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4 - Arco di Costantino

Rilievi dell'età di Marco Aurelio

Arco di Costantino
Arco di Costantino

parte quarta

Lato Nord da sinistra a destra

Adventus

Arco di Costantino a Roma: Rilievi dell'età di Marco Aurelio

Ritorno trionfale di Marco Aurelio a Roma (adventus) accompagnato da Marte e la Virtù con la Madre Matuta e la Fortuna; sullo sfondo sono rappresentati il Tempio della Fortuna Redux, forse uno dei due presenti nell'"area sacra" di Sant'Omobono nei pressi del Foro Boario, e la Porta Trionfale.

Nella scultura quinta vedesi l'arrivo a Roma di M. Aurelio vittorioso. L'Augusto, che ha ora la mano destra tronca, incede scortato dai soldati della guardia pretoriana, rappresentata dal milite alla sua destra, il quale è completamente visibile, e da un altro alla sinistra. Il primo ha l'asta, spezzata, la corazza liscia orlata inferiormente con dentelli, la tunica fimbriata e la clamide; come il soldato a destra di M. Aurelio nella la tavola capitolina. Gli ondeggia sulle spalle la lunga criniera dell'elmo, e porta i calzari ornati superiormente da una maschera di belva.
Tien dietro all' imperatore una donna di nobile portamento, col capo velato: la Dea Pietà.
Non so perchè da alcuni sia stata interpretata per la figura simbolica dell'annona (!). Forse nel preconcetto di vedervi una scultura del tempo di Traiano. Dà indizio sulla rappresentanza della figura il venire essa dal tempio maestoso che sorge nel fondo, innanzi al quale, probabilmente, l'imperatore ha sacrificato agli Dei. Si fa incontro all' imperatore una figura mitologica, creduta dal Niebuhr la Dea Roma, da altri Marte o Virtù?, come per invitare l'imperatore ad entrare nella città a lei sacra. Regge l'asta con la mano sinistra (la destra è tronca), è galeata, con abito militare succinto, e porta calzari ornati con maschere di leone. Ritengo che in questa figura sia rappresentata la Dea Roma. Perchè se fosse Marte, avrebbe aspetto più virile, e invece di apparire sulla scena innanzi all'arco di trionfo, che conduce, evidentemente, sulla strada di Roma, verrebbe probabilmente dal tempio nel fondo. Che poi non sia Virtus, me ne dà indizio il non vedere, tra le altre figure, una sola che rappresenti i Romani; la cui esultanza è probabile che sia accennata dallo scultore. La Vittoria alata sta per deporre un serto, di cui vedesi anche un nastro ondeggiante a destra, sul capo dell' imperatore. E nel fondo sorgono, a sinistra, il famoso tempio di Marte Estramurano sulla Via Appia, a destra l'arco trionfale, con festoni, erettogli vicino sulla stessa via, un fornice del quale, diviso dall'altro sulla Via Appia, mette su una via laterale, a destra, che pur conduce al tempio.
Tra le figure del second'ordine della prospettiva è cospicua una figura muliebre, con ricca capigliatura, a sinistra dell'Augusto e volta verso di lui. che, son certo, è la Dea Igia. La quale era suggerita all'artista dal temperamento gracile dell' imperatore.
Similmente, nella tavola seconda capitolina, tra le tre di M. Aurelio mentovate, lo scultore rappresentando il secondo trionfo dell'Augusto (inverno degli a. 174-175) fa camminare a sinistra della sua quadriga una Diva, che pure si volge verso di lui, e, nell' acconciatura del capo e nella espressione morale del volto, molto somiglia alla figura suddetta dell'arco. Ritengo che sia la Dea Clemenza.
E da notarsi in fine che il corteo proviene dal tempio e s'incammina verso la città sulla Via Appia, come scorgesi dalla figura della Vittoria.
Che il tempio qui rappresentato sia quello vetustissimo di Marte Estramurano, lo confermano i testi (essendo, a mia notizia, mute le piante topografiche) descrivendo la posizione del famoso santuario. Ovidio segnatamente nei Fasti ci dà una preziosa indicazione:
Lux eadem Marti festa est, quem prospicit extra Adpositum Tectae Porta Capena Viae).
Ma non è sicura la lezione Tectae, alcuni buoni codici recando rectae (che forse ha dato origine graficamente a Tectae), il codice insigne Vaticano 3262, del sec. XI (che ho consultato), dextrae. Nè conosco altra Via Teda oltre quella che conduceva al Ponte Elio e all'arco trionfale di Graziano, Teodosio e Valentiniano.
Risulta però dal passo citato, a mio parere, che il tempio di Marte, sorgendo fuori della porta Capena, aveva il prospetto sulla Via Appia e un fianco rivolto verso la Porta Capena. Nella scultura quinta vedesi inoltre, che un diverticolo diramandosi dall'Appia, a destra, dove si ergeva l'arco trionfale, conduceva pure al tempio. Si sa ancora che la Via Appia fino al fiumicello Aimone era tortuosa, e solo dopo proseguiva in linea retta: in modo che la via recta di Ovidio probabilmente fa allusione al primo tratto in linea retta della Via Appia, vicino e innanzi al tempio di Marte.
L'arco trionfale erettogli vicino è menzionato parecchie volte nei testi topografici medioevali di Roma.
Così la Descriptio plenaria totius urbis in Urlichs, Codex Topographicus:

