Tesori di Roma: foto di Roma gratis

4 - DIARIO ROMANO

EMILE ZOLA

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Il Foro Romano in una foto scattata da Emile Zola

quarta parte

Questi sono gli appunti che prese Zola nel suo viaggio a Roma dal 31 ottobre al 4 dicembre del 1894 per conoscere l'ambiente dove dovrà muoversi il protagonista di "Rome" un romanzo che fà parte di un ciclo iniziato con "Lourdes" e finito con "Paris".

DOMENICA 11 NOVEMBRE

Questa sera ho parlato con monsieur e madame Hébert. Le giovani aristocratiche vengono educate da istitutrici o al Sacro Cuore. (Trinità dei Monti.) Un po' di francese e di ortografia. Aritmetica. Leggere, scrivere. Nelle famiglie si impara forse qualcosa più che in convento. Più o meno studiano dai 12 ai 20 anni, proprio come a Aix. Ma civettano. Giocano con gli occhi. La storia della piccola Bonaparte,2 che ha pescato con gli occhi un giovane ufficiale al Corso.«Lo voglio», e l'ha avuto. Testardaggine. Le altre fanno passare bigliettini dietro la schiena, a messa o altrove. Escono con la madre. In vettura mute e riservate, ma parlano con gli occhi. Anche alla finestra, da cui le governanti trasmettono messaggi per loro. Piccoli scandali. La giovane sposata che conduce una vita ritirata. Non esce mai con il marito. La mattina va a comprare nastri e altre cose, o a provare dalla sarta. Dunque non è il nostro giro di compere del pomeriggio. Di pomeriggio è obbligatorio il giro del Pincio e del Corso. Ci si saluta, si lascia qualche biglietto da visita nelle case degli amici. Niente ricevimenti intimi fra le famiglie. (Sempre come a Aix.) Uno o due grandi balli nei palazzi. Ottocento persone. Stuoli di lacchè. I padroni di casa, sulla soglia, stringono la mano; e si è perduti. Dunque la Lovatelli fa eccezione. Non si parla del mondo, solo piccoli pettegolezzi. Bambinoni. Una tracotanza fatta di timidezza e d'ignoranza. Un mondo chiuso in cui non entra nulla, che si difende con la tracotanza. Forti legami familiari. La moglie e le figlie formano una specie di harem, con qualche occhiata lanciata fuori. Le ragazze scelgono un marito di proprio gusto. Delle donne, tranne qualche eccezione, non si chiacchiera: sono tutte dedite al loro amore, quando ne hanno uno. Eppure l'elemento straniero, inglesi, tedeschi e americani, che si introduce attraverso il matrimonio, muta un po' questo piccolo mondo. Società molto chiusa, ho detto, che non riceve nemmeno in famiglia: solo alle feste. La socievolezza francese è assente. Ne spirito ne affabilità. Il gineceo, con tutti i suoi inconvenienti. Nella borghesia si conduce la stessa vita ritirata, in disparte. Il marito rientra, si mette in maniche di camicia e mangia un'insalata. l lavoro non è stimato. Come ha detto Schnetz a Hébert: «Se volete essere ben visto qui, non lavorate». In effetti i B. si sono molto stupiti davanti a me.

Stasera abbiamo cenato all'ambasciata francese, a palazzo Farnese. La grande sala dei Carracci da sul Tevere. Il gabinetto dell'ambasciatore è sull'angolo e da questa stanza parte la galleria che attraversa via Giulia su un ponte per sbucare su una terrazza che domina il Tevere.
Le splendide tappezzerie dei Gobelins, venute a Roma per una mostra, sono rimaste all'ambasciatore. Comunque visiterò il palazzo e lo descriverò. La sera, per venire qui, abbiamo attraversato le grandi arterie illuminate dai globi elettrici: corso Vittorio Emanuele, via Nazionale, il Corso, San Nicola da Tolentino e altre; poi le stradine trasversali, con i rari lampioni a gas gialli. C'è un grande contrasto quando vi si penetra. Piazza Farnese con le sue due fontane, il palazzo nero, qualche lampione a gas, il selciato deserto. La scalinata di piazza di Spagna nella notte, con i suoi sei lampioni a gas, stelline di una costellazione simmetrica; poi, in alto, la massa scura della chiesa che si staglia nel cielo chiaro.

