Tesori di Roma: foto di Roma gratis

VIA APPIA ANTICA

Tomba di Cecilia Metella sull'Appia Antica
Tomba di Cecilia Metella sull'Appia Antica

Arco di Druso

Poco prima di giungere alla porta Appia si trova un'arco antico in gran parte conservato, il quale si giudica comunemente essere quello che secondo Svetonio fu innalzato dal Senato a Druso nella via Appia con sopra dei trofei scolpiti (12). Sopra questo monumento vi rimangono traccie di un acquedotto formato evidentemente nei tempi posteriori alla sua costruzione per portare l'acqua probabilmente alle Terme Antoniane, siccome si può dedurre dalla continuaziane del medesimo acquedotto che esiste più in alto verso il monte. Tale acquedotto portava forse ancora l'acqua alle Terme Commodiane e Severiane che si trovano registrate in questa regione concordemente da Rufo, da Vittore e dalla Notizia, e che dovevano stare in quel d'intorno: ma non rimane più alcun resto per potere ritrovare la loro vera posizione. Vicino al descritto arco nella vigna Casali furono scoperti e distrutti i pilastri che reggevano gli archi della continuazione del nominato acquedotto

Indicazione topografica di Roma antica - Di Luigi Canina

Tomba Di Cecilia Metella

Fra tutti i sepolcri che sono luago l'Appia, il più nobile ed il più conservato . Per fare idea giusta del monumento e legger comodamente l'iscrizione, è d'uopo scostarsi; anzi salire alia parte opposta della strada. Un quadro ne forma la base, ed un cilindro il corpo del sepulcro; solita forma dei Mausolei. Così quel di Augusto, di Adriano, dei Plauti ec. Tutto fu rivestito di bel travertino, il che lo denota fatto verso il fine della Repubblica, ma la rivestítura della base n'è andata, vedendosene ormai non più che il midollo, riempito a sacco: regge ancora e molto bene quella del cilindro, e reggerà per un pezzo, lasciando vedere travertin! ottimamente incassati senza affatto, o con pochissima calcina uniti, che forse fu lo stesso travertine pesto. Termina la cima un bel festone Corintio di teschi di bove per metope, in marmo bianco, come di marmo è il bassorilievo , e l'iscrizione che dice

C A E C I L I A E

Q. C R E T I C I . F.

METELLAE

CRASSI.

cioè a Cecilia Metella figlia di Quinto Cretico , moglie di Crasso . Dunque o il marito, o qualcuno della Famiglia de' Crassi ricchissima , ne fece la spesa . Si vede che l'iscrizione era fiancheggiata da bassirilievi parimente di marmo . Per il suo lato orientale s'entra nella camera del sepolcro, spogliata al presente di ogni rivestitura , e di cónica forma , che rastrema a misura che sale . Nel mezzo vi fu un tempo un urna molto grande di marmo bianco , scannellata , ed ornata di un bellissimo meandro, trasportala sotto Paolo III. nel cortile del Palazzo Farnese. Si vedono ancora gl'incastri della gran porta, di bronzo che chiudevra la camera sepolcrale. Fa stordire la enorme grossezza del muro tutt'uno dall'ingresso esteriore sino alia camera; di modo che essendo questa appena capace di conteneré la detta urna , si puo considerare questo sepolcro per un intero rnasso . In tempi di minor antichità , fu trasformato in rocca, essendovi stati fatti in cima i merli, e fabbricatogli accanto un Castello con Chiesa ed abitazioni , come puo giudicarsi dalle rovine ancor esistenti . Vi si vedono scolpite le armi della famiglia Caetani che vi si fortificó ne' tempi délie fazioni civili. Quasi di contro la porta sepolcrale vi è a fior di terra una cisterna con apertura da un lato , la quale se comunica , conforme dicesi , con le Catacombe , forse un giorno poté serviré di una comoda e sicura sortita agli abitanti del Castello.

Circo di Caracalla o di Massenzio.

