Sull'Aventino. Fu edificata sopra le rovine
di un antico tempio pagano probabilmente dedicato a Diana in quel
luogo medesimo dove la leggenda vuole che fosse la grotta di Fauno
e Pico, e dove era la fonte che il re Numa empì di vino per
ubbriacare i due fauni e farli prigionieri. L'origine della chiesa
è antichissima e rimonta ai primi tempi del cristianesimo,
già che si narra che San Pietro abitò quel luogo,
vi celebrò la messa e vi battezzò molti convertiti
alla fede. Anticamente era dedicata a S. Aquila, ma nel secolo iii
il papa Eutichiano (275 - 83) avendo ritrovato il corpo di Santa
Prisca lo fece trasportare in quella chiesa che fu allora detta
di S. Aquila e Prisca e fu titolo di cardinale prete, antichissimo
tanto che se ne ha menzione nel secondo Concilio romano tenuto da
Simmaco nel 499. Nel 772 fu restaurato da Adriano I, nel 1455 da
Calisto III, nel 1600 dal cardinale Giustiniani che vi aggiunse
la facciata e finalmente nel 1735 da Clemente XII (Corsini) il quale
la ridusse alla forma odierna. La facciata è di Carlo Lombardo
aretino.
Interno. - È a tre navate divise da 14 colonne oggi incastrate
nei pilastri per renderle più solide. Sulle pareti della
navata centrale: figure di Santi eseguite a fresco dal Fontebuoni.
Navata di destra: altare della crocera: dedicato a S. Gualberto;
cappella nell'abside: dedicata alla Madonna. I quadri di queste
cappelle come quelli della navata a sinistra sono opere di anonimi
del secolo xvii. Altar maggiore - Il battesimo di Santa Prisca,
quadro a olio del Passignani. A destra: iscrizione per ricordare
il restauro del cardinale Giustiniani. A sinistra: iscrizione di
Calisto III.
Prima ubi ab Evandro sacrata est Herculis ara
Urbis Romanae prima superstitio,
Post ubi structa aedes longe celebrata Dianae
Struetque tot veterum templa pudenda Deum,
Montis Aventini nunc facta est gloria major,
Unius veri religione Dei.
Precipue ob Priscae quod cernis nobile templum,
Quod priscum merito par sibi nomen habet,
Nam Petrus id docuit populus dum saepe doceret
Dum, faceret magno Sacraque saepe Deo
Dum quos faunorum fontis deceperat error
Hic melius sacra purificaret aqua
Quod demum nullis se se volventibus annis
Corruit, haud ulla subveniente manu.
Summus at Antistes Calixtus tertius ipsum
Extulit omne eius restituitque decus,
Cui simul aeternae tribuit dona ampla salutis
Ipsius ne qua parte careret ope.
(Dove fu in origine consacrata da Evandro un'ara ad Ercole, prima
superstizione della città di Roma, e dove in seguito sorsero
i molto illustri edifici di Diana e tutti gli altri templi degli
obbrobriosi Dii, ora è fatta più grande la gloria
del Monte Aventino per la religione del vero unico Dio. Poichè
la nobile chiesa di Prisca che tu scorgi, ha merito pari alla sua
rinomanza antica. Quivi infatti Pietro ammaestrò i popoli
e celebrò il sacrificio della messa. E mentre l'errore della
fonte dei fauni aveva ingannato molti, ora da una sacra acqua furono
purificati. Poi per il lungo volgere di anni, e per la mancanza
di una soccorrevole mano, l'edificio ruinò: ma il sommo pontefice
Calisto III lo ricostruì, ridandogli tutto l'antico splendore
e nel tempo stesso gli concesse i doni dell'eterna salute, affinchè
in nessuna parte fosse mancato il suo aiuto).
Navata a sinistra. - Cappella del Crocefìsso, nella nave.
In fondo all'abside: cappella consacrata a S. Antonio da Padova.
