Senti, Lucia! vuoi che andiamo
sul Palatino? E nel cielo una mollezza
di sogno, è nell'aria che carezza
le chiome frondose un richiamo
di secoli morti, uno strano
brivido di silenzio, una nostalgia
di lontananze: perché sai. Lucia,
noi veniamo d'assai lontano.
L'imperial collina era l'asse: immota
stava ne' suoi palagi come il destino.
Intorno a quell'asse il mondo era la ruota.
La luce dal sole, la legge dal Palatino.
Lo vedi il Palatino? Scheletro immane,
dalle occhiaie aperte sulle roggie mura
come trasognato guarda nell'oscura
profondità delle cose lontane.
Insieme commisti, i crollati edifici
e la boscaglia onde l'altura è vestita
paiono uscire dalle stesse radici,
germogliare dalla stessa vita.
Sali quassù dove Remolo, nel centro
del pomerio, scavò il mundus, la fossa
misteriosa onde il suo popolo dentro
la terra madre attingesse la possa.
Ampia dalla specola del Palatino
s'apre intorno la vista, e si distende
via per lontananze senza confino,
per oceani sterminati di vicende.
Vedi nell'ampia distesa fluttuanti
le maree dei popoli, e l'onde
l'onde incalzando, battere alle sponde
dei secoli, un eterno urlo mugghianti.
Dal cuore del mondo, lungo le vie consolari,
dietro l'aquile di Giove tonante,
fervido come il flutto dei legionari,
come il sangue nelle vene di un gigante;
e seguìa la sapienza reggitrice
de' popoli sulle terre e sull'acque,
E quando la grande aquila sulla pendice
del Palatino trafitta giacque,
pur là guardava con un senso arcano
di timore e d'amore la terra doma,
piegando il ginocchio se col globo in mano
passava il fantasma imperiale di Roma.
Or versa a fasci sul colle trionfale
una luce di sogno il moriente sole,
e avvolge di polvere d'oro con mano uguale
i muri, i cipressi, le colonne e le ajuole.
Dice il sole: - O imperial collina,
coll'oro dei tramonti i tuoi silenzi io coloro:
ma quando io sarò spento, chi verserà l'oro
dei tramonti sul bujo della mia ruina?
Da I canti del Palatino - Nuove solitudini, Milano, F.lli Treves, 1924