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OSTIA ANTICA

parte 2

Affresco di Ostia Antica
Affresco di Ostia Antica

Ciò è quanto merita osservazione nella moderna Ostia: le rovine dell'antica sorgono un mezzo miglio più oltre, e si riconoscono a tanti tumuli, o collinette, talvolta coperte di cespugli, di bronchi, e di arbusti, talvolta sormontate da ruderi informi, fra i quali torreggia la cella quadrata di magnifico tempio. Esse si estendono dalla chiesa di s. Sebastiano alla torre detta Bovacciana per un tratto di circa un miglio ed un quarto di lunghezza: e dal fiume alla così detta Torretta per poco meno di un miglio in larghezza. Non tutte però appartengono alla città propriamente detta, essendosi negli anni scorsi trovato un colombaio fra il teatro ed Ostia moderna, molto dappresso alla chiesa citata di s. Sebastiano, cioè nella direzione della lunghezza, onde la lunghezza della città credo che vada ristretta ad un dipresso fra il teatro e tor Bovacciana, cioè a circa un miglio in linea retta; e la larghezza non oltrepassò di molto lo spazio fra il fiume e la così detta Porta Marina, cioè fu di circa mezzo miglio, sempre in linea retta. Dalla disposizione visibile delle rovine risulta che la città aprivasi in una specie di semicircolo intorno al Tevere presso al cubito, che questo fiume ivi forma, appunto, come Dionisio la descrive, in un angolo fra questo ed il mare. Di là da tor Bovacciana, e dai ruderi della così detta Porta Marina, verso il mare non rimangono traccie di fabbriche; anzi può con sicurezza riconoscersi ivi il limite dell'antica spiaggia, che oggi per chi siegue la ripa del Tevere si è prolungata di ben due miglia per i depositi accumulati del fiume, che ha ivi distesa una specie di lingua. Il fiume dopo essersi volto ad oriente, nel giungere presso il teatro di Ostia torce strettamente ad occidente, formando il cubito sopraccitato, e fino alla foce continua sempre nella stessa direzione occidentale. Dai limiti indicati della città propriamente detta, e dalla forma semicircolare che le rovine conservano, può approssimativamente calcolarsi l'estensione del recinto di Ostia a due miglia e mezzo circa, e questo calcolo può darci lume sul numero de' suoi abitanti, i quali, tolte le fabbriche pubbliche, le strade, le aree, le piazze, ed i tempi etc. non sembrano avere ecceduto i 20,000. Benché non rimangano avanzi riconosciuti delle mura ostiensi, sulla loro esistenza non può cader dubbio, sì per l'uso costante de' Romani nel fondar le colonie, che per la importante posizione di questa: inoltre espressa menzione sen fa negli atti de' Martiri ad Ostia Tiberina illustrati dal De Magistris, e da questi risulta che esistevano ancora nel secolo III., come, che fossero nel secolo VI smantellate, si trae dal passo di Procopio riferito nella storia.

Rovine di Ostia.

Uscendo da Ostia moderna, e prendendo a sinistra il sentiere che costeggia le fortificazioni della torre, si giunge ad un bivio: seguendo la strada a destra, dopo un quarto di miglio dalla porta di Ostia si giunge alla riunione di tre sentieri; qualunque di questi viottoli voglia seguirsi egualmente si arriva alle rovine di Ostia, ma per tenere un certo ordine, e non"essere esposti ad andirivieni, meglio è battere quello di mezzo, il quale lascia a destra la chiesa oggi abbandonata di S. Sebastiano che fu edificata l'anno 1637. dal cardinal Ginnasi il quale vi unì un ospizio., oggi pure in rovina. I ruderi si cominciano ad incontrar poco dopo; ma i primi furono fuori del recinto di Ostia, poiché fra essi si è trovato un colombaio, oggi ancora riconoscibile, benché in gran parte ricoperto. Meno questo gli altri ruderi che dapprincipio incontransi sono di uso incerto, tutti però di buona costruzione, che richiama il primo periodo del secondo secolo. Ed è qui da premettersi che le fabbriche ostiensi sono generalmente costrutte, o di opera laterizia, o di opera reticolata con legamenti, e testate di laterizio, che la opera laterizia è generalmente formata di mattoni di argilla rossa e gialla, non molto lunghi, e piuttosto stretti, i cunei poi del reticolato sono di tufa.

