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4 - COLOSSEO - Anfiteatro Flavio

di Mariano Vasi - 1816

COLOSSEO - Anfiteatro Flavio
COLOSSEO - Anfiteatro Flavio
Stampa antica del Colosseo

L'Imperator Flavio Vespasiano dopo il suo ritorno dalla guerra Giudaica, nell'anno 72 dell'era Cristiana, fece edificare questo maraviglioso Anfiteatro, nel luogo, ov'erano prima i stagni, ed i giardini di Nerone, che si può dire nel mezzo dell'antica Roma; e secondo dicesi fu terminato in soli cinque anni, avendoci impiegato dieci milioni di scudi, e dodici mila Giudei, fatti schiavi nella conquista di Gerusalemme. Siccome da Vespasiano fu fatto trasportare nella piazza di questo Anfiteatro iì celebre Colosso di Nerone, che quest'Imperatore aveva innalzato nel vestibolo del suo palazzo, perciò esso prese il nome di Colosseo: benchè molti vogliono che dalla sua gran mole colossale sia derivata una tal denominazione. Tito suo figliuolo avendolo poscia perfettamente compito, lo dedicò solennemente alia memoria di suo Padre.

Queste dedicazioni erano diverse , secondo la qualità degli edifici; riguardo ai Teatri, si celebrava la loro dedicazione con un Dramma; quella de' Circhi, col corso delle carrette; quella delle Naumachie, coi combattimenti navali; e quella degli Anfiteatri, coi giuochi de' Gladiatori, con caccie, e coi combattimenti di bestie feroci. Si legge che il suddetto Cesare, nel giorno dell'apertura di questo magnifico edificio, fece comparire cinque mila fiere d'ogni specie e che vi furono tutte uccise. Oltre i suddetti giuochi vi si facevano i combattimenti navali; però eravi il comodo d'innondarlo, benché per tali spettacoli vi fossero le Naumachie. Altra differenza non passava tra gli Anfiteatri, ed i Teatri, che questi avevano la forma d'un semicircolo, e gli Anfiteatri formavano il circolo intero; onde erano come due Teatri uniti insieme.

Benché questa superba fabbrica, ch'è quasi tutta composta di grossi pezzi di travertino, sia nella sua maggior parte rovinata , con tutto ciò da quella porzione, che ora ne rimane in piedi ben si comprende, che tutto l'edificio era esteriormente innalzato sopra due gradini, che veniva circondato all'esterno da tre ordini di archi, uno sopra dell'altro, tramezzati da colonne incassate, sostenenti il loro cornicione; che questi archi erano per ogni ordine al numero d'ottanta, con altrettante colonne, quali davano lume a doppi portici; e che tutta la fabbrica terminava con un quarto ordine di pilastri assai più alto degli altii tre, chiuso all'intorno con muraglia, ov'erano quaranta finestre intermedie.

Il primo dei quattro suddetti ordini è Dorico; il secóndo Jonico; il terzo, e il quarto sono Corinti. Gli archi del pianterreno sono segnati coi numeri Romani: essi erano tanti ingressi, da cui per mezzo di 20 scale interne si saliva ai portici superiori , ed alle gradinate; di modo che facilissimamente ognuno andava al suo posto destinato; eppoi finito lo spettacolo in pochissimo tempo, e senza alcuna confusione, usciva tutto l'infinito Popolo. Siccome fra gli Archi segnati col numero XXXVII, e XXXVIII, ve n'è uno senza numero, il quale è mancante del cornicione; però si crede, che a quest'arco appoggiasse il Propileo, cioè il ponte, che andava fino al palazzo, ed alle Terme di Tito, sul monte Esquilino, servendo all'imperatore per passare all'Anfiteatro.

Ovale è la figura di questo edificio, e la sua circonferenza esteriore è di 2416 palmi, e l'altezza di 232. Il tutto è fatto con quella semplicità, e sodezza, che richiedeva la vastità d'una mole cotanto magnifica. La sua maravigliosa grandezza meglio si comprende salendovi sopra, da dove è cosa molto piacevole, vedere il suo interno. Si può in oggi facilmente giungere fino al secondo piano, nel quale, come ancora nel primo, si ritrovano doppi e magnifici portici, giacché ultimamente è stato sgombrato di tutte quelle macerie, che cagionavano maggior rovina all'edificio.

