bernini. Sarebbe qui cosa lunga riportare i numerosi giudizi consimili che si son dati, ma, tanto per citarne uno de' più recenti, riporto quello dello Gnoli, che chiama la Fontana di Trevi « opera d' arte secentista nel secolo successivo ». Ora, io credo, in grazia di ricerche fortunate, di poter assolutamente stabilire l'opera di Gian Lorenzo Bernini nel concetto generale e nella speciale conformazione decorativa della famosa Fontana di Trevi.

Già dal 1629 il Bernini era stato da Urbano VIII nominato architetto dell'acqua Vergine di Salone e de' suoi acquedotti, come risulta da un « Registro di Breve » del pontefice medesimo. Riesce dunque naturale che l'architetto idraulico, il quale aveva pensato a costruire la barca marmorea, zampillante sul biforcamento de' due condotti principali della medesima acqua di Salone, pensasse altresì ad erigere una mostra monumentale allo sbocco maggiore di essa. Ed è ciò che ho potuto assodare. Nel diario di Marcantonio Valena ho trovato in fatti le note seguenti: " « Anno 1635. — Si tramutò la fontana di Trevi dal luogo antico, è fu posta in faccia » . « Anno 1641. — In questo tempo fu fatto mi gran gettito di case per la facciata che si prepara all'acqua Vergine della fontana di Trevi » Inoltre, nel diario manoscritto di Teodoro Amayden, a carte 1 dell'anno primo, 1640, ho rinvenuto quest' altra : « 25 agosto. — Una delle più belle memorie di questa già dominatrice del Mondo è un monumento antico di forma rotonda di circumferenza grandissima e di bellissimo marmo presso S. Sebastiano detto Capo di Bove. Il Bernini statuario favorito dal Papa per suo stile si è posto in consideratione di fare una facciata sontuosa all'Acqua Vergine detta di Trievi, ottenne un Breve di poter buttare à terra quella machina si bella, et incominciò à metterlo in essecutione, ma fu dal Popolo Romano avvedutosene impedito, e l'opera cessa per non caggionare rumori ».

Ora è chiaro che se cominciavasi la demolizione del famoso sepolcro di Cecilia

Metella e se il Papa aveva concesso il relativo breve, il disegno della « facciata sontuosa » era già pronto e approvato da Urbano. Non si può immaginare che un pontefice avveduto come egli era, abbia deciso a occhi chiusi di gettare a terra lo splendido monumento classico. Si può bensì supporre che egli ciò facesse, entusiasmato dell'opera grande la quale avrebbe conferito nuova gloria a lui mecenate magnifico. Ed anzi, se davasi mano alla demolizione e naturalmente anche al trasporto de' massi del vecchio edificio, si può aggiungere che le fondamenta del prospetto, condotte a calcestruzzo, erano già ultimate e aspettavano solo la sopraelevazione del frontone marmoreo.

Appare quindi evidente che Gian Lorenzo Bernini condusse un disegno per il prospetto grandioso della Fontana di Trevi, il quale, sia per la opposizione del popolo alla distruzione del monumento pagano, o sia per le cure della guerra che distoglievano il pontefice dalle opere solenni di pace, non fu condotto a compimento. Il grande artista del Seicento non era nuovo alle barbare demolizioni de' monumenti classici, e Urbano VIII neppure. Essi già, di comune accordo, come s' è detto avevano spogliato il pronao del Pantheon de' preziosi ornamenti di bronzo per costruire il Baldacchino di San Pietro, ed erano anzi giunti all'altro eccesso vandalico della demolizione de' sette costoloni di bronzo della celebre cupola. Essi decisero dunque di servirsi delle pietre del sepolcro classico per costruire la grande fontana, come già, forse, s' eran serviti di quelle del Colosseo per edificare il palazzo Barberini. Non so veramente in qual modo il Popolo Romano poté far valere le sue buone ragioni, ma sta il fatto che in seguito a codesta opposizione l'opera fu prudentemente « cessa per non caggionare rumori » . Tanto il pontefice che lo scultore dovettero quindi rassegnarsi a dare allo sbocco un prospetto semplice, il quale fu elevato nel 1643 sul posto medesimo e forse su le medesime fondamenta su cui si era progettato di elevare la « facciata sontuosa » . Ciò risulta dal seguente passo di Giacinto Grigli, il più volte citato diarista del Seicento: « A di 8 di luglio 1643. Papa Urbano partì dal Palazzo di S. Pietro, et andò a stare a Monte Cavallo, et passò a vedere la Fontana di Trevi, che allora era stata voltata da una facciata nell'altra, perché prima stava in contro alla strada che viene dal Corso per la qual strada e la chiesa et Monasterio di S. Jacopo delle Moratte, sopra questa fontana era già l'Arme di Papa Nicola V il quale l'haveva ristampata, ma Papa Urbano VIII fece prima gettare a terra le case che gli erano dietro et fece piazza, et poi voltò la mostra della fontana dalla parte destra appresso alla fontana vecchia, et spianò la forma antica, et ciò fece perché potesse vedersi la detta fontana dal Palazzo di Monte Cavallo, et è da sapere che l'acqua è stata alzata più di quello che era prima ». Anche questa memoria dimostra che l' intenzione di Urbano Vili non era quella di dare alla fontana il modesto prospetto che le diede. La demolizione delle case che eràn dietro l' antica facciata per ampliare la piazza, la diversa ubicazione data alla fontana perché potesse vedersi dal palazzo pontificio di Monte Cavallo, ed in fine la elevazione maggiore dell'acqua ottenuta con dispendiosi lavori di condutture, sono argomenti che danno la ragione della facciata sontuosa con cui il pontefice voleva adornare lo sbocco dell'acqua Vergine.