A palazzo Farnese ho saputo parecchie cose. La chiesa dei Morti, vicino all'arco, è una chiesa di penitenti che ha la missione di andare a cercare i corpi delle persone morte in campagna e rimaste abbandonate. Ci si può dunque immaginare cosa sia la campagna. Pare vi sia stato trovato un morto anche ultimamente. La campagna era molto fertile al tempo dei Romani? Sì, senza dubbio. Sono stati trovati resti di numerose ville e un complicato sistema di drenaggio. Ma se e'era un impianto di drenaggio e'era dunque la necessità di drenare e la campagna non doveva essere boscosa. Insomma, la questione di una campagna boscosa e verdeggiante resta decisamente controversa. La questione dei domestici. All'ambasciata non se ne possono tenere di francesi: mantengono i propri vizi e prendono anche tutti quelli italiani. Gli italiani sono molto pigri e ladri. Bisogna parlar loro con calma. Se li si accusa di rubare si difendono e protestano la propria innocenza. Sono molto deferenti. I poveri di Prati di Castello. Donne che non hanno pane e di conseguenza nemmeno latte. Una miseria spaventosa. Un cadavere dimenticato per cinque giorni in un alloggio ignorato. Una donna si sbaglia, scambia una finestra spalancata per una porta, precipita e muore. Il «demimonde». Una decina di «cocottes».

Abitano i palazzetti dietro la stazione (dove si trova la casa di Bonghi). Mangiano milioni ai principi. Vetture, cavalli, diamanti. Vanno tutti i giorni al Corso e al Pincio. Gli amanti le salutano, ma non si mostrano mai pubblicamente al loro fianco in carrozza. Cenano però insieme al Caffé Roma (Corso) o al Grand H.H.H. teatro stanno in palchi diversi, ma vanno a salutarle durante l'intervallo. Le dame del gran mondo si occupano di loro, le vedono al Corso, ne parlano la sera. Qualcuna è molto bella, come Violetta. Al mattino avevo parlato a lungo, con Darcours, del crac. Ecco il riassunto di tutta la storia. All'inizio le case sono state costruite con prudenza, a seconda delle necessità. Ma poi i lavori edili hanno preso un altro ritmo, nella fretta di realizzare una grande città degna dell'Italia. Così si è perso qualunque progetto generale e ognuno ha costruito come credeva. In un primo momento si trattava di prendere possesso della città, di risanarla, di farne la grande capitale moderna, di costruire per avere finalmente una terza Roma, più grande e magnifica delle altre due. Tutti avevano questa idea. Si era convinti che la popolazione si sarebbe quintuplicata, sarebbe arrivata al milione, più di quanti abitanti avesse contato la Roma dell'antichità, e che si sarebbe dovuto costruire fin fuori le mura. Lo stesso era accaduto a Berlino e a Vienna: soprattutto a Berlino dopo la conquista. Era dunque ragionevole risanare e costruire gli alloggi necessari, in una parola far fronte alle nuove necessità.

Prima del '70 si stendeva ancora la biancheria sul Corso, si buttavano gli escrementi nei cortili dei palazzi, dove ci si limitava a entrare e calarsi le brache. Niente latrine ne fogne. Roma sporca. Dunque all'inizio si costruirono le case necessarie, poi l'orgoglio e la speculazione condussero alla follia. La disgrazia è che i romani non hanno avuto un uomo come Haussmann, ne società solide come, per esempio, la società Péreire. Solo volgari speculatori, soprattutto piemontesi, scesi nel Mezzogiorno con il governo e abbattutisi su Roma carichi d'appetiti. Se ne è comunque occupato anche qualche romano (un semplice fornaio, Moroni, ha fatto fallimento per 45 milioni). Roma, nobile e facile, era una grande preda. Dunque il tutto ha avuto inizio con speculatori che hanno fiutato il tracciato delle nuove vie e che hanno acquistato case e terreni lungo questo tracciato. Come per via Nazionale e corso Vittorio Emanuele. In due anni i terreni, che valevano da 6 a 10 franchi, sono saliti da 100 a 200 franchi. Il tutto si è verificato lentamente, dal '70 al '75. I primi hanno decuplicato i propri investimenti. Trascinati dall'esempio ci si sono messi tutti, principi, piccolo borghesi, piccoli proprietari, droghieri, fornai, ciabattini; si sono tutti improvvisati speculatori e costruttori. Chi non aveva i soldi sufficienti si è rivolto alle banche, alle società di credito, prendendo in prestito per acquistare e rivendere. Si sono formate società: la Fondiaria, la Tiberina (per Torino), la Esquilino, l'Immobiliare, la Società di edilizia e costruzione.