Oltre di ciò si è scavato all'intorno, e scoperto il suo piantato; come ancora la sua arena, la quale rimaneva circa palmi 24 sottoterra. In tal'occasione si sono scoperti vari ambulacri, e diverse scale sotterranee, di cui la più interessante fu quella segreta, che serviva agl'imperatori per andare dal palazzo Imperiale del Palatino, sul podio. Vi si sono ancora trovati molti frammenti di colonne di marmo, di statue, di bassifiiievi e d'inscrizioni, di cui la più rimarchevole è quella di Lampadio, Prefetto di Roma circa l'anno 430 dell'era Cristiana, perchè in essa si legge che egli ristaurò l'arena di questo Anfiteatro, il podio, le porte posticce, e le gradinate per sedere gli spettatori.

Due sono gl'ingressi nell'arena, cioè nella piazza interna di questo Anfiteatro, e due ce ne erano ancora anticamente: quello che resta dalla parte di S. Giovanni è lo stesso, ch'era nella sua prima origine: l'altro ingresso, che si vede dalla parte del Foro Romano, non è l'antico, ma resta precisamente contiguo al medesimo. La piazza, ove celebravansi i giuochi, e gli spettacoli, era chiamata arena, dalla quantità dell'arena appunto, dì cui veniva ricoperto il suolo per comodo dei giuocatori. Essa è di figura ovale, ed ha 420 palmi dì lunghezza, 268 di larghezza, e 1100 di circonferenza. All'intorno di quest'arena eravi un muro d'altezza tale da non poter essere salito dalle fiere. Esso era forato di tratto in tratto da aperture chiuse da cancelli di ferro, donde entravano i Gladiatori, e le fiere nell'arena. Lo sporto del muro, che circondava l'arena, chiamavasi Podio: ivi erano i posti dell'Imperatore, e sua Famiglia, de' Senatori, de principali Magistrati, e delle Vestali.

Al di sopra del Podio cominciavano le gradinate per gli Spettatori, ov'erano molte porte, che vi davano l'ingresso, chiamate Vomitori, perchè da esse la moltitudine del Popolo pareva esser vomitata. Le suddette gradinate erano divise in tre ordini, anticamente detti Menian; il primo de' quali era di 12 gradini, il secondo di 15, ed ambedue erano di marmo; il terzo si crede essere stato di legno, il quale avendo una volta sofferto un'incendio, fu ristaurato da Eliogabalo, e da Alessandro Severo, secondo leggesi nelle loro vite. Quest'ordine era circondato da 80 colonne dì marmo, che sostenevano un soffitto di legno, su cui stavano gli Operari addetti al velario. Li meniani erano suddivisi da piccole scale, praticate nelle gradinate medesime, che ne facevano la separazione in forma di cunei, però esse venivano chiamate cunei. Tutte le gradinate erano capaci di 87 mila persone; potendone altresì capire ne' portici superiori altre 20 mila comodamente .

Sopra le finestre dell'ultimo ordine osservansi nella parte esteriore, diversi forami, che tutti corrispondono ad un giro continuato di modoglioni, i quali si crede, che servissero per sostenere travi di bronzo, o di ferro, a cui attaccate fossero girelle, e corde per reggere il Velario, cioè le tende, che stendevansi sull'Anfiteatro, affine di difendere gli Spettatori dal Sole, e dalla pioggia.

La maggior parte di questo magnifico, e superbo Anfiteatro, ch'è il più celebre monumento dell'antica Romana grandezza, è rimasta rovinata, per l'ingiurie del tempo, o per qualche terremoto. E' certo che nel XIV Secolo era di già in parte distrutto. Le pietre successivamente cadute sono servite per la fabbrica del palazzo di Venezia, di quello della Cancelleria, del palazzo Farnese, e del porto di Ripetta .

Quasi tutti quei forami, che vedonsi in questo ed in altri monumenti sono stati fatti nei bassi tempi per togfiere i perni di bronzo, che connettevano una pietra coll'altra. Bisogna però confessare, che quantunque gran danno abbia ricevuto dal tempo, pure tanto di bello pittoresco ha insensibilmente acquistato nelle sue ruine medesime, che si giunge perfino a non desiderarne il ristauro; potendo l'immaginazione supplire a ciò che manca; e così vedere tutto intero il sorprendente edificio.

In quest'Anfiteatro hanno sofferto il martirio moltissimi Cristiani, che dalla crudeità di alcuni Imperatori erano condannasti ad essere divorati dalle fiere. Viene tenuto perciò in venerazione, e vi sono state erette all'intorno 14 cappellette con i Misteri della Passione di Nostro Signore, ove si frequenta l'esercizio della Via Crucis.

tratto da: Itinérario istruttivo di Roma antica e moderna - Mariano Vasi - 1816