Conserva.

Un mezzo quarto di miglio distante a sinistra vedesi culminare l'avanzo di un antica piscina o conserva dove probabilmente andava a finire l'acquedotto ostiense; rimane ancora la sua sostruzione o pianterreno, o parte del piano superiore che conserva ancora un pezzo dell'opus signinum od astraco che lo rivestiva. Questa piscina verso oriente era rinfiancata da tre contraforti: essa trovasi quasi in linea retta colla chiesa di S. Sebastiano.

Teatro.

Passato il colombaio menzionato più volte, trovansi i ruderi del Teatro ostiense come può riconoscersi dalla direzione semicircolare che ancora conservano, e da qualche rimasuglio della scena. Di questo teatro si ha memoria negli atti citati de' martiri di Ostia. La costruzione di questa fabbrica, parte laterizia di mattoni gialli e rossi misti insieme, parte reticolata con legamenti laterizi, non sembra lontana dal tempo di Adriano, il quale secondo ciò che nella storia si vide conservò ed accrebbe la colonia di Ostia. Esteriormente è rinfiancato da contrafforti legati insieme da archi, e forse era circondato da un ambulacro. Ora malgrado la sua forma, che è evidentemente di teatro, nella icnografia delle fabbriche ostiensi di Zappati pubblicata da Guattani si dice Anfiteatro. Secondo questa stessa pianta la scena aveva 35 canne romane o 350 palmi di lunghezza, presa però la misura da una estremità all' altra: il semidiametro poi preso pure da una estremità esterna all'altra ne avea 200. Dalla sua forma sembra essere stato un teatro romano. Queste rovine sono quasi parallele alla cella del tempio menzionata di sopra, e diriggendosi ad essa traversasi il solco di una via antica della città già fiancheggiata da taberne, delle quali sono evidenti gli avanzi : questa via va retta verso il Tevere nella direzione da mezzogiorno a settentrione. Quindi avvicinandosi vieppiù al tempio traversansi grandi rovine di fabbriche di uso incerto, le quali continuano fino al muro di recinto del tempio stesso, e se la pianta citata è corretta esse legano col muro di recinto; ma oggi sono troppo riempiute di macerie e imboschite per poterne essere certi.

Tempio.

