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FORO ROMANO

Basilica Emilia e Fulvia

Basilica Emilia: il lato con le Taberne e a destra l'iscrizione monumentale
Basilica Emilia: il lato con le Taberne e a destra l'iscrizione monumentale

Nel 179 av. Cr. (575 a. u. c.) il censore M. Fulvio Nobiliore diede in appalto la costruzione di una basilica — la seconda che ebbe Roma — "dietro le taberne nuove", e quella del mercato del pesce (forum piscarium). La basilica venne edificata da Fulvio insieme col suo collega nella censura, M. Emilio Lepido, e per ciò fu chiamata in origine Basilica Fulvia et Aemilia. Più tardi pero, l'edificio divenne quasi un monumento della gens Aemilia, la quale non cessò di rendersene benemerita e così al nome primitivo si sostituì il solo di Basilica Aemilia. Nel 78 avanti Cristo (676 a. u. c.) il censore M. Emilio Lepido restaurò la basilica decorandone la facciata con scudi di metallo dorato; una medaglia coniata dal triumviro Lepido nel 61 avanti Cristo rappresenta l'edifizio a due piani, con scudi rotondi appesi alla cornice inferiore. Nel 54 avanti Cristo, l'edile curule M. Emilio Lepido rinnovò l'edifizio di concerto e con denaro fornitogli da Giulio Cesare; nello stesso tempo cominciò sul lato meridionale del Foro la costruzione di un'altra basilica simile che poi fu chiamata Giulia. Il figlio dell'edile, il console Paolo Emilio Lepido dedicò venti anni dopo la basilica incominciata dal padre e il medesimo Paolo la restaurò dopo un incendio col danaro dell'imperatore Augusto. Anche sotto Tiberio, il console del 22 dopo Cristo, Marco Lepido, restaurò la basilica, "un glorioso monumento dei suoi antenati", come la chiama Tacito in questa occasione. Sulle vicende ulteriori dell'edifizio nulla dicono le fonti letterarie, invece gli avanzi stessi del monumento dimostrano che esso fu distrutto probabilmente nel saccheggio gotico del 410, e ricostruito negli anni seguenti. Il Prefetto della città nel 416, Probiano, il medesimo che restaurò la Basilica Giulia, ornò con parecchie statue la Basilica Emilia. Nel secolo ottavo, l'edifizio cadde in rovina e nella parte orientale fu costruita una specie di fortezza. Della sua ultima distruzione nulla si sa di certo; nel secolo XIV-XVil terreno fra Sant'Adriano e San Lorenzo era chiamato "la zecca vecchia", e serviva da cava dipietre. Sul lato occidentale, dirimpetto a Sant'Adriano, in quel tempo stava ancora in piedi un angolo dell'edifizio con la sua trabeazione dorica e dai bucranî nelle metopi lo chiamavano gli architetti del rinascimento "Foro Boario".

Quando intorno al 1500 il cardinale di Corneto, Adriano Castellesi, costruì il suo palazzo in Borgo nella piazza Scossacavalli (oggi palazzo Giraud-Torlonia), il suo architetto — che era il sommo Bramante — distrusse quest'ultimo avanzo della basilica servendosi del materiale per la costruzione del palazzo. Sparite così le ultime vestigia dell'edifizio, ne svanì presto anche la memoria, e soltanto ai nostri giorni ne fu nuovamente accertata la posizione.

La basilica del tempo imperiale (di quella repubblicana rimangono soltanto alcune parti delle fondamenta, innestate con quelle dell'edifizio più recente) è divisa in tre parti: il portico, le taberne e la sala principale.

Dall'area del Foro, quattro gradini conducono ad un ripiano lastricato di marmo bianco, e da questo due altri gradini menano al portico. La facciata del portico, per la sua architettura perfettamente uguale a quella della Basilica Giulia posta dirimpetto, consisteva in due piani sostenuti da grandi pilastri con mezze colonne addossate, tutte di marmo bianco. Sull'angolo orientale, presso il tempio di Faustina, una specie di padiglione saliva circa quattro metri dinanzi la fronte. Il pianterreno aveva quattordici arcate d'ingresso e sopra gli arci stava un cornicione dorico con bucranî e patere nelle metopi.

