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FORO ROMANO

Basilica Giulia

La Basilica Giulia con a sinistra il Tempio di Antonino e Faustina e le Colonne Onorarie; in fondo il Tempio di Vesta, l'Arco di Tito e il Tempio dei Castori; a destra il Palatino
La Basilica Giulia con a sinistra il Tempio di Antonino e Faustina e le Colonne Onorarie; in fondo il Tempio di Vesta, l'Arco di Tito e il Tempio dei Castori; a destra il Palatino

L'ingresso al Foro è sul lato meridionale, nella Via delle Grazie. Si discende per un sentiero, fiancheggiato da frammenti di colonne e sculture romane e medioevali: il primo monumento che si trova è la Basilica Giulia.

La costruzione della basilica fu cominciata già nel 54 avanti Cristo (v. p. 14): e per erigerla furono distrutti alcuni edifizi, fra i quali la Basilica Sempronia e le tabernae veteres. Giulio Cesare la dedicò benchè non ultimata, il 26 settembre 46 avanti Cristo, giorno in cui si festeggiava la vittoria di Thapsos. La basilica primitiva (effigiata forse sul rovescio di una moneta appartenente al 38-36 avanti Cristo, v. fig. 15) fu compiuta da Augusto, ma poco dopo venne distrutta da un incendio.

Augusto la ricostruì subito, ampliandola, e questo secondo edifizio fu dedicato col nome dei suoi figli adottivi Gaio e Lucio Cesare, morti prematuramente. Conservò bensì il nome Basilica Giulia, mentre raramente trovasi chiamata Basilica Gai et Luci. Della storia della basilica poche notizie sono rimaste: sappiamo soltanto che fu danneggiata dal grande incendio avvenuto sotto Carino (284), e da un altro al tempo dell'imperatore Diocleziano; e gravi danni ebbe pure a soffrire sotto Onorio, quando Roma fu saccheggiata dai Goti. Poco dopo il prefetto della città Gabinio Vezzio Probiano ristaurò l'edifizio e lo decorò con pregevoli sculture (416 dopo Cristo). Nel secolo nono, una piccola chiesa, Santa Maria in Cannapara, fu costruita nell'ambulacro occidentale del pianterreno. Nei secoli seguenti, le rovine coperte di terra, servivano come cave di pietre: l'ospedale della Consolazione, a cui apparteneva il terreno, ne ritrasse un reddito cospicuo, affittandolo 'per cavar marmi e travertini'. Per conseguenza, gli scavi moderni del 1788, 1849 e 1870 hanno ridato alla luce soltanto i pochi avanzi lasciati dagli scavatori del Rinascimento.

La basilica si compone di tre parti: il portico fiancheggiante la Sacra Via, la sala centrale circondata da gallerie, e le stanze (tabernae) situate dietro la sala (verso la Consolazione). Traversiamo prima la basilica nel senso della larghezza (fino al punto segnato Ia, dirimpetto le due colonne isolate), per esaminare poi, tornando indietro, ordinatamente le tre parti.

Dalla Sacra Via il portico era accessibile mediante una scalinata di sette gradini all'angolo orientale, e uno solo all'estremità occidentale. Il portico, a due piani, era sorretto da forti pilastri, cui erano addossate mezze colonne di ordine dorico. La facciata verso il Foro è quasi interamente distrutta; l'unico pilastro che apparisce conservato è invece ricostruito modernamente ed è in travertino, mentre la facciata originale era tutta di marmo. Nel mezzo del portico, presso cotesto pilastro, sono collocate due grandi basi con iscrizioni del prefetto Probiano (416 dopo Cristo, v. sopra); e sovrapposti a quelle due piccoli zoccoli per statue, con le epigrafi: opus Polycliti ed opus Timarchi. Queste epigrafi come altre simili, sono posteriori a Costantino, allorchè si cercava di proteggere contro i cristiani le immagini delle antiche divinità, scrivendovi sotto nomi di sommi artisti (l'esempio più conosciuto è quello dei Dioscuri di Monte Cavallo, con le iscrizioni opus Fidiae — opus Praxitelis). Sul pavimento del portico, composto di lastre di marmo bianco, si trovano graffite molte tavole lusorie: la maggior parte di esse sono circolari e servivano per un giuoco, ove due avversari tiravano con tre sassolini ognuno. Per vincere bisognava aver i sassolini tutti in una riga (come sulla moderna "tavola del mulino"; v. fig. 17). Altre tavole rettangolari, con lettere e simboli aggruppati sei per sei, servivano per un giuoco sommigliante, come pare, al nostro "trictrac". — I tetti del portico e delle navate laterali erano piani, a modo di terrazze: l'imperatore Caligola si divertiva a gettare di lì sopra, monete d'oro e di argento alla plebe romana che si pigiava sulla piazza.

