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Chiesa di Santa Maria in Trastevere

Roma: Chiesa di Santa Maria in Trastevere
Chiesa di Santa Maria in Trastevere

Piazza di Santa Maria in Trastevere, 00153 Roma, Italia


Orario Festivo:

8:30 - 10:00 - (11:00 dal 1/9 al 30/6) - 17:30 - (18:45 dal 1/9 al 30/6 nel rito di San Giovanni Crisostomo) - prefestiva: 17:30 - (20:00 dal 1/9 al 31/7)

Orario Feriale:

(9:00 dal 1/9 al 31/7) - 17:30

Periodo Medioevo

Racconta Lampridio che Settimio Severo permise ai Cristiani di riunirsi in un locale del Trastevere, conosciuto col nome di taberna emeritoria, ospizio, cioè, dei soldati invalidi
In questo luogo, secondo la leggenda, il giorno della nascita di Gesù Cristo sgorgò una polla d'olio, per cui fu detta comunemente fons olei.
Quivi, si vuole, sorgesse la chiesa attuale di S. Maria in Trastevere, che fu edificata da Giulio I nel 340 e che fu probabilmente il primo edificio cristiano ufficialmente aperto al culto. In quei primi anni la basilica venne chiamata titulus Calixti, in memoria forse del martirio che quel papa aveva subito appunto in cotesto luogo. Nel 707, Giovanni VII la adornò di pitture murali. Nell'828 Gregorio IV edificò vicino alla chiesa un ampio monastero, e vi pose monaci che salmodiavano giorno e notte in onore del Signore. Rialzò pure il pavimento della chiesa e vi fece alcuni altri restauri. Un secondo restauro lo ordinò Leone IV nell'848 e nell'856 Benedetto III ricostruì il portico che minacciava ruina, il battisterio e i secretari. Ma fu Innocenzo II (Papareschi) che nel 1139 rifece la basilica dalle fondamenta ordinandone la ricca decorazione musiva che ancora vi si conserva.
Questo restauro fu continuato e compiuto dal suo successore, Eugenio III, nel 1148. Nel 1450 Nicolò V (Parentucelli) ordinò che si restaurasse di nuovo sui disegni di Bernardino Rossellini.
Nel 1537 suor Porzia de' Micinelli,
facendosi monaca, le portò in dote un edificio che fu aperto ad uso di pubblico granaio. Un nuovo restauro ordinò S. Pio V (Ghisleri) verso il 1570 e nel 1593 Clemente VIII (Aldobrandini) concesse ai suoi canonici di poter mostrare al popolo le reliquie il giorno della Domenica in Albis. Nel 1617 il cardinale Pietro Aldobrandini vi fece rifare il soffitto.
Nel 1702 Clemente XI (Albani) ordinò che si costruisse il portico attuale su disegno di Carlo Fontana. Nel 1860, finalmente, PioIX (Mastai- Ferretti) ordinò un ultimo restauro, durante il quale furono ritrovate le iscrizioni e i frammenti che si conservano sotto il portico. Questa chiesa è la prima che' in Roma sia stata dedicata alla Madonna.