Queste hanno acquistato terreni per conto proprio giocandoci sopra, scegliendo ognuna qualche vecchio quartiere da abbattere: il ghetto, il quartiere in cui passa corso Vittorio Emanuele, quello di porta San Giovanni, di porta San Lorenzo (vicino al cimitero), del Testacelo, soprattutto di Prati di Castello (qui fra l'84 e il 90). Ai Prati hanno acquistato tutte le società: una vera e propria città da far sorgere dal suolo con un colpo di bacchetta magica. Così pure fuori città: l'immenso triangolo, la cui base va da porta Salaria a porta Pia e al cui apice si trova Sant'Agnese. Anche qui erano presenti tutte le società, rivali fra loro. Ma perché tante case, case per una popolazione inesistente? Vorrei che si calcolasse la popolazione che potrebbe vivere nelle nuove abitazioni. Si dice da cinque a seicentomila persone. E questa cifra non doveva sembrare esagerata agli italiani. Berlino era ben quintuplicata. Inoltre devono aver pensato che la prima fatale affluenza sarebbe continuata, non potesse che crescere. Le case avrebbero richiamato gli abitanti. Infine il resto è stato compiuto dalla follia della speculazione. Infiammati dai guadagni, ci si sono buttati tutti. All'inizio le società hanno costruito esse stesse, poi hanno venduto a 200 franchi al metro i terreni acquistati a 10 e li hanno venduti a costruttori improvvisati, senza esperienza. In seguito hanno dovuto anticipare il denaro e prestare somme a questi costruttori, a mano a mano che le case crescevano. Quando i costruttori non hanno più potuto far fronte alla situazione, le società si sono riprese terreni e case, cosa che ha dato loro una potenza formidabile ma che ha finito per distruggerle. Le somme spese per le costruzioni raggiungono il miliardo. Per i lavori pubblici, marciapiedi, 81 milioni (non terminati); il monumento a Vittorio Emanuele, 60 milioni (non sarà finito prima di trent'anni); le fortificazioni intorno alla città, 250 milioni; il ministero delle Finanze, 15 milioni; la Banca Nazionale, 10 milioni (si è finanziata da sola); il ministero della Guerra, 10 milioni.

Infine la crisi è scoppiata per due ragioni. In primo luogo gli abitanti che non sono arrivati. Inoltre non sono state costruite casette medie per chi volesse acquistarle e vivere! facendo un investimento. Solo gran palazzi. (È l'atavismo dell'antico palazzo che ha dovuto guastare tutto.) Le società costruivano case per venderle, ma gli appartamenti erano troppo grandi e non si è trovato capitale privato sufficiente a sostituire quello delle banche. Infine altrove, come a Parigi e Berlino, le case sono state costruite con capitali nazionali, con denaro risparmiato. A Roma si è costruito tutto a credito, con lettere di cambio a tre mesi e, soprattutto, con denaro straniero: in fondo sempre l'orgoglio nazionale, la certezza di riuscire a far le cose in grande uccisa infine dalla speculazione. I due fattori della catastrofe sono dunque stati prima l'orgoglio e poi il lucro. In fondo la spiegazione è molto umana. I soldi inghiottiti sono circa 800 milioni, che per quattro quinti sono soldi francesi. Niente denaro tedesco o inglese. Non si è proceduto a prestiti, ma semplicemente con cambiali a tre mesi. I banchieri francesi prestavano al 3,5 o al 4% ai banchieri italiani (banche: Nazionale, di Napoli, Credito mobiliare, ecc.). Queste banche prestavano a loro volta al 6,7 o 8% ai costruttori romani. Depretis,7 un Crispi stordito e Magliani, il grande ministro delle Finanze italiano. Crispi viola. All'annuncio della Triplice Alleanza, si crea un'enorme emozione in Francia, che ritira i suoi capitali. Si produce un enorme riflusso: i capitalisti francesi hanno ripreso i loro 800 milioni in due anni. Le banche, costrette a rimborsare, hanno cercato di creare obblighi emettendo obbligazioni (sic). Ma non sono riuscite a piazzarle. Allora hanno dovuto rivolgersi alle banche d'emissione, che hanno la facoltà di emettere documenti. Le società di costruzione hanno esercitato pressione sullo Stato, dicendo:
«Siamo minacciate dal fallimento, quindi dovremo bloccare le costruzioni e vi ritroverete quarantamila operai disoccupati e interi quartieri incompiuti». Lo Stato, spaventato dal minacciato fallimento di tutte le società fondiarie, ha costretto le banche di emissione a prestare somme enormi alle società di costruzione. Da qui il considerevole indebitamento delle società di costruzione verso le banche d'emissione, la banca nazionale, ecc.: debito che va dai 5 ai 600 milioni. Le società non hanno potuto rimborsare le banche alla scadenza: nessuno aveva acquistato le case e non erano venuti nemmeno gli abitanti. Da qui il crollo, lo sconvolgimento. I piccoli proprietari sono calati sui costruttori, questi sulle società fondiarie e queste ultime sulle banche. Ecco come la crisi edilizia è divenuta un crac finanziario generale e formidabile.