Nel portico giacciono parecchi frammenti di una cornice ornata a foglie di acanto, che faceva parte delle decorazioni interne della basilica; merita di confrontare i pezzi originali dell'edifizio del tempo di Augusto con altri provenienti da un restauro forse del secolo secondo o terzo che gli stanno accanto, e che appariscono di fattura assai meno accurata. Il portico non dava adito, come nella Basilica Giulia, direttamente alla sala centrale, si accedeva a questa mediante una porta situata nel mezzo delle taberne, sull'asse trasversale dell'edifizio, di cui è ancora al posto la soglia di marmo. A destra e a sinistra di questa porta si trovano sei stanze quasi quadrate (tabernae) prive di comunicazioni fra loro e che, come quelle dietro la sala centrale della Basilica Giulia, servivano probabilmente da uffizi. Sull'estremità di queste taberne si trovano scale che conducono al piano superiore.

La sala principale (alla quale si accede ora per un ponte di legno sopra un canale antico) è larga m. 29, lunga più di 70. La navata laterale, che sta immediatamente dietro le taberne, è larga m. 5: sul lato opposto erano, come si rileva tanto dagli avanzi della basilica, quanto della Forma Urbis, non una, ma due navate. Le gallerie che circondavano la nave centrale erano sorrette da colonne invece che da pilastri, come nella Basilica Giulia, e dei fusti di queste colonne, che erano di marmo africano ed avevano un diametro di m. 0.85, rimangono moltissimi frammenti. Sopra le colonne ricorreva un cornicione di lavoro assai fino: in alcuni pezzi dell'architrave danneggiati dal fuoco si vedono frammenti di un'epigrafe: ..... PAVL ..... RESTI ....., la quale si riferisce forse al restauro del console Paolo nel 34 o 14 av. Cr. Le navate laterali non erano a volta, come quelle della Basilica Giulia, ma con soffitti di legno; le colonne del piano superiore, anch'esse di marmo africano, avevano soltanto un diametro di m. 0,55. Anche del cornicione dell'ordine superiore si sono trovati frammenti di lavoro finissimo. L'ingresso principale della sala doveva essere dal lato occidentale verso la Curia; dal lato opposto, verso il tempio di Faustina, era l'abside, di cui sarà fra poco cominciato lo scavo.

Il pavimento della navata centrale, composto di grandi lastre di marmo colorato (giallo, cipollino, portasanta) mostra in molti punti le vestigia del fuoco: innumerevoli pezzetti di ferro e di bronzo vi sono attaccati, e fra essi molte monete (conservate per la maggior parte nei magazzini del Museo), che sono, per quanto si può riconoscere dai conii, posteriori a Costantino. L'edifizio adunque fu una volta distrutta da un incendio, facile a svilupparsi a cagione dei soffitti di legno delle navate laterali e sopratutto della grande intravatura che copriva la nave centrale. Secondo le monete ritrovate, questa distruzione avvenne nel quinto secolo d. C., probabilmente quando, durante il saccheggio di Alarico, anche la Curia e il Secretarium furono divorati dalle fiamme. Nel restauro dell'edifizio compiuto poco tempo dopo sotto Onorio il pavimento danneggiato non fu tolto, ma invece, come nella casa delle Vestali, ne fu posto immediatamente sopra, quasi a contatto, un altro più rozzo. In questa maniera si intende come le vestigia dell'incendio, le monete, ecc. siano così bene conservate.

