Tesori di Roma: foto di Roma gratis

SU, ALLA CUPOLA DI SAN PIETRO

EDMONDO DE AMICIS

Cupola di San Pietro

Ecco la porta per salire alla cupola. Coraggio e su, che sarà una sudata memorabile. Si sale per una scala a chiocciola; gli scalini sono larghissimi e appena rilevati; si va su a grandi giri, agevolmente, senza avvertire la salita. Il muro è coperto di lastre di marmo dove sono segnati i nomi di tutti i principi del mondo che salirono la cupola. C'è l'iscrizione di Ferdinando II di Napoli. Sotto, appoggiate al muro, ci stanno otto daghe di bersagliere. Più su, a ogni passo, cappelli coi pennacchi, chepì, sciabole di cavalleria, cinturini, giberne. Sopra la testa e sotto i piedi un fracasso da stordire. Sono squadre intiere di soldati che scendono, salgono, s'incontrano, si salutano, si esprimono l'un l'altro lo stupore e l'allegria. Già si leggono pei muri le loro iscrizioni, poiché il soldato, per dove passa, lascia sempre traccia di sé. Sotto quella del Borbone che dice: " Re del regno delle due Sicilie, salì nella cupola ed entrò nella palla", si legge: "Tale dei tali, allora caporale del genio, ha avuto l'onore di salutarlo a Gaeta".

Oh, ecco una finestra, guardiamo giù. E non si canzona! siamo già oltre il tetto dei più alti palazzi. Si ripiglia la salita si cammina altri dieci minuti, ecco una porta, si esce al ciclo aperto. Eccoci sul tetto della chiesa: è una piazza d'armi. Si vede da una parte un edifizio rotondo alto quanto una chiesa ordinaria: non è altro che una delle cupolette minori che fanno da stato maggiore alla principale. È grande e stupenda, ma nessuno la guarda; non s'ha tempo per guardare tutte le minuzie. Si corre al parapetto, si guarda nella piazza: è un formicaio. Si guardano le statue che sorgono in fila sul sommo della facciata: che moli! Piedi che non istanno sul tavolino dove scrivete; pieghe dei panni ; in cui si può nascondere un uomo; dita che paiono clave. Ve una chiave di San Pietro che, a prima giunta, si piglia per un'ancora, di bastimento. I soldati scorazzano da tutte le parti, chiamandosi e salutandosi dalla piazza al tetto, dal tetto alla cupola, ed esprimendosi la maraviglia con quel ridere allegro e quelle esclamazioni scherzose: " Che bagatella! ". E chi vuoi andare di qua, chi di là, si tirano, si spingono, si aggruppano, si sparpagliano, correndo, ridendo e chiacchierando, come i ragazzi nel cortile di un collegio. " Bisogna farsi coraggio ", dice uno, " e salire, perché se non si va in paradiso questa volta, non ci si va più ". " Ma questa cupola par piccola ", ripeto al mio amico. E lui: " Guarda in cima ". L'ultimo terrazzino è pieno di soldati; o come mai si vedono così piccoli se son così vicini?

Su, alla cupola. Sali e gira e rigira, ecco un uscio che da sur una galleria; la galleria da nell'interno della chiesa; mi affaccio; ma mi tiro subito indietro, preso dalla vertigine. " Guarda la sala del Concilio, laggiù in quella nave della chiesa ", mi dice il compagno. Guardo. " Ma come! là dentro stavano tutti questi vescovi? Ma se è grande come una scatola da tabacco! ". Che cosa paiono gli uomini laggiù? Mi ricordo il detto del Guerrazzi: "quelli che sono insetti". Intorno a quell'altarino di mezzo ce n'è uno sciame: sembrano una macchia nera che si muova. Guardo, dietro di me, nel muro, e m'accorgo che quelle testine d'angiolo a mosaico, ch'io vedeva di giù, starebbero bene sopra un par di spalle di titano.

Si risale. Scale lunghe e diritte di cui si vede appena la sommità, scale a chiocciola dove per salire bisogna afferrarsi ad una fune, scale di legno a zig-zag, scale comprese fra due pareti curve dove bisogna camminare rotolandosi sulla parete più bassa; e da capo scale dritte, e da capo scale a chiocciola, e avanti, sudando, ansando e soffiando; ecco finalmente un raggio di luce, una porta, eccoci sulla sommità, ecco tutta Roma: oh che aria viva e leggera!

La prima esclamazione che mi colpisce, arrivato là, è d'un artigliere lombardo: " Madona! - esclama giungendo le mani - alter ch'el domm de Milan!".

Si guarda giù, sul tetto della chiesa, dove si era poc'anzi: si vede una processione di formiche. La gente che passeggia per la piazzarsi discerne appena; le due grandi fontane sembrano due pennacchietti bianchi agitati; le cupole minori della basilica, campanelle, di quelle piccine, che si mettono sulle statuette dei santi. Tutta la città si abbraccia con uno sguardo. Subito danno nell'occhio le mura del Colosseo e delle Terme nere e gigantesche. Le statue in cima alle colonne, le punte degli obelischi, le sponde curve del Tevere, il Pincio, la villa Borghese, il Quirinale, San Giovanni Laterano, il Gianicolo, che sembra una collinetta di giardino, tutto si vede distintamente. Il giardino del Vaticano pare un'aiuola; il Vaticano, un edifizio comune, coi cortiletti; è tutto chiuso e deserto. Ecco Monte Mario. Ecco laggiù la campagna romana, nuda e sinistra; di qui debbono aver veduto il passaggio delle divisioni del Cadorna, compagnia per compagnia, cannone per cannone. Ecco Monterotondo, Tivoli, Frascati, Albano, e più a destra, lontano, quella sottile striscia luminosa, il mare. Roma! Roma! Benedetto nome che non si è mai stanchi di dirlo; c'è qualche segreto in questo suono: Roma! Pare che sempre ce lo ripeta l'eco nell'orecchio: Roma!

Eccola qui tutta...

Un soldato accanto a me guarda anch'egli Roma con aria pensierosa; pare che voglia dire qualche cosa, sorride, alza una mano, la batte sul parapetto: " Finalment... ".

Sentiamo quel che vien dopo.

" Ghe semm! ".

Senti come l'ha detto con gusto! E tutti gli altri soldati, sul punto di scendere, agitando una mano: " Addio, addio Roma! ". E giù per le lunghe scale tortuose echeggia il suono dei passi precipitosi e delle voci allegre.

Da Le tre capitali. Catania, ed. Giannotti, 1898.