Chiesa sotterranea. - È la chiesa primitiva dove S. Pietro
avrebbe celebrata la messa. Le pareti sono dipinte con grotteschi
del Fontebuoni. Da un lato: antico capitello romano, scavato per
contenere l'acqua battesimale e adoperato - secondo la tradizione
- dall'apostolo per battezzare S. Aquila e S. Priscilla. Intorno
a questo capitello è l'iscrizione del secolo xiii: Baptismus
Sancti Petri.
Diego Angeli
S. Prisca In quella parte dell' Aventino che è rivolta ad
oriente, sorge una chiesa antichissima, ove si vuole fossero stato
un tempio di Ercole. Narrano favolosamente le antiche leggende che
quivi fosse una grotta di Fauno e di Pico con una fonte in cui Numa
pose del vino per inebriarli, con altre simili assurdità.
Ricordo ciò perchè s' intendano questi versi, che
leggonsi nella chiesa a mano sinistra dell' altar maggiore, postivi
da Callisto III:
PRIMA VBI AD EVANDRO SACRATA EST HERCVLIS ARA
VRBIS ROMANAE PRIMA SVPERSITITO
POST VBI STRVCTA AEDES LONGE CELEBRATA DIANAE,
MONTIS AVENTINI NVNC FACTA EST GLORIA MAIOR,
VNIVS VERI RELIGIONE DEI.
PRAECIPVE OB PRISCAE QVOD CERNIS NOBILE TEMPLVM,
QVOD PRISCVM MERITO PARETE SIBI NOMEN HABET
NAM PETRVS ID DOCVIT POPVLVS DVM SAEPE DOCERET,
DVM FACERET MAGNO SACRAQVE SAEPE DEO.
DVM QVOS FAVNORVM FONTIS DECEPERAT ERROR
HIC MELIVS SACRA PVRIFICARET AQVA.
QVOD DEMVM MVLTISSTESSE SE VOLVENTIBVS ANNIS
CORRVIT HAVD VLLA SVBVENIENTE MANV.
SVMMVS AT ANTISTES CALLISTVS TERTIVS IPSVM
EXTVLI OMNE EIVS RESTITVITQVE DECVS
CVI SIMVL AETERNAE TRIBVIT DONA AMPLA SALVTIS,
IPSIVS NE QVA PARTE CARERET OPE.
Secondo questo epigramma, s. Pietro, mentre fu in Roma, avrebbe
abitato quel questo luogo e vi avrebbe battezzati molti che venivano
alla fede. Nel catalogo di Pietro Natale si dice che papa Eutichiano,
per rivelazione, seppe il luogo ove era sepolto il corpo di s. Prisca,
e trovatolo e lavotolo di colà, quel pontefice lo portò
a Roma, ponendolo nel luogo ove oggi è la sua chiesa, prima
dedicata a s. aquila; onde fu detto titolo di Aquila e Prisca. Egli
è certo che questo titolo antichissimo vien ricordato fino
dal secondo concilio romano tenuto da Simmaco, che fu nel 499. Adriano
I ristorò la detta chiesa nel 772, e poi Callisto III circa
il 1455. Il cardinale Benedetto Giustiniani genovese, verso il 1600,
la riparò coi disegni di Carlo Lombardo di Arezzo; vi aggiunse
la facciata, e fecevi altri miglioramenti, fra i quali fu il rinnovellamento
della confessione e dell' altare sotterraneo, che si dice consacrato
da s. Pietro. Finalmente Clemente XII la ridusse nello stato in
cui trovasi, a memoria di che leggesi una iscrizione posta nella
parete a destra presso la porta dal lato interno.
Anticamente la chiesa ebbe due ingressi, ma ai tempi dell' Ugonio
già non ne aveva che uno solo. Essa è divisa in tre
navi con quattordici colonne antiche, le quali, a renderle più
salde, furono incassate nel muro di altrettanti pilastri. I muri
furono dipinti a fresco dal Fontebuono: il quadro dell' altare principale
è del Passignani, e rappresenta il battesimo della santa
titolare. A sinistra dell' altare suddetto sono i versi di Callisto
III, recati sopra; a destra v' è una iscrizione riguardante
il nominato cardinal Giustiniani. Le due cappellette in fondo alle
navate minori sono dedicate: quella a sinistra, a s. Antonio di
Padova; quella a destra, alla Madonna. I due altari nella crocera
sono dedicati: uno al Crocefisso, a mano manca; ed uno a s. Gio.