Il tempio sorge entro un'area quadrilunga, in fondo ad essa, rivolto verso mezzodì; quest'area da tre lati veniva determinata da un muro di recinto che ancor può tracciarsi, il quale separava il terreno sacro dai profani edificj i verso mezzogiorno però terminava ad una via, della quale negli ultimi scavi fu scoperto il pavimento di poligoni di lava basaltica, e che andava nella direzione da oriente ad occidente. La lunghezza di questa area è di circa 370. palmi, la larghezza non compresi i portici di 120. Né due lati lunghi fra il muro di recinto ed il tempio stesso ricorre uno spazio di circa 40 Palmi: 90 ne corrono dall'ultimo gradino del pronao alla via pubblica menzionata di sopra: 20 dalla parete posteriore della cella al muro di recinto verso il fiume. La metà dello spazio fra i lati lunghi ed il tempio era occupata da un portico sostenuto da colonne di granito bigio e di marmo caristio o cipollino, forse alternate, di 3 palmi di diametro, delle quali ancora rimangono frammenti, che non debbono confondersi con quelli di granito pur bigio di circa 2 palmi ed 1 oncia di diametro, i quali negli ultimi scavi sono stati riuniti presso il tempio, ma non vi appartennero avendo fatto parte di un altra fabbrica non molto distante insieme co' frammenti di colonne di marmo bigio lumachellato. del medesimo diametro. Ancora nel lato occidentale si ravvisa una parte del muro di basamento, sul quale ricorrevano le colonne, e che il Zappati dà per gradini. Così queste due ale di portici rendevano questo tempio molto simile per la pianta al Foro Palladio e tempio di Pallade in Roma, variando solo ne' particolari, e nell'esser qui le colonne di un uso più ragionato che nel foro citato. Esternamente il muro di recinto veniva interrotto da nicchie alternate curvilinee e rettilinee, delle quali ultime alcune furono porte di commucazione. Il tempio propriamente detto è di una costruzione laterizia di mattoni rossi, più accurata di qualunque altra delle fabbriche che ci rimangono di Ostia antica: essa è analoga a quella del Foro Trajano e della Villa Adriana. Innalzasi sopra una sostruzione elevata come generalmente tutti i tempj, onde potere avere di fronte i gradini indispensabili alle Aedes sacrae: questa sostruzione essendo un poco più ampia formava una risega corrispondente al pavimento del tempio, e lasciava sotto di esso un penetrale, o sotterraneo, egualmente che un sotterraneo esisteva sotto il portico e sotto i gradini. La parte sotterranea corrispondente alla cella veniva illuminata da quattro feritoie per parte ne' lati lunghi all'altezza di 15 palmi dal livello dell'area: entravasi nel sotterraneo per la parte postìca del tempio, ed il suo pavimento è di opera a spiga. Il tempio era prostilo esastilo, cioè avea un portico solamente di fronte, con sei colonne di faccia: erano queste scanalate, di marmo lunense, e non giallo antico, come si dice, del diametro di quattro palmi e mezzo, rimanendone ancora un frammento ne' dintorni del tempio verso mezzodì. Oltre le sei colonne di fronte, tre ne avea di fianco contandovi sempre la colonna angolare. Al portico si saliva dall'area per una scala di 19 gradini, i quali secondo che negli ultimi scavi si vide erano di marmo lunense, marmo, che in lastre lunghe sei palmi e tre oncie