«Hi sunt arcus triumphales.... foris Portam Appiani ad templum Martis arcus triumphalis» (pag. 92-3);
foris portam appiam ubi beatus Xystus decollatus fuit et ubi Dominus apparuit Petro, et dixit ei: «Domine quo vadis, templum Martis» (pag. 94);
Graphia aureae urbis Romae: «Isti sunt arcus triumphales... Arcus triumphalis foris porta Appia et ad templum Martis » (op. cit, pag. 115).

È vero che parecchi archeologi ritengono probabile che il tempio di Marte sorgesse a sinistra della Via Appia ('); ma è solida la congettura contraria.
Perchè gli argomenti addotti per collocare a sinistra della Via Appia il tempio suddetto di Marte non hanno gran valore.
Sono i seguenti:
1. Sul finire del 1848 furono scoperti nella Vigna Marini, posta fuori di Porta s. Sebastiano, a sinistra di chi esce dalla città, alcuni grandi massi scorniciati di marmo, di stile corinzio, che dovevano appartenere ad un nobile e grande edilìzio, tra il 1° ed il 2° miglio della Via Appia, alla stessa distanza dalla porta, all' incirca, del luogo dove sorgeva il tempio di Marte.
2. Secondo la iscrizione di Salvia Marcellina una edicola del Collegio di Esculapio ed Igia era situata ad Martis, tra il 1° ed il 2° miglio della Via Appia, e a sinistra di chi usciva dalla città.
3. Il luogo chiamato il Monticello, per il suo livello, era opportuno a fabbricarvi il tempio di Marte.
Il primo argomento è troppo vago per dedurne una conclusione di probabilità. E Xad Martis della iscrizione di Salvia Marcellina si può spiegare benissimo vicino al tempio di Marte invece di accanto al tempio, anche se questo sorgeva nel lato destro della Via Appia, opposto alla edicola del Collegio di Esculapio ed Igia. Finalmente anche a destra della Via Appia, a brevissima distanza dal luogo detto il Monticello, v'è una eminenza, che si può credere ugualmente opportuna a fabbricarvi un tempio.
V è un indizio anche per collocare a destra della Via Appia il tempio di Marte. La famosa iscrizione « S. P. Q. E. clivom Martis in planitiam redigendum curavit » (ora nel Museo Vaticano ) fu trovata a destra della Via Appia, innanzi al luogo detto il Monticello. Può essere che lo scultore, non potendo collocare a sinistra della Via Appia il tempio di Marte, per ragioni di prospettiva, lo abbia collocato a destra; ma non mi pare verosimile.
Resta ad esaminarsi la chiosa d' uno scoliaste di Ovidio, che dà diversa interpretazione ai due versi citati dei Fasti:
«Templum Martis stat recta fronte contra Capenam portam, et est appositum extra ad viam tectam quae et hodie est Romae»
L'interpretazione non mostra acume letterario. Prospicit appositum non si spiega sicuramente, a mio parere, solo con stat veda fronte e est appositum. Crederemo allo scoliaste quando ci dà una indicazione topografica? Il tempio suddetto ci si presenta, nella scultura dell'arco, nella forma di tetrastilo, scorgendosi a sinistra un pilastro appartenente al suo lato destro, con colonne di ordine corinzio, e parete in muratura sul suo fianco destro. Ha porta a doppia imposta, e sculture sul fregio tra la cornice e l'intavolamento.
Vi è ritratta una divinità guerriera, stante, coli'asta nella sinistra, e nella destra (sembrami) un arco. Ai suoi lati sono quattro scudi e all'estremità del fregio due leoni.