Confronta l'annessa pianta con il vero, e ti formerai una idea giusta ed adequata di tali edifizj. Poté dartene un embrione ció che ne vedemmo e dicemmo sul Circo tnassimo ; ma qui la linea de' carceri, la spina, il pulvinare del giudice sono chiaramente indicati ; i portici poi del circondario si veggono generalmente del tutto conservan. Per chiarezza maggiore, ti riduco a tre capi principal! le riflessioni necessarie su del medesimo , cioè Parti delta fabbrica , qvalita di sfettacolt, mod» di vederli. II primo nobile e regolare edifizio che il fasto Romano dedicó agli spettacoli fu il Circo, ove principalmente aver dovevano luogo le corsé de' carri e de' cavalli, come rilevasi dalla sua forma. I Teatri, gli Anfiteatri non furono che invenzioni posteriori di molto ; furono raffinamenti del gusto, che, anímalo dall' opulenza e dalle braccia innumerabili degli schiavi, seppe e poté per ciascun genere di rappresentanza , ergere un luogo proprio e conveniente . II primo Circo ed il più sontuoso fu il Massimo, questo fu l'ultimo forse, ed il più meschino. Si è sospettato di fatto che abbia potuto essere un circo private, un circo di campagna; regnando in tutta la fabbrica un'economia, ed una rusticità discorde dall'antico lusso e magnificenza Romana. Generalmente l'opera è a tufi regularmente disposti di tevolozza triangulare. Nella grossezza poi delle volte si veggono adoperate alcune olle, cioè vasi di terra cotta colle bocche ail' ingiù, non per altra ragione che per risparmio de' materiali. E sarâ esso veramente di Caracalla come si dice? Tutto il fundamento si fa in una medaglia di questo Augusto, nel cui rovescio si vede un Circo : come anche nél leggersi tróvate verso quella parte le statue di Caracalla e Giulia sua madre. Ma il Circo rappresentato potrebbe non esser questo, essendo incertissima cosa, come ognun sa, il giudicar gli edifici dalle medaglie ; e potrebbe ancora quell' Imperatore aver ristorato qualcuno degli altri mold cerchj che erano in città, perché gliene fosse dato ??nore sulle monete. Il ritrovamento de' suoi simulacri ( qualora sussista) non prova molto, súbito che si dice accaduto versa fuella parte . Le suddette ragioni avrebbero pur qualche forza ~ae non esistessero le sontuose Terme, che pur verso questa parte fabbrico Caracalla. Non è gran tempo che si dice esservi state rinvenute alcune figuline con il consolato di un certo Domízio, che si trova aver vissuto ne' tempi di Caracalla. Non so se questo bastí per appropriarlo con sicurezza a quell' Imperadore, stantechè, dato per ipotesi essere il Circo opera de* tempi di Aureliano o di Costantino, quando si rampazzavano i materiali di qua e di là ; potrebbero quelle poche figuline essere un avanzo di altri edifizj. Niuno al certo si persuadera che questo Augusto sí ricco e magnifico ne' detti bagni, divenisse tanto povero e meschino nel Circo : che se in quelle per alleçgerire le volte si usarono le pomici ; qui nelle volte , e ne' mûri medesimi s' impiegassero le olle : finalmente ehe Sparziano nellavita di quell' Augusto parli délie Terme, ma del Circo ne punto ne poco . Trattandosi di fabbriche egualmente pubblîche, egualmente grandi nel loro genere, fatte da un istesso Principe, e forse dall' Architetto medesimo„ non è da credere che fra una e l'altra passasse nel tutto e nelle parti diversità tanto sensibile. Al contrario quel modo di fabbricare, di cui se ne vedono altrove vestigj, si suol datare da tempi assai posteriori a Caracalla. L'Abbate Fabretti lo vuole di Gallieno, e lo sostiene con forza.

Eravi qui nel mezzo M. un obelisco che Innocenzo X. fece ristorare : ed innalzare in puzza Navona , coll'opera del Bernini , e l'assistenza del Padre Kircker, perció che concerneva il riattamento de' caratteri Egizi.

Roma descritta ed illustrata - Di Giuseppe Antonio Guattani

Chiesa Domine Quo Vadis

S. Maria in Palmis (Domine quo vadis)

Nel bivio formato dal biforcamento delle due vie Appia ed Ardeatina, poco meno d' un chilometro dall' attuale porta di s. Sebastiano, sorge una chiesolina chiamata da molti secoli Domine quo vadis. Quel monumento fu innalzato in tempi assai antichi a ricordo della celeberrima apparizione di Nostro Signor Gesù Cristo a s. Pietro evaso dal Mamertino, come si legge negli atti dei ss. Processo e Martiniano, e che per la via Appia incamminatosi volgeva forse in mente di giungere al mare e di là tornare in Oriente. Qualunque sia il valore storico di quella prodigiosa apparizione di Gesù Cristo a Pietro, che colle parole venio Romam iterum crucifigi rispose all' apostolo che gli disse Domine quo vadis, per fargli intendere che doveva volgere di nuovo i suoi passi alla città eterna; qualunque sia, io dico, il valore storico di questo racconto, egli è certo che fino dai tempi di Origene correva per le bocche dei fedeli; lo riporta Egesippo, si legge negli atti dei ss. Processo e Martiniano, e fra i padri del quarto secolo s. Ambrogio lo teneva per genuino.