rivestiva pure il pavimento del portico. Del medesimo marmo fu pure esteriormente rivestita la cella, la quale compresa la grossezza de' muri, ma non la risega del sotterraneo è un rettangolo lungo palmi 85, largo 72. È molto probabile che esternamente essa fosse decorata di pilastri, i quali seguendo l'intercolunnio del portico erano sette ne' lati e sei nella parte postica: basamento di questi pilastri era la risega del sotterraneo. La porta era amplissima come generalmente le porte de' tempj romani: benché manchi oggi di stipiti ed architrave, conserva ancora la soglia, del marmo così detto africano, solida, e in origine di un sol pezzo, ma oggi è screpolata e si riconosce aver sofferto il fuoco: essa ha 27 palmi e mezzo di lunghezza. L' interno era rivestito di nobilissimi marmi, come il numidico, o giallo, il chio, o africano etc. degli stessi marmi, uniti al caristio, o cipollino, frigio, o pavonazzetto, ed al così detto portasanta era pure formato il pavimento diviso in compartimenti rettangolari contenenti rombi variando i colori de' marmi diversi. Frammenti di questi marmi ancora vi esistono; ma la soverchia premura di chi lo visita a raccoglierli rende ogni giorno più rare le testimonianze di siffatta decorazione. In fondo alla cella rimane ancora il rialto, basamento o "tribunal" sul quale erano le statue delle divinità, alle quali era consagrato il tempio: a questo. basamento è probabile che si ascendesse per scalette laterali. Da ambedue i lati sono nella cella tre nicchie, quella di mezzo è curvilinea, le laterali sono rettilinee: esse servirono a contenere statue: è molto probabile che sotto di esse ricorresse un basamento di marmo il quale reggeva pilastri, e questi sostenevano un intavolamento sul quale era impostato il lacunare giacché non resta indizio alcuno di volta: né vi erano affatto fenestre. Si è di già notato che la costruzione di questo edifizio sorpassa in accuratezza le altre fabbriche j ora è d' aggiungersi che i frantumi che rimangono dell'architrave e del fregio di proporzione analoga a quella delle colonne ci rendon sicuri che l'ordine era corintio, e che per lo stile, che è assai buono, il tempio può attribuirsi alla epoca di Trajano e di Adriano: nel fregio, come in quello di Giove Tonante in Roma, erano espressi bucranj e istromenti da sacrificio; un pezzo che ancor ne rimane conserva oltre un bucranio coronato da tenie il principiò di un aspergillo: è questo a poca distanza dai gradi del tempio verso mezzodì. Rimane pure ben conservato un pezzo della cornice nell' area presso l'estremità del lato occidentale della cella, coperta di spini, e di arbusti, di stile analogo al resto. Quindi raccogliendo tutti gl'indizi per giudicare dell'uso e della epoca di una fabbrica, può conchiudersi, senza tema di errare, che, dalla pianta, dallo stile, e dalla costruzióne di questo edificio risulta, essere un tempio entro sacro recinto, fatto, o ricostrutto da' fondamenti nel primo periodo del secondo secolo della era volgare, o da Trajano, o da Adriano; può piuttosto propendere il giudizio per questo ultimo, giacché di lui abbiamo documenti di aver molto fatto per Ostia, ed inoltre presso queste rovine si è scoperto un brano d'iscrizione di marmo bianca, a questo stesso imperadore spettante.