Facciata. — Il Vasari attribuisce a Pietro Cavallini i mosaici della facciata, ma la critica moderna li fa risalire al restauro cominciato da Innocenzo III (1098-1216). Rappresentano la Madonna seduta in trono e circondata da dieci sante che recano in mano una lampada: due sole di queste lampade sono spente. Resta dunque esclusa l'ipotesi che rappresentino la parabola delle vergini prudenti e delle vergini stolte, come accenna qualche guida. Si deve probabilmente ad un restauro del secolo XV, accertato da documenti esistenti in Inghilterra e pubblicati negli atti della Società degli architetti romani, se due delle Sante - che sono appunto quelle restaurate - recano una lampada spenta.
Portico. — A destra: sepolcro del conte Giulio Moroni (1571). - Iscrizione commemorativa
per il restauro di Clemente XI (Albani) nel 1702.- A sinistra: sepolcro del medico Valentino Onorato (1672). - Sepolcro di Fabio Taurinetti (1585) - Sarcofago del cardinale Lorenzo Campeggi (1554). - In alto: affresco murale rappresentante una Annunciazione. Questa pittura del secolo XIII è attribuita al Cavallini, artista romano contemporaneo di Giotto. (Un affresco della stessa mano si può osservare nell'architrave della porta, ora murata, in via della Paglia, nel lato destro della basilica). - Di faccia: frammenti d'inscrizioni e di decorazioni tolte dall'edificio primitivo: in alto una Madonna col Donatore (affresco del secolo XIII) e una Natività, opera d'imbianchino dei giorni nostri. - Fra i frammenti decorativi sono principalmente notevoli le sculture bizantine dell'VIII secolo. Sono quasi venti plutei di fattura diversa e fra questi ve ne è uno, accanto alla porta di destra, con due pavoni sopra due croci che si dissetano in una coppa, contornati di grappoli, di rose e di serpi. Il Cattaneo ("L'architettura in Italia prima del mille"), non esita ad attribuirlo al medesimo artefice che scolpi il pozzo del chiostro lateranense. Gli altri plutei sono a disegni geometrici, sparsi sulle pareti e nella piccola anticamera che precede la porta destra della chiesa. - Sul pavimento: pietra tombale di un vescovo (il nome è cancellato) morto nel 1443. - Pietra tombale del canonico Antonio Pizzi di Tivoli (1535) - Pietra tombale di Giovan Battista Micinelli (1508) padre di Porzia Micinelli, che lasciò i suoi beni alla basilica.
- Pietra tombale del secolo XV, la cui iscrizione è oggi totalmente cancellata.
Interno.— È diviso in tre navate, sorrette da 22 colonne, di diversa fattura, e tolte probabilmente all'Iseo campense. Nei capitelli, infatti, rimanevano i simulacri di Iside, di Arpocrate e
di altre divinità pagane che furono martellati nel restauro del 1865. Il pavimento è a marmi di diversi colori, nel più puro stile cosmatesco.
Il soffitto fu eseguito nel 1617, su disegni del Domenichino, che vi dipinse l'Assunzione. A destra: tabernacolo per l'Olio santo, con sculture e dorature di Mino del Regno. Nella parete di destra: affreschi del Fracassini, del Minocchi, del Cappanari, di Vincenzo Mercuri, del Chiari, del Marini. Su quella di sinistra: affreschi di Cortes, del Wedmer, del Sereni, del Bartolommei, del Sogni, della Scaccioni del Fontana.

Navata di destra. — 1. Cappella: Crocifisso di Pietro Cavallini (?). La Vergine e San Giovanni di Antonio Viviani, urbinate. Sepolcri monumentali dei cardinali Giuseppe Bussi (1726) e Pietro Bussi (1745). - 2. S. Francesca Romana di Giacomo Zoboli. - 3. (Detta della Culla). Vi si conserva la S. Culla ornata coi disegni del Rauzzini. Il quadro è di Parrocel. Sepolcro del cardinale Giuseppe Avi (1712). - 4. San Federico, copia dell'originale di Giacinto Brandi, che si conserva nella Sacrestia. Sepolcro di Francesco Capitani (1848). Sepolcro del giureconsulto Pietro Corradini (1743). Monumento funebre del cardinale Armellini, fatto eseguire nel 1524, quando egli era ancora in vita. È opera uscita dalla scuola di Andrea Sansovino. Da un lato si vede l'arme dei Medici, perché questo cardinale, per la sua benemerenza verso la Chiesa, ottenne da Clemente VII (Medici) di unire al suo nome quello della illustre famiglia fiorentina e di prenderne le armi. - 5. (nell'abside della prima navata). Detta della Madonna di Strada Cupa, da una immagine quivi trasportata da una via di quel nome. Fu eseguita sui disegni del Domenichino, che vi dipinse il putto fra i fiori, sopra l'altare. L'immagine di S. Pietro è di Giuseppe Vasconi. Sulla parete di destra: La Madonna, S. Sebastiano e S. Rocco del Perugino. Il S. Rocco è stato ridipinto da Giacinto Brandi.