Anche il governo ha fatto spese folli, lungo un sentiero parallelo: un enorme budget per la guerra, 20 milioni all'anno per la marina; poi considerevoli opere pubbliche in tutte le città; fortificazioni; soprattutto ferrovie. Nuove emissioni ogni anno. E questa la crisi economica italiana. Alla base l'orgoglio, la volontà di essere una grande nazione (il sangue di Augusto). E ovunque la fretta: l'Italia ha voluto fare in un quarto di secolo il cammino percorso dalla Francia in un secolo intero.
Storia di Buoncompagni, principe di Piombino. Ricchissimo, possedeva villa Ludovisi, sopra villa Medici. Una società finanziaria, l'Immobiliare, gliela acquistò a un buon prezzo, sei milioni. Ma, preso dalla febbre della speculazione, il principe riacquistò alla compagnia i suoi antichi terreni, giocò, costruì, infine si trovò preso dall'ingranaggio appena spiegato. Oggi non ha perso solo i sei milioni, ma ha anche inghiottito la fortuna del figlio, duca di Sora. Il palazzo di villa Ludovisi è in vendita.

Le perdite del papa. Monsignor Folchi amministrava la cassa pontifìcia. Il principe di Sora, che in fondo conduceva tutto Far fare di villa Ludovisi, vedendo che in Italia era impossibile trovare soldi per le costruzioni, organizzò con Lazzaroni «le Crédit» a Parigi, in modo di mandare in Francia obbligazioni per la clientela religiosa e aristocratica, che veniva tentata con l'allusione che anche il papa fosse nell'affare. In realtà c'era, perché monsignor Folchi (con o senza papa) aveva preso dal tesoro pontificio tre milioni di rendite francesi, italiane e austriache, realizzate per dare a Sora i soldi necessari a costituire il Crédit parigino (dal capitale di cinque milioni). Il papa possedeva i capitali lasciati da Pio IX e soprattutto un gran tesoro in valori francesi e inglesi, ma le conversioni ne avevano abbassato la rendita, che dal 5 era scesa al 3 e al 4. Avarissimo, si dice, ascoltò i consiglieri e finì per mettere fondi considerevoli nelle operazioni di costruzione a Roma. Anche omnibus e mulini. Società finanziarie che dovevano rendere dal 6 al 7. Ma la grande speranza era di mettere le mani su Roma e riprendersi con la finanza la città che gli era stata strappata con la forza. Ha dunque messo in gioco tutto il tesoro: alcuni dicono che abbia perso 23 milioni, altri 37. Così è stata dissipata una parte del patrimonio di San Pietro.
E ora la storia dei Borghese. Il principe don Paolo aveva appena ereditato un'enorme fortuna, 497 mila franchi di rendita, senza contare palazzo Borghese, la pinacoteca e villa Borghese, per un ammontare dai 25 ai 30 milioni. TI principe Borghese, don Paolo, aveva per amante la marchesa Theodoli (romana). Il marchese, il marito, venne trascinato negli affari di una società di costruzioni senza grande importanza, formata dall'Immobiliare. Questa piccola società faceva costruire case per rivenderle. Quando questa cominciò ad andar male il marchese Theodoli, il marito, fece appello al principe Borghese. Quando don Paolo si rifiutò, anche la marchesa si rifiutò. In due anni, il passivo del principe salì a 36 milioni. Oggi cerca di realizzare vendendo tutto. I creditori si prenderanno dal 60 al 70% del suo patrimonio. È stato fatto un tentativo perché il papa vada in soccorso del principe Borghese. Scottato, il papa ha rifiutato."

Infine la sera c'è stato il banchetto offertomi dalla stampa. Discorsi del presidente Bonghi, del ministro Ferraris e del rappresentante del sindaco di Roma. E decisamente un popolo che dubita di se stesso, che non è sicuro di se stesso. Da qui la pressione che cerca di esercitare su di me: la paura di una donna che trema all'idea che non la si trovi bella. Siccome in questo mondo non c'è bellezza, si preoccupa di quello che si pensa di lui, vorrebbe costringervi ad ammirarlo.