Secondo Tito Livio, sarebbe stato dedicato l'anno 368 d: Roma da T. Quinzio duumviro deputato per le cose sacre, in memoria della vittoria gallica. Dionigi d'Alicarnasso afferma che dal tempio di Marte aveva principio la gran cavalcata de' cavalieri romani (talvolta in numero di 5000), che aveva luogo gl'Idi di luglio, in memoria della vittoria riportata al Lago Regillo (2). E Properzio ci fa sapere, che i soldati reduci dalla guerra appendevano le loro armi al tempio di Marte Estramurano: Armaquo quum tulero Portae votiva Capenae Subscribam: salvo grata puella viro (3).
Il tempio serviva anche per le adunanze del Senato.
Si potrebbe dubitare non la scultura quinta desse invece colla sua topografìa la rappresentanza della Porta Trionfale e il tempio antichissimo di Bellona, o quello della Fortuna Redux.
Certo è ch« la Porta Triumphalis stava tra il campo di Marte e i confini del sobborgo del Circo Flaminio, ergendo il suo arco di trionfo dove cominciava ad incedere la pompa trionfale del vincitore, dopo eh' erasi ordinata nel Campo di Marte. Anche il tempio di Bellona sorgeva fuori del pomerio, ad ovest della città, e serviva a riunioni del Senato, nelle quali o si dava udienza ai legati di nazioni estere, cui non era permesso di entrare in città, o si salutavano i capitani tornati vittoriosi dalle guerre contro gli stranieri.
Vicino al tempio di Bellona sorgeva la columna bellica, probabilmente avente il significato di un cippo di confine; e sopra di lei il feciale, al principio d'una guerra, soleva scagliare la sua lancia contro il paese nemico. Dione Cassio dice ('-) che Augusto conservò quest' uso quando dichiarò la guerra a Cleopatra. Il tempio della Fortuna Kedux, secondo Marziale (Vili, 65), fu eretto da Domiziano accanto alla Porta Triumphalis, dopo il suo solenne ingresso dell' a. 93.
Però la mancanza della colonna bellica, nella scultura quinta dell'arco, fa pensare meglio al tempio di Marte Estramurano e all'arco trionfale erettogli vicino. Anche la presenza della Dea Igia dà indizio del tempio di Esculapio ed Igia, che sorgeva vicinissimo a quello di Marte.
La data dell' ingresso in Roma di M. Aurelio appartiene o alla fine dell' a. 174 o alla fine del 176. Poiché M. Aurelio nel 174 (dopo presi i quartieri d'inverno tornò a Roma. E l'anno seguente, mentre stava per por fine alla guerra sarmatica sul Danubio, intese la ribellione di Avidio Cassio Legato nelle province orientali dell' impero. Di che, conchiusa la pace coi Sarmati, marciò subito verso Sirmio, punto strategico donde, dalle province danubiane, gli eserciti romani muovevano verso l'Oriente.
Avidio Cassio perì miseramente, prima ancora di misurarsi coll' esercito imperiale. Quindi M. Aurelio, compiuto un viaggio di ispezione nella Siria e nell' Egitto, passò in Grecia, e sulla fine dell'a. 176 giunse in Roma, dove trionfò il 23 decembre, insieme al figlio Commodo, sui Germani e sui Sarmati. La circostanza che l'imperatore giunge a Roma dalla Via Appia dà indizio che esso sia sbarcato prima a Brindisi: come vi sbarcò infatti tornando dalla spedizione nell'Oriente. Julius Capitolinus:
« Per Brundisium veniens in Italiani togam et ipse surapsit... Romani ut venit, triumphavit... congiarium populo deditì ».
Il medaglione di M. Aurelio num. 3 in Cohen, con facsimile, commemora nella 28a potestà tribunizia la venuta dell 'Augusto in Roma.
Eccone la descrizione, con alcune note, tradotta in italiano: « Medaglione di bronzo del Gabinetto Numismatico di Francia, che nel dritto ha il busto di M. Aurelio, rivolto alla destra di chi guarda, con corona d'alloro, panneggio e lorica.