… Pertanto dalle autorità allegate può dedursi che in Ostia esistevano quattro tempj, quello di Giove, quel di Giove Patulcio, quello di Nettuno, e quello di Castore e Polluce. Le iscrizioni ligoriane citate dal Volpi, le quali parlano del culto prestato in Ostia a Venere Feconda, al Padre Tiberino, e alle Ninfe, se non vogliono dirsi apocrife, son molto dubbie: d'altronde la grandezza, magnificenza, e situazione del tempio in questione escludono la dedica di esso ad alcuna delle divinità allegate nelle iscrizioni suddette. Restano pertanto i numi che aveano certamente tempio in Ostia; quanto a Nettuno, e a Castore e Polluce gli ebbero questi più prossimi e rivolti al mare come risulta dalla natura e carattere di tali divinità, protettrici de' naviganti. A loro appartiene la iscrizione che Grutero riporta (1) come avuta da Apiano, ed esistente allora in Ostia, dalla quale confermasi che fosse il tempio de due gemelli presso al lido:

LITORIBVS. NOSTRIS. QVONIAM. CERTAMINA. LAETVM

EXHIBVISSE. IVVAT. CASTOR. VENERANDEQVE. POLLVX

MVNERE. PRO. TANTO. FACIEM. CERTAMINIS. HVIVS

MAGNA. IOVIS. PROLES. VESTRA : PRO. SEDE. LOCAVI

VRBANIS. TATIVS. GAVDENS. ME. FASCIBVS. AVCTVM

NEPTVNOQVE. PATRI. LVDOS. FECISSE. SABINOS

Ricavasi pure da questa iscrizione che questo Tazio, prefetto di Roma diede innanzi al tempio di Castore e Polluce giuochi ad onore di Nettuno: presso la foce ed il mare pur dovettero averlo Giove e Giunone Patulci, il cui cognome alludeva al tenere aperta la bocca del Tevere, come Patulcio cognominavasi Giano, perché le porte del suo tempio in tempo di guerra restavano aperte, secondo che riferisce Macrobio nel primo de' Saturnali. Quindi può con molta ragione credersi essere questo il tempio di Giove Ottimo Massimo e Giunone Regina, e con queste divinità di primo ordine si accorda bene la magnificenza della opera, la quale poté a maggior lustro della città esser rifatta da Adriano. Nè vi si oppone l'ornato che vedesi sopra un frammento di base, il cui plinto è fregiato di rami intrecciati di quercia ed edera, la qual base è di lavoro analogo al resto e poté appartenere alle colonne che decoravano e reggevano il tabernacolo esistente nella cella entro cui erano poste le due divinità sul già descritto basamento. Infine è da ricordarsi che il sito dove sorge il tempio ostiense corrisponde bene alla Troja nuova di Enea secondo le testimonianze di Dionisio, Livio, e Virgilio citate a suo luogo nella storia, essendo fralle altre particolarità circa quattro stadj distante dal littorale antico.

Scalo Tiberino.

Dietro il tempio ma non corrispondente esattamente all'asse del tempio stesso, si apre verso il fiume una via ancora riconoscibile dal solco, scavata sul principio di questo secolo, e fiancheggiata da fabbriche, da taberne, e da portici : un bel pezzo di tali taberne e portici si vede presso il fiume, quantunque ora dai bronchi sia presso che reso impraticabile, ed è quello a cui si dà il nome di scalo antico, denominazione che non soffre obbiezione, che trova appoggio nella pianta e località delle rovine, ma che d' altronde non ha prove dirette. Altre rovine di uso incerto costeggiano il fiume. Dal canto opposto il gruppo di rovine che sorge a sud-est della facciata del tempio si appella palazzo imperiale, ma non se ne allegano altre prove, che la loro magnificenza.

Lavacro Ostiense.

A sud-ovest del tempio furono trovati gli avanzi di una sala mistilinea con nicchioni, e di un peristilio quadrato, scoperti sul principio di questo secolo e descritti da Guattani nel luogo indicato, dove ne dà una pianta. Dalla sua descrizione, e dalla pianta rilevasi che la sala ed il peristilio erano parti di una fabbrica stessa ricca e magnifica: l'analogia che passa tra la forma di questi avanzi, e le rovine delle terme degli antichi può fornirci il sospetto di crederli parte del lavacro ostiense, il quale, secondo che fu notato nella storia, venne al dir di Capitolino eretto dall'ottimo principe Antonino Pio. La sala mistilinea che è la più meridionale era formata da quattro nicchioni curvilinei e due essedre rettilinee fra essi, con otto piedestalli posti fra i nicchioni e le essedre per statue: era rivestita di marmi di vario colore e di alabastri; il pavimento poi era di marmo bianco. Dietro i due nicchioni che giacevano più dappresso al fiume si trovarono due scalette a chiocciola per ascendere alla sommità dell'edifizio onde ripararne il tetto o la terrazza che lo copriva: i gradini di queste scalette furono trovati molto consunti dall'attrito, essendo formati da tegoloni. Si è indicato poc'anzi che questa sala era composta di quattro nicchioni che chiudevano due essedre rettilinee fra loro, cioè ne' lati orientale ed occidentale: il lato meridionale fra i due nicchioni avea soltanto un rientramento della forma di un segmento di circolo: il settentrionale poi, o quello verso il fiume serviva di comunicazione ad un corridore ornato di pilastri con pavimento rivestito di marmo, e da questo nella stessa direzione della porta della sala mistilinea scendevasi per alcuni gradini di mar trio bianco in un peristilio formato da 36 colonne di granito bigio e di bigio lumachellato del diametro di due palmi ed un'oncia, molti pezzi delle quali estratti dalle rovine del peristilio, veggonsi oggi qua e là dispersi presso il tempio, onde da alcuni si confondono a torto con quelle del peribolo del tempio medesimo che aveano un diametro maggiore. Il pavimento del portico di questo peristilio e quello dell'area circoscritta da esso era di lastre di marmo bianco lunghe palmi 6 e larghe 3. D'intorno sotto il portico corrispondevano agl'intercolunnj nel muro altrettante nicchie curvilinee: in mezzo a' lati orientale ed occidentale ve n'erano due più ampie a maggior magnificenza: in mezzo del lato meridionale era la indicata communicazione col corridore e colla sala mistilinea, ed in mezzo del lato settentrionale era la porta che corrispondeva colla via pubblica, della quale si è detto che passava dinanzi al tempio. Per tre gradini che ricorrevano intorno, scende vasi dal peristilio nell' area scoperta circoscritta da esso, la quale senza comprendervi i gradini, avea 8o palmi per ogni lato.