Dal portico, altri due gradini conducevano nella sala centrale, lunga (comprese le gallerie) metri 100, larga 36 (navata centrale m. 82 x 18). Trentasei pilastri di mattoni, incrostati di marmo, reggevano il piano superiore: la luce penetrava nella sala dalle aperture laterali, e più ancora dalle finestre poste in alto, sotto l'enorme tettoia, le cui travi fornirono il più gran materiale agli incendi sopra mentovati. Le navate laterali avevano volte a botte, decorate con stucchi: parecchi frammenti della decorazione furono trovati nel 1789 e nel 1849, ma ora sono perduti. Il pavimento della sala centrale era composto di grandi lastre di marmo colorato (marmo giallo, marmo africano, pavonazzetto); il 'pavimento alla veneziana' che oggi ne copra la maggior parte, è moderno. Quello delle navate laterali era di marmo bianco e sulle lastre si vedono graffitte molte tavole lusorie, ed anche parecchi disegni, imitanti rozzamente opere d'arte poste nella basilica.

Nella sala centrale si tenevano le sedute delle assise romane (centumviri): questa corte giudiziaria era divisa in quattro sezioni, ciascuna delle quali aveva un tribunale: in case di speciale importanza le quattro sezioni erano riunite (quadruplex iudicium). Narra Quintiliano, che Galerio Tracalo, console nell' anno 68 dopo Cristo, famoso tanto per la sua eloquenza, quanto per il timbro sonoro della sua voce, allorchè discuteva dinanzi ad uno dei tribunali era applaudito anche da coloro che assistevano alle udienze degli altri tre. Questo fatto dimostra che i quattro tribunali non erano separati fra loro da pareti solide, ma da sole tende o pareti provvisorie di legno. Plinio minore racconta che discutendo egli in una causa celebre, la folla si pigiava non soltanto nel pianterreno, ma anche nelle gallerie 'ove tutto si vedeva benissimo, ma poco si udiva'. Dunque la basilica, come parecchie sale moderne simili, aveva un'acustica difettuosa.

Dietro la seconda navata delle gallerie laterali si trova una serie di camere rettangolari con pareti di tufo e di travertino, le quali, benchè di apparenza arcaica, non sono anteriori ad Augusto. Generalmente si chiamano tabernae; e forse servivano come ufficî e come locali per adunanze di corporazioni, ecc. Probabilmente anche i cambiavalute, 'nummulari de Basilica Iulia' menzionati in parecchie iscrizioni, avevano qui le loro botteghe. Codeste taberne sono scavate finora soltanto in piccola parte.

Nella navata sinistra (confinante col Vicus Iugarius) si vedono gli avanzi della piccola chiesa di Santa Maria in Cannapara: il nome proviene dai funari, che, nell'età di mezzo, esercitavano il loro mestiere nella sala centrale. Della chiesa rimangono una colonna col capitello, frammenti della cancellata del coro, ecc., e il tutto con ornati nello stile dei sec. VII-VIII. La costruzione della chiesa ha contribuito a conservare alcuni resti del portico esteriore: di un pilastro rimangono tre strati di marmo, di un altro si vedono le impronte nella calce di un pilastro laterizio il quale appartenne ad un arco sopra il vico Iugario, di cui si ignora il nome e la data precisa della costruzione. — Sull'angolo NO. della basilica gli scavi recenti anno portato alla luce, sotto l'edifizio imperiale, avanzi di tufo e di muri reticolati, appartenenti forse alla costruzione originaria di Cesare.

Tratto da: Il Foro Romano - Storia e Monumenti da Christian Hülsen pubblicato da Ermanno Loescher & Co Editori di S. M. la Regina d'Italia 1905

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