Intorno corre la leggenda in lettere maiuscole: M. Antoninus Aug. ir. p. XXVII). Nel verso del medaglione leggesi la iscrizione: Imp. VI. Cos. III., e nell'esergo: Adventus Aug.; e v'è rappresentato M. Aurelio colla corazza, tenendo lo scettro nella mano destra, nella sinistra un trofeo, e passando innanzi ad un arco di trionfo, sormontato da una quadriga d'elefanti. (L'autore dice: dirigendosi verso un arco di trionfo, ma il facsimile, che riproduco alla pag. seg., mi dà la interpretazione che ho espressa (2). Vi si vede M. Aurelio che inclina, camminando, un poco a destra; e l'arco di trionfo sorge alla sua sinistra. Anche il primo soldato dei due che precedono l'Augusto cammina su una via dritta, benché già sia giunto all'asse del fornice dell' arco, il quale si eleva alla sua sinistra. L'arco di trionfo è probabilmente l'arco di Lucio Vero, come dirò spiegando la scultura sesta. Nel facsimile vedesi anche un secondo arco (attiguo all'arco trionfale) non menzionato nella descrizione. Esso ha il fornice meno alto nel facsimile, ma non nell'impronta, dove ha altezza eguale. Forse è un acquedotto della via, che conduceva immediatamente al Palatino).
«L'imperatore è preceduto da due soldati, de' quali il primo porta un' aquila legionaria, il secondo una insegna, ed è seguito, a piedi, dalla Vittoria alata, che lo incorona. Dietro la Vittoria scorgesi il tempio di Giove Capitolino (a mio avviso, il tempio di Marte Estramurano) e un altare col fuoco acceso pel sacrifizio.
In lontananza vedesi un edificio (tra il tempio e Roma. Sono probabilmente indicati i colombari che sorgevano a destra della Via Appia, prima di giungere alla Porta Capena ».
Si potrebbe obbiettare contro la data apposta: perchè il ritorno dell'Augusto non si può egualmente riferire agli ultimi giorni dell'a. 173, o ai primi mesi dell'a. 174? Vi sono indizi per ritenere che le sculture terza e quarta dell'arco si riferiscano all'a. 174 molto inoltrato. Perciò è verosimile che la scultura quinta seguente si riferisca ad un avvenimento posteriore. Inoltre, alla fine dell'anno 173, la guerra sarmatica non era ancora decisa, come vedesi dalle sculture della colonna Aureliana; anzi ebbe dopo il suo maggiore sviluppo. Quindi non è probabile che 10 scultore, alludendo al trionfo germanico e sarmatico di M. Aurelio, abbia commemorato un ingresso del 173, sapendosi bene che la guerra sarmatica non aveva avuto fine che nel 175.
Il trionfo che seguì l'ingresso suddetto di M. Aurelio è rappresentato anche da un bassorilievo moderno del Museo Vaticano. L'esimio scultore Massimiliano Laboureur, dovendo lavorare un fregio per il braccio nuovo del Museo Chiaramonti al Vaticano, vi rappresentò in uno degli stucchi i trionfi di M. Aurelio; e non esitò a far seguire alla riproduzione del portento di Giove Pluvio, ispirata dalla colonna Aureliana, la rappresentanza del primo trionfo germanico di M. Aurelio, come ce la dà la seconda tav. capitolina tra le tre di M. Aurelio menzionate.
È notevole che la rappresentanza di un ingresso solenne in una medaglia di Traiano ha diversa personificazione da quelle della Pietà e della Igiene nella scultura quinta dell'arco. La medaglia d'argento n. 1 in Cohen fa vedere l'Adventus Augusti.
l'imperatore a c'avallo, in costume militare, impugna un'asta, ed è preceduto dalla Felicità, a piedi, che tiene un caduceo e un corno d'abbondanza.