Abside. — I mosaici nella conca dell'abside furono ordinati nel 1140 dal papa Innocenzo II e rappresentano l'Incoronazione della Madonna, avente ai lati i pontefici S. Cornelio e S. Giulio, il prete S. Clepodio e il papa Innocenzo con in mano il modello della basilica. Sotto a questa vi sono i dodici agnelli ai lati dell'agnello divino con la seguente iscrizione:
Haec in honore tuo praefulgida mater honoris Regia divina ritilat fulgore decoris.
In quo Christe sedes manet ultra saecula sedes Digna tuis Dexteris est quam tegit aurea vestis Cum moles ruitura vetus foret hine oriundus Innocentius hane renovavit papa secundus.
(Questa fulgida reggia, scintilla pel fulgor degli ornati in tuo onore, o divina madre dell'onore. E rimarrai in eterno là dove Cristo ha sede. L'aurea veste che ti ricopre è degna della tua protezione. Come l'edificio primitivo era per vecchiaia ruinoso fu rinnovato dal papa Innocenzo secondo).
Nel tamburo dell'abside poi vi sono alcuni affreschi del Ciampelli e un quadro in mosaico di Pietro Cavallini, dove si vede la Madonna e il Bambino fra gli apostoli Pietro e Paolo con la figura del donatore che fu Bertoldo figlio di Pietro Stefaneschi maggiordomo di Nicola IV (1288-94 Masci) sotto vi è questa iscrizione:

Virgo Deum Complexa sinu servanda pudorem Virgineum matris fundans per saecula nomen Respice compunctos animos miserata tuorum.
(O Vergine, che nutrendo nel tuo seno Iddio conservasti il virgineo pudore, esaltando in eterno il nome di Madre, osserva compassionevole le anime pentite dei tuoi devoti).

Finalmente nell'arco esterno dell'abside, mosaico con la croce, i sette candelabri e le figure simboliche degli evangelisti. A destra Isaia con un rotolo ove è scritto:

Christus captus est in peccatis nostris

versetto dei Treni illustrato dalle gabbie con l'uccellino.

Navata di sinistra. — 1. Cappella (del battistero): S. Mario e S. Calisto del Procaccini.
- 2. S. Francesco di Guidotti che dipinse anche gli affreschi laterali. - 3. Immagine della Madonna di ignoto. - Sepolcro d' Innocenzo II (Papareschi) fatto erigere nel 1869 da Pio IX, quando per un incendio sviluppatosi l'anno antecedente in S. Giovanni in Laterano, i resti di questo papa furono quivi trasportati. - 4. S. Giovanni Battista di Antonio Caracci. La volta è del pesarese Nicola Trometta. - 5. S. Gerolamo di Antonio Gherardi. - Sepolcro del canonico Giovanni Bottari (1775). - Sepolcro del canonico Alessandro Lazzarini (1820). - Monumento sepolcrale del cardinale Filippo d'Alencon fratello del Re di Francia Filippo il Bello (1397) opera di Paolo Romano. - Sepolcro monumentale del cardinale Stefaneschi, anche questo di Paolo Romano, con una iscrizione in esametri latini (1417). - 6. cappella: costruita sui disegni di Martino Longhi.
Le pitture laterali: il Concilio di Trento e altri fatti della vita di Pio IV sono di Pasquale Cati.
Quelle esterne sono di Paris Nogari. - Sepolcro di Roberto d'Altemps primo duca di Gallese e capitano delle milizie pontificie di Avignone (1586).
Sacrestia. — Alle pareti vi sono alcuni frammenti di antichi mosaici romani, che rappresentano uccelli palustri. - Bassorilievo in terracotta, rappresentante il Giudizio Universale del Bernini.