Ora resta a vedersi se, e in qual misura, il progetto del Bernini abbia influito sul lavoro del Salvi. Se si volesse solo tener conto dell'esame artistico della fontana, si direbbe senz'altro che essa fu copiata di sana pianta da un originale del Bernini. Tutto il carattere dell'arte meravigliosa di lui si ritrova ne' più minuti particolari dell'opera: il medesimo spirito fantastico e impetuoso; le stesse forme contorte e grandeggianti; la identica vigoria decorativa. Ben però, oltre le affinità dello stile, ho potuto trovare altra prova di quella influenza. Mi è riuscito infatti di rinvenire un bozzetto di mano del Bernini fatto precisamente per il gruppo centrale della fontana di Trevi. Dinanzi alla evidenza di questa prova non si può menomamente dubitare che il progetto del Bernini si trovi quasi nella sua integrità in quello del Salvi. Il prezioso disegno è posseduto dal principe Doria, per la cui squisita gentilezza ho ottenuto di esaminarlo. È condotto su la solita carta granulosa de' disegni del Bernini e v'è a piedi la sua firma autentica, co' bolli di Innocenzo X. Reca una fantastica attribuzione datagli recentemente, come appare da una iscrizione posta su la cornice. Nel disegno, schizzato spiritosamente all'acquarello con tinta di bistro, nel modo consueto all'artefice, si vede la figura di Nettuno, armato del tridente favoloso, che sorge su da enorme conchiglia, come Venere dalle onde. Ai lati due cavalli marini, che hanno accanto due pesci, saltano vigorosamente su le acque fendendo l'aria con la lunga coda di delfino. Su la conchiglia un glauco sonante nella buccina chiama gli abitatori degli occulti antri del mare. Come si vede, il disegno ha una chiara rispondenza con la composizione principale della grande fontana. Vi si vede ugualmente la figura di Nettuno giganteggiare su la conchiglia enorme: gli stessi cavalli marini dalle lunghe code terminate da una larga foglia squammosa ; v' è persino segnato il ciglio centinato della prima cascata. Vi son soltanto omessi i due tritoni che frenano i corsieri del mare, e in loro vece, nel medesimo posto, si vedono i pesci mostruosi. V è di più il gigantesco tritone somigliante il « Moro » di piazza Navona, che gonfia il torace ampio e velloso nello sforzo del richiamo. Il dio equoreo inoltre non si vede eretto, si bene seduto sul nodo della conchiglia in atto di maestà, ed ha sotto i piedi un mascherone dalla bocca difforme da cui irrompe il flutto principale.

Codeste lievi differenze non bastano a farci credere che il Salvi, dopo essersi ispirato al progetto berniniano, abbia modificato di suo genio i vari atteggiamenti delle figure e la generale conformazione ornamentale dell'opera. Si sa infatti che il Bernini, nella ardente fecondità del suo ingegno, non si fermava mai alla prima ispirazione d' un opera d' arte, sì bene ripeteva i bozzetti instancabilmente, sino a che la idea di bellezza che gli balenava nella mente non avesse preso concreta e armonica forma su le carte. Ne son prova gli otto bozzetti conservati nella biblioteca Chigiana, tutti diversi di concetto, eh' egli fece per l'obelisco della Minerva.

Chi ci dice, infatti, che il disegnino del principe Doria sia l'ultima espressione del grandioso lavoro berniniano? Chi ci dice che nel progetto generale dell'illustre artista il gruppo medesimo non fosse modificato come appunto ora si trova? Tutto lascia supporlo, perché, anche riguardo alla sintesi decorativa del prospetto, si ritrovano que' pilastri che comprendono due piani dell'edificio e che furon messi dal Bernini anche nell'antico palazzo Chigi, oggi Odescalchi, in piazza Santi Apostoli; i quali furono tanto deplorati dal Milizia, senza accorgersi che l'artefice del Seicento non aveva fatto altro che riprodurre il disegno di Michelangelo de' palagi capitolini. Si rivedon pure nell'opera grande le bugne rustiche con le quali il Bernini adornò così spiritosamente il palazzo Pamphily, oggi sede del Parlamento: le colonnine joniche adorne di festoni della Scala Regia al Vaticano: lo stemma ripetuto in cento altre sue opere, circondato dalle « Fame » con le trombe lunghe e sottili.