Non è a dire quanto nei secoli di mezzo quella chiesuola fosse venerata e considerata come uno dei più insigni santuarî di Roma; onde è a deplorare che giaccia ora quasi obliterata. Il Petrarca nelle sue epistole familiari accenna a questa chiesa più d' una fiata.

Ne troviamo la memoria fino dal secolo IX, come risulta da un documento del monastero di s. Alessio, dal quale si scorge che la chiesa si chiamava in origine: ubi Dominus apparuit. Nel volgere dei secoli ebbe anche altre denominazioni, massime quelle de palma, ad passus, plantarum, ad transitum, alcune delle quali si riferiscono all' apparizione storica, altre ad una pietra p892votiva e pagana su cui sono scolpite due impressioni di piedi, nelle quali la pietà dei pellegrini dell' età di mezzo ritrovò le orme miracolose del Salvatore. Di questa pietra non si trova però alcuna allusione se non nei secoli posteriori, e dalla quale nel secolo XIV la chiesa prese il titolo di s. Maria delle Palme o del passo, che serbò fino a tutto il secolo XVI e XVII. Infatti nell' archivio dei Brevi trovo che allorquando il card. Francesco Toledo ebbe restaurata questa chiesuola, si riservò il diritto di nomina del rettore: Rectura (sic) ab ipso (Francesco Toledo) restauratae ecclesiae B. M. del Passo extra portam s. Sebastiani.

Il Galletti ricorda che nei secoli di mezzo nella piazza avanti la chiesa suddetta fullones candificant pannos. L' anno 1620, nel pontificato di Clemente VIII, fu di nuovo riedificata da un pio sacerdote Ignazio Floriani di Castelfidardo, il quale con permesso di Paolo V, posevi il facsimile della pietra, il cui origine sta in s. Sebastiano, colle orme dei piedi, conforme si è già accennato. Il card. Francesco Barberini nel 1637 ne rinnovò la facciata.

Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX - di Mariano Armellini - 1891

Chiesa di San Sebastiano

Ss. Pietro e Paolo (S. Sebastiano)

Un' antica e splendida basilica nel luogo chiamato fino al IX secolo ad catacumbas, al terzo miglio della via Appia, ricordava la memoria degli apostoli Pietro e Paolo, ove fu deposto l' invitto milite e martire cristiano s. Sebastiano. Questa basilica fu il principale santuario dell' Appia nei secoli di mezzo dopo l' abbandono del cimitero di Callisto, e dalla medesima prese il nome la porta stessa della città, che conserva tuttora quel titolo.

La più antica memoria monumentale che al sepolcro di s. Sebastiano si riferisca, è la iscrizione votiva fatta da alcuni preti del titulus Bizantis sotto il pontificato d' Innocenzo I (a. 402-417) che offrirono al martire un ricco dono, o più probabilmente lo restaurarono.

Allorquando nei secoli di mezzo, specialmente dopo il IX, la maggior parte dei cimiteri romani era caduta nell' oblio, compreso quello di Callisto, la nostra basilica raccolse quasi l' eredità di tanta gloriosa storia e di tante perdute e contraffatte tradizioni; il suo cimitero, fu reputato e chiamato di Callisto, e dai pellegrini e dai romani e dai santi visitato e venerato come tale; s. Sebastiano divenne il centro del pio pellegrinaggio ricostituito dal genio di s. Filippo Neri, e detto delle sette chiese, colonna quale egli ricondusse alle memorie ed ai santuarî dei martiri i romani del suo tempo secondo l'esempio degli antichi. Il Neri anzi, in questo cimitero da lui reputato di Callisto, fu solito per molti anni pernottare, e pregare; ed anche oggi in un cubicoletto del sottoposto ipogeo leggesi una doppia epigrafe latina e volgare posta nello scorcio del secolo XVIII a ricordo delle meditazioni fatte dal santo in quella cameretta.

Clemente XI costruì la chiesa parrocchiale, e Gregorio XVI l' affidò ai padri Minori osservanti di s. Francesco della provincia romana. L' altare di s. Sebastiano, benchè trasferito dal piano inferiore della sottoposta sua cripta al superiore, sta a sinistra della chiesa entro la nuova cappella a lui dedicata ed è chiuso da cancelli. Ricchissimo è il monumento, opera del card. Francesco Barberini, il quale vi fece collocare al disotto una statua p900del martire scolpita dal Giorgietti con i disegni del Bernini: ivi il corpo del santo martire fu riposto sotto la mensa dell' altare entro la stessa conca di marmo in cui da Onorio III era stato rinchiuso, quando nel 1218 lo ricondusse qui dalla basilica vaticana ove lo aveva trasferito Gregorio IV.

Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX - di Mariano Armellini - 1891