Profectio

Arco di Costantino a Roma: Rilievi dell'età di Marco Aurelio

Partenza di Marco Aurelio (profectio) tra il Genio del Senato ed il Genio del Popolo Romano, accompagnato da un gruppo di soldati e suo figlio adottivo Pompeo mentre la personificazione di una strada (Via Flaminia?) lo invita ad intraprendere il viaggio; sullo sfondo è di nuovo raffigurata la Porta Trionfale, questa volta con la quadriga di elefanti sulla cima.

Nella scultura sesta l'Augusto, con séguito di due personaggi, uno togato, nel prim'ordine della prospettiva, (forse uno de' dotti seguaci dell' imperatore Filosofo), è preceduto da un gruppo di tre soldati, con vessillo, uno dei quali a cavallo; che si volgono ad una figura muliebre, semigiacente, con ciocche di capelli pioventi sul collo. Essa è seminuda, ha volto lieto, e col braccio sinistro appoggiasi ad una ruota; protende il braccio destro, leggermente incurvato, verso l'imperatore, come per implorare una grazia. I soldati portano la corazza, perchè tornano dalla guerra germanica. A sinistra dell'imperatore, nel second'ordine della prospettiva, si scorge una testa calva (col naso un po' adunco), probabilmente di un capo militare. Nel fondo, a sinistra, è disegnato un mezzo arcale, con una colonna d'ordine corinzio, a destra un arco di trionfo, guarnito di festoni, con due colonne ornate, nel capitello, di foglie d'acanto, con due Vittorie negli angoli interni e una quadriga di elefanti in cima. Dietro gli elefanti si scorge il trionfatore, avente alla sua destra un trofeo, composto di un'armatura completa in mezzo a due scudi ovali.
A piè del trofeo siede dolente una figura muliebre.
La figura semigiacente è la personificazione d'una via di Roma, che da lungo tempo desiderava un arco di trionfo. Ma l'arco già in piedi non è quello domandato dalla figura simbolica.
E si deve credere eretto in Roma: perchè non v'è alcun indizio che sia cambiato il luogo, dove si svolgono gli avvenimenti. Sì la scultura quinta antecedente che la settima seguente si riferiscono, senza fallo, a fatti della città. È anche da notarsi che il corteo imperiale è in moto, da sinistra a destra, nella direzione del Palatino: come provenga dalla Via Appia. Invero tre soldati con un vessillo si volgono verso l'Augusto, che s'incontra colla figura muliebre, sospendendo la loro marcia; un quarto soldato, con cavallo, corazza interpuntata e un vessillo nella destra, prosegue a marciare nella direzione del Palatino; e l'Augusto col suo séguito proviene dall' arcale a sinistra, che indicherà una porta della città: probabilmente la Porta Capena, di cui si conosce la topografia, ma non il disegno.
Quale sarà l'Arco trionfale disegnato nella scultura? È verosimile che sia l'arco eretto a Lucio Vero, fratello adottivo e collega di M. Aurelio, in memoria del suo trionfo partico. È noto che l'a. 166 trionfarono in Roma M. Aurelio e Lucio Vero per la vittoria ottenuta sul re Vologeso IV dei Parti, dopo una guerra gloriosa di cinque anni; e ce n' è rimasta memoria in alcune medaglie romane, descritte ed illustrate con facsimile da E. Cohen, dove veggonsi i due Augusti su una medesima quadriga, togati e cinti il capo di alloro. Ma non è rimasto alcun avanzo, nè alcun disegno dell' arco di Vero, nè si conosce la sua topografia. Però nella tav. 35a della Forma Urbis, Romae del eh. prof. R. Lanciani vedesi che la via, subito dopo la Porta Capena, descriveva, entrando in città, una piccola curva a destra, intersecava una lunga via retta, che costeggiava il muro di cinta della città di Servio Tullio, e poi imboccava la strada conducente direttamente al Palatino, nel luogo poi chiamato Settizonio.
Ciò concorda colla topografìa della scultura sesta. L'Augusto proviene dall'arcale in fondo, che apparterrebbe alla Porta Capena. Camminati alcuni passi dentro la città, alla sua sinistra sembra aprirsi la lunga via retta lungo il muro di Servio, al cui ingresso sorge l'arco trionfale, e innanzi la via che conduce al Palatino. Il principio di essa è indicato dalla figura muliebre che chiude il passo all'Augusto, e dal soldato che prosegue a marciare col vessillo, conducendo a mano un cavallo.