DIEGO ANGELI - LE CHIESE DI ROMA - GUIDA STORICA E ARTISTICA
DELLE BASILICHE, CHIESE E ORATORI DELLA CITTÀ DI ROMA

S. MARIA IN TRASTEVERE.

La prima chiesa è questa, che fosse dedicata in Roma alla Beata Vergine. Niccolò V la rinnovò, valendosi dell'architettura di Bernardo Rosselino; e il s. Pontefice Pio V vi eresse il Capitolo de' Canonici, e Benefiziati, che l'uffiziano presentemente.
Nel portico sono quattro colonne di granito di ordine jonico, e 21 simili sono nelle tre navate, e 4 negli archi di ordine corintio.
Nell'altare dedicato al So Crocifisso le immagini di Maria Vergine, e di s. Giovanni, sono d' Antonio Viviano da Urbino, detto il Sordo, allievo del Barocci.
La prima cappella a man destra è de' Signori Bussi, ove è il deposito del Cardinale di quella famiglia. La tavola di s. Francesca Romana è del Zoboli.
La cappella del Presepio, che segue, era dipinta da Raffaellino da Reggio, ma essendo andata male fu rifatta dal Card. Fini tiene, che vi fece porre un quadro di Pietro Nelli.
Nell'altra cappelletta vicino alla porta di fianco era un quadro con un santo Vescovo assalito da un manigoldo, di Giacinto Brandi, ma quì è la copia, e l'originale è in sagrestia. Allato alla porta del fianco è il deposito del Card. Corradini col suo ritratto, fatto da Filippo Valle scultore, che fece il disegno di questo deposito; e nella cappella contiguo all'altar maggiore, architettata da Domenico Zampieri, si vede negli scompartimenti della volta un puttino, che sparge fiori, colorito a maraviglia da lui medesimo, che dovea dipinger tutta la cappella.
La tribuna dell'altar maggiore è ornata di mosaici antichi, e più basso ve ne sono di Pietro Cavallini. Il dipinto nel coro con lavori dorati è di Agostino Ciampelli; avanti di cui è il ciborio sostenuto da quattro colonne di porfido. Sul pilastro destro è il busto di marmo, e il deposito del gran Cardinal Osio, e dall'altra parte è un deposito di marmo, con la santissima Annunziata di sopra, colorita dal Sordo d' Urbino. Nell'ultimo pilastro a man sinistra della navata di mezzo è murato un pezzo di mosaico antico, ove sono certe anatre, e sotto è una Nunziata di bassorilievo in marmo, disegno del Buonarroti.
La cappella del Santissimo allato all'altar maggiore, architettata da Onorio Lunghi, è tutta dipinta da Pasquale Cati da Jesi, dov' è da una parte il Concilio di Trento, e dall'altra parte Pio IV, che fa Concistorio, e sopra l'altare è il suo ritratto con quello del card. Marco Sitico de' Conti d' Altemps, e di fuori vi sono altre pitture finte di mosaico fatte da Paris Nogari Romano.
Passata la porta della sagrestia è la cappella de' Signori Avila, fatta con bizzarra, e capricciosa architettura da Antonio Gherardi, che vi ha fatto anche il quadro con un s. Girolamo; e poco più avanti è quella di s. Gio: Battista, dove la tavola è d' Antonio Caracci. Appresso è la cappella di s. Francesco, dipinta col suo quadro, e diversi fatti del Santo, dal Cav. Guidotti, ma la lunetta a man sinistra pare di Ventura Salimbeni.
All'ultimo della chiesa si vedeva una nicchia fatta in forma di cappella col disegno di Onorio Longi, nella quale sta il Fonte battesimale, e le pitture erano del Cav. Celi, ma ora sono perite, ed è tutta abbellita di stucchi per munificenza dello stesso Card. Fini.
La Vergine Maria, che va in cielo con diversi Angioli, figurata nel mezzo del soffitto, è opera del Domenichino suddetto, di gran fama, di cui è disegno bizzarissimo tutta la soffitta; ed il fregio composto di fogliami e Cherubini, che sta attorno alla nave di mezzo della chiesa, fu dipinto ad affresco da Cesare Conti d' Ancona.
Aveva questa chiesa un portico molto deforme, con semplice tetto tutto aperto, e rozzamente fatto, dal che mossa la S. M. di Papa Clemente XI per affetto, che portò in particolare a questa basilica, in cui riposano le ceneri de' suoi antenati ivi sepolti, fece di nuovo rifar detto portico, e ferrarlo con cancelli di ferro; e con tale occasione decorò il mosaico sopra con ornamenti di stucco, che fanno anche finimento alla facciata, il tutto con disegno e direzione del Cavalier Carlo Fontana. Sopra il detto portico si vedono quattro statue di marmo, che rappresentano quattro santi Pontefici, i cui corpi si venerano in questa santa basilica. Il s. Calisto è di Monsù Teodone, il s. Cornelio è di Michele Maglia, il s. Giulio di Lorenzo Ottone, e ili s. Quirino di Vincenzo Felici.