Uscendo dalla sala centrale, per la già mentovata porta di mezzo, si incontrano gli avanzi di una costruzione medievale di massi di tufo grigio male collegati fra loro; si crede che siano avanzi di una chiesa o di una casa fortificata non anteriore al secolo settimo od ottavo dopo Cristo Le lastre marmoree con ricco ornato di fogliami che sono affisse sulle pareti esteriori, non appartengono nè a questa costruzione, nè alla basilica. Esse coprivano nel medio evo un canale scavato sotto la strada dinanzi la basilica (un pezzo perfettamente simile conservato nel Museo Lateranense deve essere stato scoperto durante scavi anteriori di cui si ignora la data). Un gran masso di marmo, preso dalle pareti della Regia, e con un importante frammento dei fasti consolari, serviva come soglia in una porta di questa casa medievale (il marmo ora è riunito con gli altri nel Palazzo dei Conservatori).

In alcune delle "taberne" nella parte occidentale della basilica si trovano pavimenti di marmo composti di rettangoli, cerchi e piccole liste di giallo, porfido e serpentino; resti di pavimenti simili sono conservati in parecchie chiese di Roma, p. es. Santa Maria in Cosmedin e Santa Prassede, la cui decorazione rimonta ai secoli VII-IX; quindi anche quelli della Basilica Emilia si dovranno ascrivere a quel periodo. In queste taberne, che ora servono da magazzini, si trovano frammenti di sculture, iscrizioni, ecc., fra i quali meritano di essere segnalati, per la loro bellezza, frammenti architettonici della basilica stessa (p. es. gli stipiti di una porta con ornamenti di acanto in rilievo assai basso).

Dinanzi le taberne nella parte orientale notansi tre colonne di granito poste sopra basi cubiche di marmo bianco (rimesse ora in piedi): esse appartengono ai restauri del principio del sec. quinto dopo Cristo Gli intervalli fra queste colonne sono molto più ristretti di quello che fossero fra i pilastri primitivi (3,77 m. invece di 5,31 m.); la facciata, quindi, invece di quattordici grandi arcate, aveva circa venticinque intercolumni meno larghi.

Di questo colonnato forse faceva parte un frammento di epistilio trovato negli ultimi scavi e giacente ora dinanzi i gradini della basilica; l'iscrizione che vi è incisa ricorda l'imperatore Onorio e il prefetto della città Aurelio Anicio Simmaco (418-420 dopo Cristo).

Dinanzi le colonne di granito vi è un gran cumulo di rovine, fra le quali, frammenti che appartenevano non soltanto alla basilica, ma anche ad altri edifizi vicini. I frammenti più notevoli sono di un'iscrizione monumentale con grandi e bellissime lettere assai bene conservate:

L·CAESARI·AVGVSTI F·DIVI·N·

PRINCIPI IVVENTVTIS COS·DESIG

CVM ESSET ANN·NAT·XIIII·AVG·

SENATVS

Questi blocchi appartenevano ad un monumento eretto dal Senato a Lucio Cesare, figlio adottivo di Augusto, nel 2 avanti Cristo, quando egli, giovanetto di quattordici anni, fu designato console ed ebbe nel medesimo tempo le cariche di princeps iuventutis e di augur. L'iscrizione è simile all'altra posta ad Augusto dalla plebs urbana, un frammento della quale, inciso con grandi e bellissime lettere, fu trovato in quell'edifizio dinanzi il tempio di Giulio Cesare creduto medievale. Ove fosse il posto primitivo di queste epigrafi non si può dire con piena certezza.

Dietro questo cumulo di rovine, quasi sull'estremità della basilica, rimangono ancora in situalcuni grandi blocchi di marmo, del piano inferiore del portico. Essi facevano parte del padiglione mentovato più sopra; nell'angolo interno dei blocchi si vede un terzo di colonna con scanalature, mentre i lati esterni avevano pilastri pure scanalati.

Tratto da: Il Foro Romano - Storia e Monumenti da Christian Hülsen pubblicato da Ermanno Loescher & Co Editori di S. M. la Regina d'Italia 1905

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