Anche la composizione della scultura dà indizio che l'arco trionfale sia di Lucio Vero. Tutto è di tenue importanza nel rilievo, tranne l'arco di trionfo. Ma come vedervi una connessione opportuna coli'argomento, se l'arco di trionfo non ricordava a M. Aurelio il fratello adottivo e il collega nell' impero vittorioso dei Parti e il primo loro comune trionfo, al quale stava per seguire il trionfo germanico, cui pure aveva contribuito il defunto Lucio Vero? Certo è che l'arco di Vero sorgeva nella regione di Porta Capena; ma l'arco di Druso « Via Appio, ».
Che l'arco trionfale sia di Lucio Vero e non di Traiano o di Druso (i quali pure si trovavano nella regione I), ne dà anche indizio il vedervisi quattro elefanti tirare la quadriga del trionfatore: animali asiatici o africani, e non delle regioni nordiche, dove guerreggiarono Traiano e Druso ('). Parimente le grandi medaglie di bronzo di Lucio Vero n. 53 e 54 in Cohen, del Gabinetto Numismatico di Francia, mostrano la consecratio, e rappresentano l'Augusto assiso in una quadriga tirata da quattro elefanti, montati ciascuno da un cornac.
Per la stessa ragione mi sembra verosimile che l'arco di trionfo inciso nella medaglia aureliana n. 3 in Cohen sia di Lucio Vero, essendo, come nella scultura dell'arco, sormontato da una quadriga di elefanti e sorgendo egualmente alla sinistra del corteo imperiale, che s'interna nella città. Allora anche il tempio colà rappresentato sarà probabilmente quello di Marte Estramurano, innanzi al quale poco prima aveva M. Aurelio offerto il sacrifizio.
La via che desidera l'arco trionfale è verosimilmente la Via Flaminia, che invero da lungo tempo non aveva ottenuto monumenti di tal genere. Dai tempi di Domiziano (che pure trionfò dei Germani), se ad esso appartiene l'arco manus carneae non lungi dall' aggere serviano, presso la Porta Ratnmena, non era stato eretto alcun arco trionfale sulla famosa via, che aveva già veduto l'arco del primo imperatore Ottaviano.
Coloro che hanno spiegati i rilievi del frontone dell' arco di Costantino colla storia di Traiano, riconoscono nella scultura sesta un restauro della Via Àppia, e nella scultura dell' arco trionfale una rappresentanza dell' arco di Benevento, o dell' arco trionfale di Traiano nella regione I della Porta Capena. Ma non si scorge nella scultura sesta alcun indizio di lavori stradali, nè della topografia di Benevento o della Via Appia, che fu da Traiano restaurata da Benevento a Brindisi.
Si conoscono due soli archi trionfali di Traiano in Roma, che commemorassero le vittorie daciche. L'arco che sorgeva all ' ingresso del suo foro, che più propriamente si direbbe un propileo, e quello, del tutto scomparso e di cui non si conosce il luogo preciso, nella regione di Porta Capena. È probabile, a mio parere, che sia rappresentato dalla medaglia n. 58 di Donaldson ('). come la medaglia n. 66 dà la rappresentanza del propileo del Foro Traiano. Vedesi nei facsimili dell' opera di Donaldson, che ambedue le rappresentanze non possono identificarsi con quella della scultura sesta. Perchè il propileo che sorgeva all'ingresso del Foro Traiano, in mezzo al murus marmoreus che chiudeva nel lato meridionale il Foro, è ritratto in una grande medaglia di bronzo del Gabinetto Numismatico di Francia. Nel verso della medaglia (che reca la data del 6° consolato di Traiano (a. 112-117) è rappresentato l'imperatore di faccia, su un carro a sei cavalli in una fila, sulla sommità del propileo, de' quali i due estremi sono addestrati da due uomini, che portano nella mano libera una palma. Quindi vedesi a destra e a sinistra del carro un trofeo, poi un guerriero che porta in cima ad una lancia una spoglia nemica. In qualche altro conio invece (') sonovi all'estremità del gruppo due Vittorie.
Anche l'arco ritratto dal facsimile n. 58 di Donaldson, secondo una grande medaglia di bronzo del British Museum, non si può identificare coll'arco trionfale della scultura sesta. Vedesi nel verso della medaglia, sul culmine dell'arco, l'imperatore Traiano sopra un carro a sei cavalli in una fila, fiancheggiato da due cavalieri. La data della medaglia è del quinto consolato di Traiano (a. 104-111). Dunque non si può attribuire a Traiano la scultura sesta dell'arco di Costantino.