Ma l'Ubaldino, nel brano citato, dice che nel progetto berniniano, fra gli altri ornamenti, v' era una «Virginis statuam » . Ora si potrebbe a bella prima supporre che questa statua della Vergine debba riferirsi alla rappresentazione della Madonna. Mi sembra però che la figurazione della Madre di Dio accomunata con le rappresentazioni delle divinità pagane le quali si vedono nel disegno del Bernini, non si sarebbe certo trovata a suo agio. Può invece stabilirsi che per la «Virginis Statuam» si debba intendere quella della vergine romana la quale additò la sorgente ai legionari assetati. Ora giova avvertire che la statua della donzella pietosa nel progetto del Salvi esisteva come in quello del Bernini ed era precisamente situata nella nicchia a destra sottostante al bassorilievo che la raffigura in atto di indicare la sorgente ai soldati di Agrippa.

La statua dell'antica Vergine, disegnata dal Salvi, è così descritta in un codice della Biblioteca Vaticana: « Vestita in abito semplice, come a rustica pastorella (che tale forse doveva essere) si conviene, additando con una mano al Popolo l'acqua e con l'altra al petto pare che voglia esprimere esserne essa stata l' inventrice ». Così similmente nell'altra nicchia il Salvi aveva situato la statua di Agrippa, « il quale guardando il popolo spettatore, pare che colla destra mano levata comandi la costruzione de' nuovi acquedotti ».

Ora l'architetto che continuò il lavoro della fontana dopo la morte del Salvi non si attenne più alle disposizioni di lui e arbitrariamente pose al posto di Agrippa la statua della Salubrità, e in luogo di quella della Vergine, quella dell'Abbondanza la quale fu molto criticata per fare il paio con una di quelle che si vedono collocate sul sommo del frontone medesimo, rappresentanti le quattro stagioni. Il critico del codice vaticano tessendo il panegirico del Salvi per ciò che riguarda l'opera della fontana, esce in queste imprudenti parole : « Non si discostò il Salvi dai moderni perché il Bernino sul disegno che ne fe' per ordine di Urbano VIII fra gli altri ornamenti vi pose ancora la statua della Vergine ». Ma c'è dell'altro. Il Salvi nella sua relazione di un' altra variante della fontana, contenuta nel codice medesimo, ci fa sapere eh'egli trasse partito fin pure del tritone sonante nella buccina, ed era nel bozzetto berniniano. Ecco le parole dell'architetto della Fontana di Trevi : « Si vede fra gli scogli un tritone che ricoperto parte delle squammose code dall'acqua medesima, reggendosi attaccato con una mano ad una prominenza del sasso, tiene con la destra la buccina, e sporgendosi ansiosamente avanti col petto si fa vedere in atto di darle a tutta forza il fiato per farne giungere il suono anche alle parti più lontane » . Ed ecco dunque anche il tritone far capolino nell' opera del Salvi.

Cosicché, per quanto si è detto, mi sembra evidente che nella Fontana di Trevi si ammira in gran parte il progetto del Bernini. Ma se Nicolò Salvi ha messo qualcosa di suo nella fontana sontuosa, quanto non vi ha tolto ! Intendo dire dello spirito, della freschezza, della leggiadria decorativa. Basta infatti aver sott'occhio il disegnino del principe Doria per constatare la straordinaria potenza che il Bernini aveva sognato di dare alle figure maestose. Nel disegno elegante si vede il dio degli antri marini in tutta la sua, fierezza e in tutta la sua classica maestà : la barba e i capelli ondeggiano come lingue di fiamma al vento, e la corona irta di punte aguzze come quella di Plutone, circonda il fiero capo indomabile. Ha le carni vellose, e, nel gesto regale, rende a meraviglia il sentimento del corpo imperioso. Anche i cavalli sono assai leggiadri e agili ed hanno una grazia particolare nelle teste selvagge dalle folte criniere leonine.

Sulla fontana marmorea invece, tutto è più freddo, tutto è più teatrale e manierato. Il Nettuno ritto in attitudine d' un ballerino su la conchiglia, ha la testa di un antico patriarca ; i cavalli son troppo discosti, e le statue tutte hanno una freddezza glaciale negli atteggiamenti mimici. Il senso di grandezza trionfale però è conservato nell'insieme dell'opera, degna illustrazione della Roma magnifica de' pontefici. Noterò da ultimo che la rivendicazione della Fontana di Trevi al Bernini, l'ha già fatta, e da un pezzo, il pubblico, il quale non aspetta discussioni di nomi e di date. Esso infatti, senz'altro attribuisce l' opera al Bernini, provandoci come in un esame di cose artistiche, una rivelazione può esser data più facilmente in grazia di un'impressione vergine che in virtù di preoccupazioni storiche e di erudizione preparatoria.

STANISLAO FRASCHETTI - IL BERNINI LA SUA VITA, LA SUA OPERA, IL SUO TEMPO - 1900