Calcara, e scoperte.

Andando più oltre verso occidente si mostra il sito, in che fu trovata nel 1788 da Hamilton una calcara formata con marmi antichi ma non ancora arsi, fra i quali furono rinvenuti in pezzi i quattro gruppi delle forze di Ercole oggi esistenti ne' quattro angoli della sala degli Animali nel Museo Pio-Clementino. Altre calcare furono trovate dallo stesso Hamilton pure di marmi antichi, altre incendiate, altre ancora intatte fralle rovine ostiensi, e di un luogo detto Calcara presso Ostia attuale si fa menzione nella bolla citata di Celestino III del 1191 questo sembra essere stato ne' dintorni delle calcare trovate. Continuando a tenere la direzione verso occidente, s'incontra una linea di ruderi che vanno da mezzodì a settentrione, confusamente indicati nella carta topografica delle rovine di Ostia di Verani. Negli scavi che vi furono fatti nel 1800 vi furono trovate quattro o cinque statue, due piccoli torsi, un rocchio di colonna di giallo, una Diana Efesia, un monumento mitriaco, un Eone in bassorilievo, e colonne di affricano, di bigio, e di giallo: ma soprattutto meritano essere citate una statua eroica colla iscrizione Matri nel plinto, e il Ganimede del nuovo braccio del Museo Vaticano col nome ΦΑΙΔΙΜΟΣ dell'artefice: questa ultima statua servì di ornamento ad una fontana, come può trarsi dal tronco di albero, sul quale era appoggiata che è vuoto. Queste scoperte servono a dimostrare la magnificenza delle fabbriche di questo tratto, le quali vanno a raggiungere il Tevere senza però che i ruderi lascino travedere,a quale uso fossero destinate né la minima apparenza havvi che qui fosse un tempio come si vuole insinuare nella indicazione della pianta topografica di Verani; imperciocché secondo il vecchio metodo si diede il nome di tempio ad una piccola fabbrica rotonda, della quale ancora se ne rintraccia una parte, già decorata di colonne, col pavimento di mosaico bianco e nero con figure di varii animali, il quale riunito ad altri indizj che vi si osservano fanno inclinare a crederla ad uso di bagno. Il volgo chiama questi avanzi arca di Mercurio da qualche statua di quel nume ivi trovata ne' tempi andati, o dalla vicinanza di qualche area dello stesso nome: alcune sale rettilinee di questo gruppo di rovine conservano l'antico intonaco dipinto ad arabeschi in fondo giallo.

Porta Marina.

A mezzogiorno di queste rovine torreggiare si veggono gli avanzi di un fornice, che volgarmente diconsi porta marina , porta del corvo , i quali trovansi sulla linea estrema delle rovine verso l'antico littorale. Che questo fornice sia un'antica porta è probabile dalla situazione in che trovasi , ma non è certo, in caso che sia una porta è questo il solo avanzo visibile del recinto ostiense, del quale secondo che fu veduto di sopra si hanno memorie almeno fino alla metà del terzo secolo della era volgare. Il nome moderno di porta marina nella supposizione che sia una porta non le è male applicato.

VIAGGIO ANTIQUARIO AD OSTIA DI ANTONIO NIBBY - Roma - 1829.

prima parte