Congiarium

Arco di Costantino a Roma: Rilievi dell'età di Marco Aurelio

Distribuzione di pane e denaro al popolo (congiarium) con Marco Aurelio seduto su un alto podio e dietro i consoli del 173 a.c., Pompeo e Claudio Severo, probabilmente nella Basilica Ulpia dei Fori Imperiali.

La scultura settima rappresenta un congiarium, ossia una distribuzione gratuita in denaro o in generi alimentari, che soleva farsi al popolo dagl'imperatori in solenni circostanze. Qui, per festeggiare le vittorie riportate sui Germani e sui Sarmati, si distribuiscono denari in contante, ovvero tessere, per riscuotere più tardi la somma regalata. L'Augusto, colla toga, siede su un palco, assistito da tre personaggi, in piedi, togati, e colla barba, e da un giovanotto alla sua destra, vestito con tunica, che ritengo sia un distributore. Il sedile dell' imperatore è coperto di stoffa con frange all'orlo, ed ha i quattro bastoni laterali di sostegno così fatti, che partendo dall'estremità, inferiore e superiore, s'incontrano a mezz'altezza, s'incurvano nel punto d'incontro, e s'intersecano, in modo da formare quattro figure ovali nel vano inferiore del seggio. Tra le sei figure popolari del piano inferiore, che rappresentano il popolo accorso alla distribuzione, cinque si veggono di faccia; la figura più a sinistra, nel piano inferiore, si appoggia colla mano destra sul palco, che sostiene l'Augusto, come aspettando la distribuzione. È notevole, a destra, la figura del popolano, che porta a cavalcioni sulle spalle un bambino irrequieto, motivo copiato, nota il eh. Petersen, dall' arco trionfale di Traiano a Benevento. Un ragazzo, a sinistra, cammina a fianco della sua guida. Nel fondo della scena sono sei colonne di ordine corinzio, e sull'architrave, che poggia sovra esse e l'intercolunnio, corre un listello sormontato, dopo un vano, da una trabeazione.
Tra le colonne sono appesi festoni.
Il luogo preciso della scena non so che congetturarlo. Inclino a credere che sia la celeberrima Basilica Ulpia nel Foro Traiano. La quale aveva nel primo piano, o inferiore, le colonne di ordine corinzio ('). Nè la Basilica Giulia nè la Basilica Emilia nel Foro Romano, che avevano nel primo piano colonne o semicolonne di ordine dorico, possono essere qui indicate.
0 si riferisca questo congiario all'a. 175, del quale abbiamo medaglie commemorative (1), o all'anno 176, esso fu distribuito d'inverno. Ho già detto, parlando della scultura quinta, che M. Aurelio tornò in Roma sulla fine del 174. Nel compendio della storia di Dione Cassio fatto da Giov. Xifilino, si narra una spiritosaggine dei Romani relativa al grande congiario, che fu distribuito poco dopo la venuta dell' imperatore in Roma dall 'Oriente, ch'ebbe luogo nel decembre del 176.
Giunto quindi a Roma e parlando al popolo, avendo egli detto, tra le altre cose, che molti anni era vissuto lontano dal suo popolo, i Romani esclamarono * otto », e il grido accompagnarono col gesto delle mani, per avere altrettante monete d'oro per il pranzo. M. Aurelio sorrise, e disse anch'egli: otto.
E distribuì, dopo ciò, ad essi duecento dramme per ciascuno, quanto giammai finallora i Romani avevano ricevuto ».
Il congiario disegnato nella scultura costantiniana che prospetta la Meta Sudante è molto inferiore al nostro per il lavoro tecnico, ma è ragguardevole per V ampiezza della composizione artistica. Ne darò un breve cenno, valendomi delle descrizioni di Alessandro Visconti e del eh. Mons. G. Wilpert, che vi fecero, a lungo intervallo, uno studio accurato Costantino Magno siede sopra alto suggesto, col capo nudo, vestito della trabea consolare, e tiene nella sinistra lo scettro.
Colla destra distribuisce a ciascuno dei togati, che da due lati hanno accesso all'Augusto, i nummi aurei, ch'escono da uno strumento quadrilungo e interpuntato, il quale, a guisa d' un dindajuolo, ove si crolli, lascia cadere in grembo ai togati le monete. Questo arnese è scolpito in piena luce, di modo che si distinguono dodici fori circolari, disposti in quattro file. Il primo togato a destra dell' imperatore si è aggiustato il sinus per ricevere la pioggia d' oro. I padri recano sugli omeri i figli, perchè la voce dell' innocenza ringrazii il sovrano liberale. Dietro l'imperatore sono i senatori e i cavalieri. In quattro separate stanze, nel piano superiore, si distribuisce, in modo simile, il denaro ai paenulati. La distribuzione si fa da un paenulatus sotto la direzione di due togati, alcuDO de' quali è in atto di leggere o di scrivere, sia il nome dei riceventi, sia la somma distribuita.
Però la tessera dell' ufficiale pubblico è per la metà più piccola di quella dell' imperatore, e contiene sei monete soltanto.

Resa di un capo barbaro a Marco Aurelio

Arco di Costantino a Roma: Rilievi dell'età di Marco Aurelio

L'ottava scultura rappresenta un atto di clemenza di M. Aurelio. Vi si vede un distinto personaggio che, sorretto da un suo servo, si trascina ai piedi dell'Augusto, seduto sul suggesto, il cui pulvino è ornato, alle due estremità visibili, con teste di leone. Dietro l'imperatore, che si vede di profilo, sta ritto un ufficiale superiore. Assistono all' atto di sottomissione e di clemenza due uomini vestiti di tunica e barbati, de' quali il più vicino all' imperatore ha sulle gote e sul capo una pelle di tigre, l'altro una pelle di belva. Vicino al supplice sono altri due spettatori, il primo de' quali a sinistra ha il sagum, ma non l'elmo. Due soldati sono volti verso l'imperatore, e nel fondo spiccano tre insegne e un vessillo militare colla Vittoria in cima. È pur notevole che di tutti gli spettatori si vede la bocca aperta, in segno di sorpresa. L'Augusto siede sopra una base onoraria, due volte iscritta.

