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Il Barocco a Roma

CAPITOLO XV - LA LETTERATURA DELL'ETÀ BAROCCA

La poetica e il gusto del Seicento.
Non soltanto nell'ambito della prosa scientifica, strettamente legata al modello galileiano, e della dottrina politica e della storiografia, che si svolgono sulle orme della tradizione machiavellica e guicciardiniana, si anche nel campo della poetica e della varia letteratura d'arte, che qui più da vicino ci interessa, il Seicento rivela i suoi vincoli con l'esperienza del secolo precedente. Che, presa nel complesso, l'età che corre dal Tasso al Metastasio, ricchissima com'è di letteratura, sia poi da noi poverissima di poesia, questo è giudizio ormai radicato e confermato da una condanna secolare, contro il quale non c'è nulla da opporre, e al quale è inutile anche tentar di accodare un corredo di vane giustificazioni. Questa decadenza poetica corrisponde infatti e fa tutt'uno con quella generale decadenza dell'entusiasmo morale, con quell'abbassamento e dissanguamento degli spiriti, dei sentimenti, delle ambizioni che è uno dei segni caratteristici del periodo della Controriforma e del predominio spagnolo in Italia. Non altrettanto vero è invece l'altro giudizio, per cui si stabilisce un distacco violento, quasi un abisso, fra la letteratura cinquecentesca e quella secentesca (fra la misura, la grazia e il decoro di quella e la stravaganza, l'artificio, la turgida ampollosità di questa) e di cotesto distacco si determina la causa in un vacuo desiderio di novità e di stranezze meramente formali. Che questo desiderio di novità fosse davvero negli scrittori del Seicento è innegabile, ma occorrerà pure tener presente come esso sorgesse sul fondamento di una tradizione tuttora venerata e vagheggiata, e in quella trovasse il punto di partenza e gli appigli e insieme il suo limite e la sua inquadratura.
In fondo quel che si dice il barocco, e cioè la caratteristica e la manifestazione esterna del gusto secentesco, consistente appunto in quella tendenza verso il meraviglioso, lo strano, lo sbalorditivo, che si sostituisce al vagheggiamento dell'intima verità poetica, non è altro che l'estrema forma assunta dal classicismo, inteso sia come desiderio di rinnovare e rinfrescare tutti i generi letterari dell'antichità greco-romana, sia come culto edonistico della bellezza sentita come pura forma, sia infine come ricerca del decoro e della magnificenza, dell'ornato e dell'arte raffinata e peregrina. In questo senso il secolo XVII continua e approfondisce le aspirazioni della poetica cinquecentesca, e aggiungendovi di suo una certa disposizione d'animo ormai stanco e svogliato e insieme avido e irrequieto, le svolge fino ai limiti dell'assurdo, le esaurisce e dalla loro dissoluzione fa scaturire le premesse di un gusto nuovo. L'elemento della riflessione e della consapevolezza critica, che era già tanta parte del gusto letterario del Cinquecento, ora prende il sopravvento e s'accampa in primo piano; e quanto più si fa povera e debole la vena della schietta ispirazione, tanto più la retorica diventa scoperta e fine a se stessa, e la perizia tecnica si raffina e si esaspera. Anche la varia produzione letteraria di questo secolo deve esser considerata, più che nel suo intrinseco e quasi sempre scarso valore di poesia, come un segno e un apporto ai progressi della poetica e del gusto, come un elemento di quell'atmosfera riflessiva e critica, giunta a un grado estremo di raffinatezza ansiosa e irrequieta, che è la novità del Seicento e il punto di partenza dell'estetica nuova, la quale giungerà alla sua piena affermazione dottrinale sul finire del secolo e agli inizi del seguente.

da Disegno Storico della Letteratura Italiana di N. Sapegno - La Nuova Italia Editrice 1973