Gualberto, a mano dritta. In mezzo alla navata grande è un'
ampia inferriata che illumina a sufficienza la sottoposta confessione,
alla quale si scende per una comoda e doppia scala circondata da
balaustrate. In essa è un quadro di musaico rappresentante
s. Pietro, opera del secolo XIII, guasto però assai nella
parte inferiore; incontro all' altare è il vaso che erroneamente
si pretende servisse di battisterio a s. Pietro, quando battezzò
le sante Aquila e Priscilla, ed altri pagani venuti alla fede. Il
vaso consiste in un gran capitello dorico, assai ben lavorato, del
tempo forse degli Antonini, e molto simile a quello del portico
del museo capitolino; ha tre buche, una maggiore e due minori, con
attorno l' epigrafe in lettere del secolo XIII, con abbreviature:
BAPTISMVS SANCTI PETRI.
Presso la chiesa v' era una vigna della celebre famiglia dei Porcari,
come risulta da un documento dell' archivio di s. Pietro in Vincoli
del 1477: Vinea posita prope ecclesiam sanctae Priscae eundo ad
s. Alexium, quam tenet Antonius Porcharius qui habitat prope Minervam.
È assai probabile che quell' antichissimo titolo fosse stato
già la casa dei coniugi Aquila e Prisca sull' Aventino, ove
era la ecclesia domestica di che parla s. Paolo, e che furono cacciati
da Roma per l' editto di Claudio contro gli ebrei.
Nel secolo XIV si leggeva ancora sull' architrave della porta della
chiesa la seguente iscrizione, che Pietro Sabino, autore di quel
medesimo secolo, vide incisa litteris antiquis:
HAEC DOMVS EST AQVILAE SEV PRISCAE VIRGINIS ALMAE
. QVOS . LVPE (?) PAVLE TVO ORE VEHIS DOMINO
HIC PETRE DIVINI TRIBVERAS FERCVLA VERBI
SAEPIVS HOCCE LOCO SACRIFICANS DOMINO.
L' epigramma, come risulta dallo stile, è del medio evo.
Anche in un documento del secolo XII la chiesa di s. Prisca, divenuta
bazia, è appellata abbatia sanctorum Priscae et Aquilae.
Il ch. De Rossi, a questo proposito, cita un sermone de sanctis
Aquila et Prisca esistente nel codice vaticano 1193, ove si fa menzione
della loro chiesa sull' Aventino; la quale negli atti di s. Prisca
vergine e martire è altresì chiamata Aquilae et Priscae;
finalmente nella vita di Leone III l' antico titolo di s. risca
è appellato titulus beatorum Aquilae et Priscae. Insomma
dall' antica denominazione di quel titolo risulta che fino dai primi
secoli della pace della Chiesa era creduto il sito ove dimoò
e s' adunò la domestica ecclesia dei primi convertiti all'
evangelo, presieduta spesso da Paolo e da Pietro.
Un insigne bronzo, edito ed illustrato splendidamente dal ch. De
Rossi, ha portato nuova luce sull' origine apostolica di quel titolo
e sulla tradizione che fosse veramente la Domus Priscae.