Della prima iscrizione, in lettere-capitali, veggo nella 1a riga:
RO(GI?)LO;
nella 2a.....OR.
Della seconda iscrizione veggo solo R nella 1a riga.
L'atteggiamento, quasi di un che caschi, del supplice dà indizio eh' esso non sia un capo militare, ma un cittadino. La scena del campo militare farebbe supporre che trattisi di un ribelle, il quale abbia preso parte ad una rivolta contro l'imperatore. La tunica, con cintura, del supplice conviene ad un Siro. Perciò è verosimile che qui si abbia un atto di clemenza verso un capo di quei ribelli, che furono implicati nella rivolta militare di Avidio Cassio Legato, che teneva il supremo comando per l'imperatore nelle province dell' Asia al di là del Monte Tauro e nell' Egitto, e usurpò per tre mesi il titolo di Augusto. Dione Cassio nel libro 71°, compendiato da Giovanni Xifilino, Giulio Capitolino, e Vulcazio Gallicano, nella biografìa di Avidio Cassio, danno notevoli ragguagli sulla condotta di M. Aurelio in questo spinoso affare, ed è necessario ricordarne i particolari, per giudicare l'opportunità del soggetto trattato dallo scultore.
Narrano dunque che Avidio Cassio, distinto generale e illustre per le sue vittorie nella guerra partica, ma uomo ambizioso e crudele, avuta notizia della morte di M. Aurelio al campo, senza appurare la verità del fatto, si proclamò erede dell' impero. Avvedutosi poi dell' abbaglio, non volle ritirarsi, ma si apparecchiò a contendere il trono a Marco. Il quale, saputo che la nuova era venuta all'orecchio dei suoi legionari, e vi aveva prodotto non piccolo turbamento, adunò a concione l'esercito e tenne un discorso commovente, tramandatoci fedelmente da Xifilino.
Bisogna, disse, rassegnarsi ai casi della fortuna. Ecco che all' improvviso ci piomba addosso la guerra civile. Non esiste più l'antica fede; la giusta fiducia negli uomini è perita. Per evitare il conflitto, sarei pronto a cedere il potere ad Avidio Cassio, se ciò potesse farsi senza far violenza ai vostri desideri e ai sentimenti del Senato. Perchè da lungo tempo, per la causa pubblica, vivo aspramente lontano dall' Italia, vecchio e cagionevole, tra infinite veglie ed affanni. Ma come Cassio avrà giusto riguardo alla repubblica, egli che agisce da fellone verso di me? Bisogna dunque farsi animo. A voi non faranno davvero paura nè i Cilicii, nè i Siri, nè i Giudei, nò gli Egiziani. Nè le vittorie partiche l'ebbe Cassio per propria virtù, ma per il vostro valore. Ma veramente già dev'essersi pentito, ora che ha appreso, che io sono tuttora in vita. Perchè s' egli non avesse creduto alla mia morte, non si sarebbe già mosso. Quando ci avvicineremo a lui, perderà la sua baldanza. E invero temo solo che qualcuno mi precorra, e lo metta a morte, togliendomi la fortuna maggiore: di poterlo aver vivo in mio potere e di perdonargli. Forse ciò vi sembrerà strano. Ma v' è ancora del buono fra gli uomini, e rimane anche a noi qualche poco dell' antica virtù. Così dalla sciagura presente trarrò almeno questo vantaggio: di poter mostrare agli uomini, che anche nelle guerre civili puossi giovare alla patria.
Così parlò, e scrisse in questo senso al Senato, contentandosi di chiamare Avidio Cassio ingrato. Ma prima di giungere alla battaglia contro l'usurpatore, questi non era più in vita, essendo stato ucciso a tradimento da un centurione e un decurione del suo stesso esercito. I quali si affrettarono di recarne la testa a M. Aurelio. Ma l'imperatore non sostenne di vederla, e fece dar subito sepoltura al corpo di Avidio Cassio. M. Aurelio fu pieno di clemenza verso coloro che avevano preso parte alla ribellione. I colpevoli furono fatti giudicare dal Senato, con ingiunzione di usare mitezza. I più violenti furono giudicati dall' imperatore stesso, e puniti con molta moderazione. Flavio Calvisio, Governatore dell' Egitto, che aveva favorito la ribellione, fu rilegato in un' isola senz' altra pena. Le sue note manoscritte furono tutte bruciate. I suoi seguaci rimessi in libertà.
Solo alcuni centurioni furono, per questa ribellione, messi a morte (').
Si sa da Giulio Capitolino, che Antiochia aveva aderito fortemente ad Avidio Cassio, e che M. Aurelio, nel suo viaggio nella Siria e nell' Egitto per pacificarvi gli animi commossi, diede beli' esempio di clemenza verso alcuni senatori di Antiochia, sebbene non avesse voluto vedere l'infausta città.
Ciò posto, è fondata la congettura che il supplice nella scultura ottava dell'arco sia un personaggio siro; e siri i due cacciatori di belve.
Infine non è sostenibile per sè stessa l'interpretazione antica, di vedere in questo rilievo rappresentata l'avventura di Parthomasiris re d'Armenia, figlio di Pacoro e nipote di Cosroe re dei Parti, il quale, avendo deposto il diadema a' piedi di Traiano nel campo delle legioni romane ad Elegeja, nella speranza di ottenere l'investitura dall' imperatore, fu da questo male accolto e discacciato (a. 115). Perchè Traiano, quando mosse contro i Parti, aveva in animo di formare del regno di Armenia una nuova provincia romana, che avrebbe molto agevolata la difesa de' confini contro gli eserciti partici in una futura guerra.
Non v' è indizio nella scultura di quel duro rifiuto di Traiano. Nè l'atteggiamento del supplice indica, a mio parere, un che domandi un regno. La data del fatto rappresentato sarebbe dunque l'a. 175 o 176, più probabilmente l'a. 175.

Alfredo Monaci - Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma - 1900