Armellini

Cavallini, Pietro

(seconda metà del xiii sec., prima metà del xiv). È possibile dedurre dai documenti ch’egli nacque verso il 1250 e che morí quasi centenario, dopo una lunga e fortunata operosità svolta nelle maggiori chiese romane e napoletane per committenti di alto rango, come Pietro di Bartolo Stefaneschi, Carlo e Roberto d’Angiò. La sua opera piú antica fra quelle superstiti è la decorazione a mosaico nell’abside di Santa Maria in Trastevere (1291: tale data, ricostruita in base a testimonianze antiche, è oggi sottoposta a discussione) recante il nome dell’artista, che vi rappresentò sei episodi della Vita della Vergine e la figura del donatore Stefaneschi presentato alla Vergine da san Pietro. Soltanto qualche anno dopo, il Cavallini eseguí gli affreschi della chiesa di Santa Cecilia in Trastevere dei quali si è conservata parzialmente la grande scena del Giudizio riscoperta nel 1901 dietro gli stalli del coro monastico, certamente la sua opera piú matura e importante. Nel 1308 è documentata la sua presenza a Napoli, dove lavora per gli Angiò, ma la partecipazione di collaboratori e soprattutto le distruzioni e le gravi alterazioni successive permettono di riconoscere con difficoltà la sua mano in un affresco del duomo (Alberto di Jesse) e in talune parti degli affreschi nella chiesa di Santa Maria Donnaregina (Giudizio finale, Apostoli e profeti). Quasi completamente perduto è il mosaico ch’egli eseguí per la facciata della basilica di San Paolo a Roma circa nel 1321 e sono perdute molte fra le opere romane ricordate dal Ghiberti e dal Vasari (decorazione ad affresco della navata di San Paolo, del 1270 ca., e della controfacciata di San Pietro; e cicli in San Francesco a Ripa e San Crisogono). Al Cavallini spetta un posto di primo piano nella pittura del tardo xiii sec. e del principio del xiv, accanto a Cimabue, a Giotto, a Duccio. Per un pittore della sua generazione era naturale un’educazione ancora fondata sui modelli bizantini; ma il suo atteggiamento nei confronti della tradizione non fu di passiva assimilazione dei piú fortunati manierismi bizantini ma di libera e grandiosa rievocazione delle forme piú alte e anche piú antiche di quell’arte. In questo senso, il Cavallini percorse l’unica vera grande strada della pittura romana tardomedievale, avendo alle spalle l’analoga esperienza del Terzo Maestro di Anagni. Su questo tronco maggiore dell’arte romana egli ebbe il genio d’innestare le esperienze piú ardite del suo tempo: prima quella dell’arte di Cimabue (che nel 1272 era a Roma), poi quella dell’assisiate Maestro di Isacco e di Giotto. La tesi che i rapporti fra il Cavallini e l’arte giottesca debbano intendersi in questo senso appare piú convincente dell’altra che tende a considerarlo il «maestro romano di Giotto». Ma, in ogni caso, la grandezza del pittore romano si rivela proprio nell’incontro con l’opera di Giotto. È vero che l’ampiezza e la solidità formale delle figure affrescate a Santa Cecilia costituiscono rispetto ai mosaici di Santa Maria in Trastevere un balzo in avanti che può spiegarsi solo con l’influenza giottesca; ma il ruolo tutto particolare assegnato al colore, che costruisce in modo autonomo la forma, la predilezione per ombre intense e soffuse, che lasciano emergere con placida solennità la figura, infine la creazione di una realtà fisionomica che sa esprimere nello stesso tempo eletta sacralità e umano appagamento sono caratteri inconfondibili della personalità del pittore romano, cui conferiscono altezza poetica e potente individualità di accento. La pittura del tardo medioevo nell’ambiente romano e napoletano e la pittura umbra del xiv sec. dimostrano di avere largamente profittato della conoscenza dell’arte cavalliniana. (bt). Tra le altre opere romane di C, o riferibili comunque alla sua cerchia, vanno ricordate ancora la decorazione del catino absidale di San Giorgio al Velabro (ultimo lustro del xiii sec.), la lunetta con La Madonna tra i SS. Francesco e Tommaso d’Aquino sulla tomba di Matteo d’Acquasparta e – con maggior sicurezza d’autografia – i resti della decorazione della Cappella Savelli in Santa Maria Aracoeli. Recentemente (1976) F. Zeri ha riferito al Cavallini un Redentore frammentario, su tavola (Roma, camposanto teutonico), opera sulla quale è tutt’ora aperta la discussione. Anche la cronologia e i documenti collegati al Cavallini sono stati fortemente revocati in dubbio da L. Bellosi (1985) il quale non ne accetta la tradizionale identificazione con il «Petrus dictus Caballinus de Cerronibus » di un atto del 1273, né la data di nascita, fissata tra il 1240 e il 1250. Lo studioso propone una diversa cronologia, piú tarda di quella comunemente accolta, riaprendo la questione – già lungamente dibattuta – dei suoi rapporti con la cultura bizantina e dell’apporto giottesco al rinnovamento dell’ambiente pittorico romano, di cui Cavallini fu in ogni caso l’indiscutibile protagonista.

Storia dell’arte Einaudi