Nel 1776, sotto il pontificato di Pio VI, presso la chiesa fu scoperta
un' antica casa romana con dipinti ed altri monumenti cristiani
e in questa si rinvenne il seguente diploma in bronzo, offerto da
una città della Spagna nell' anno 222 a Caio Mario Pudente
Corneliano, personaggio senatorio che quella città elesse
suo patrono:
IMP . CAES . M . AVR . SEVERO . ALEXANDRO
COS . EIDIB APRILIBVS
CONCILIVM . CONVENTVS . CLVNIENS
C . MARIVM . PVDENTEM . CORNELIA
NVM . LEG . LEG . C . V . PATRONVM
SIBI . LIBERIS . POSTERISQVE SVIS
COOPTAVIT . OB . MVLTA . ET . EGREGIA
EIVS . IN . SINGVLOS . VNIVERSOS
QVE . MERITA . PER . LEGATVM
VAL . MARCELLVM
CLVNIENSEM
Cotesti decreti, costruiti quali città importanti si ponevano
a titolo d' onore sotto il patronato di personaggi ufficiali dell'
impero, erano affissi negli attribuisceî delle case illustri,
come stemmi ed emblemi d' onore. Ora, come dichiara il De Rossi,
il nome del predetto senatore lo mostre chiamato dapprima Cornelio
Pudente e poi per adozione Mario Pudente Corneliano: il che è
un grave indizio circa la veracità dei rapport che la casa
di Pudente ebbe con Pietro.
Ecco dunque, che presso la casa di Aquila e Prisca, la quale ebbe
strette relazioni con l' altra celeberrima di Pudente, titulus Pudentis,
si trova un monumento d' un discendente dei Corneli Pudenti. Ma
la scoperta, prosegue il De Rossi, fatta sotto Pio VI a s. Prisca
non finisce nell' insigne bronzo di Pudente Corneliano, cimelio
preziosissimo che si custodisce nel museo cristiano della biblioteca
vaticana. Egli ha trovato nel codice latino 9697 della biblioteca
imperiale di Parigi, fra le carte del celebre Ennio Quirino Visconti,
commissario delle antichità sotto il predetto pontefice,
una notizia d' una scoperta che era avvenuta da poco presso s. Prisca.
Da quella risulta che ivi, poco tempo prima, era stato rinvenuto
un antico oratorio adorno di pitture cristiane del secolo quarto
quasi cancellate dal tempo, eccetto le imagini degli apostoli. Questo
complesso d' indizî armonizza perfettamente colle tradizioni
locali, le quali accennano in quel punto ad un centro della predicazione
apostolica in Roma e trovano poi il confronto nelle memoria esistenti
d' un antichissimo cimitero cristiano, cioè quello di Priscilla
sulla via Salaria, dove si trovano i nomi dei personaggi ricordati
da s. Paolo nelle sue lettere, e che, con la ecclesia domestica
di Aquila sull' Aventino, e di Pudene sul Viminale, ebbero rapporti.
Quell' oratorio era nell' orto contiguo alla chiesa, e sembra anche
avesse fatto parte della casa abitata da quel Pudente Corneliano.
Fra quei ruderi si scoprì anche un vaso di vetro sulla cui
circonferenza erano effigiate ad incavo le imagini degli apostoli,
sopra le cui teste era scritto il loro nome. Il De Rossi ne ha trovato
notizia nel Bianchini. Quell' arnese doveva spettare alle suppellettili
sacre e domestiche dei discendenti di Pudente Corneliano. Sembra
impossibile che di quella scoperta e del luogo così celebre
per la storia delle origini apostoliche del cristianesimo in Roma,
niun conto si facesse, e dopo alcun tempo si distruggessero e si
abbandonassero, giacchè ivi si rinvennero pure frammenti
di musaici rappresentanti pesci di ogni specie, che traspaiono dentro
l' acqua, noto simbolo di Cristo e della rigenerazione dei fedeli
nella grazia sacramentale, i quali davano nuovo suggello alla tradizione
antichissima che ivi l' apostolo Pietro avesse battezzato.
Nel secolo VIII, nell' annesso monastero abitarono monaci greci;
da questi, nel 1062, passò ai Benedettini, che lasciatolo
per qualche tempo, vi tornarono sotto Innocenzo III e vi dimorarono
sino al 1414. Finalmente la chiesa fu offerta ai Francescani, che
la ricusarono per cagione della malvagità ed insalubrità
dell' aria; quindi venne argento Agostiniani.
Armellini