È la chiesa di s. Martino parrocchia antichissima, fabbricata (come molti dicono) dall'imperator Costantino, e dopo molti ristori avuti da Pontefici, e cardinali, fu conceduta del 1559 ad una Congregazione de' PP. Carmelitani, nel quale tempo ebbe altri miglioramenti. Il cardinale s. Carlo Borromeo fece il soffitto: il card. Gabrielle Paleotti, la porta maggiore. Fu il coro, e l'altar maggiore con marmi adornato da Paolo Santacroce nobile Romano.
La chiesa fu ristorata, ed abbellita dal P. Filippini, Generale Carmelitano, con architettura di Filippo Gagliardi, che nella nave di mezzo dipinse anche tutte le prospettive; e le statue di stucco, che vi si vedono, sono del prime opere di Paolo Naldini, fuori che quelle rappresentanti s. Antonio, e s. Gio. Batista fatte da un Fiammingo.
Il quadro di s. Stefano con molte figure, posto nell'altare contiguo alla porticella della chiesa per dove si entra, è di Gio. Angelo Canini; e l'istoria di s. Martino nell'altro che segue, è opera di Fabbrizio Chiari. Un quadro nell'altare dedicato a s. Teresa è del Greppi, e nell'ultimo da questo lato Bartolommeo Palombo colorì la s. Maria Maddalena de' Pazzi.
Dall'altra banda della chiesa è rappresentato il Battesimo di Cristo dal medesimo Chiari. Poco più avanti Gio. Mielle Fiammingo ha colorito il quadro col battesimo di s. Cirillo, benchè vi sia, chi l'ha detto di Michel Fiammingo, non so con quale fondamento; nell'altro altare contiguo è dipinto s. Angelo Carmelitano con molte figure, di maniera gagliarda assai buona, da Pietro Testa: ed il santo Alberto nell'altro quadro è del Muziano.
Passata la porta della sagrestia, nell'altar maggiore è il quadro di s. Bartolommeo, colorito dal Canini: l'ultima cappella, seguendo il nostro giro, è della compagnia del Carmine, e il quadro è opera di Girolamo Massei da Lucca. Il s. Silvestro Papa, e s. Martino vescovo, posti dalle bande dell'altar maggiore, furono fatti dal cavalier Baglioni; e la tribuna tutta, come anche l'istoria del Concilio, vicino alla porta della sagrestia, sono opere d'un tal Galeazzo.
Li paesi bellissimi, tenuti da' professori in gran conto, che si vedono attorno alla chiesa, sono di Gaspero Pussino, fuori che due grandi, che pigliano in mezzo l'altare della s. Maria Maddalena de' Pazzi, dipinti perfettamente da Gio. Francesco Bolognese.
Canini, Giovanni Angelo
(Roma 1617 ca. - 1666). Compí il suo alunnato pittorico nella
cerchia di Domenichino con Antonio Alberti (il Barbalonga),
ed entrò ben presto in rapporti con G. P. Bellori. Fu
pittore ed incisore assai apprezzato; rimase sostanzialmente
fedele, in tutto il suo percorso, alla sua originaria cultura
bolognese. Tra le sue opere hanno particolare rilievo La Trinità
e i SS. Bartolomeo e Nicola (1644) e Il compianto sul corpo
di santo Stefano (1645-46), entrambe in San Martino ai
Monti a Roma, che insieme agli affreschi eseguiti in Santa
Francesca Romana e nella galleria di Alessandro VII al Quirinale
(Sacrificio di Isacco) ne mostrano l’affiatamento anche
con Pietro Testa e Giovambattista Mola; e varie incisioni
per frontespizi (Historia di Terni, di Francesco Angeloni,
1646; Vite del Vasari, 1647; Obeliscus Pamphilius, 1650 ca.,
di A. Kircher e altre). (lba).
Dughet, Gaspard, detto le Guaspre, Gaspard Poussin
(Roma 1615-75).A Roma Poussin sposò nel 1630 Anne
Dughet, figlia di un pasticciere francese stabilitosi in Italia
e sorella di Gaspard. Quest’ultimo condivise dal 1631
al 1635 il domicilio del cognato, che senza dubbio lo iniziò
alla pittura. Poussin, vedendo la passione del giovane
per la natura e la caccia, lo orientò verso lo studio del
paesaggio. Intorno al 1647 D intraprese gli affreschi di
San Martino ai Monti a Roma; da quel momento la sua
fama fu assicurata. Da allora lavorò per il re di Spagna, il
granduca di Toscana, i Pamphili e i Colonna (le gallerie
Doria-Pamphili e Colonna di Roma conservano tuttora
importanti serie di paesaggi dell’artista). Ma sin da prima
di questa fase, se si accetta di confondere la sua prima attività
con quella del cosiddetto Maestro della betulla, D si
affermò come innovatore in un genere che i grandi bolognesi,
Poussin e Claude Lorrain avevano altamente illustrato.
Benché sembri limitarsi al solo paesaggio, seppe
sfruttarne tutte le risorse, impiegando di volta in volta
tutte le tecniche: olio, tempera, guazzo, affresco; eseguí
anche una mirabile serie di disegni, sia a pietra nera (Düsseldorf)
sia ad acquerellato (questi ultimi spesso confusi
con quelli del cognato). Di temperamento romantico, dipinse una natura piú selvaggia, meno ordinata, meno soleggiata,
ma piú sensibile alle variazioni del tempo e delle
stagioni di quella di Claude Lorrain e di Poussin (Tempesta:
Londra, coll. Denis Mahon). Se le discussioni sulla
nazionalità dell’artista sono alquanto futili, e se è ancora
troppo presto, allo stato attuale della ricerca, per farsi
un’idea precisa delI’evoluzione del suo linguaggio, la riabilitazione
della sua opera, dimenticata per oltre un secolo,
è oggi definitiva. I suoi lavori, spesso paragonati a
quelli del suo piú illustre rivale Salvator Rosa, furono
spesso imitati e ricercati, in particolare dai «conoscitori»
inglesi del xviii sec., il che ne spiega l’abbondanza nelle
collezioni e nei musei britannici (Oxford, Liverpool, Londra).
(pr).
Gli studi piú recenti (Bosclair, 1986), oltre a confermare
l’identità tra D e il Maestro della betulla, ne hanno chiarito
l’attività anteriore al ciclo di San Martino ai Monti
(1647-51, con la collaborazione di G. F. Grimaldi). Dopo
un primo orientamento in direzione neoveneta, parallelamente
agli interessi pittorici di Poussin in quegli anni
(1630-35 ca.) e dopo un viaggio in varie località (Milano,
Perugia e Castiglione del Lago, al seguito del duca Della
Cornia) D eseguí alcuni affreschi in una stanza di palazzo
Muti Bussi all’Aracoeli e due Paesaggi (1635-37: Roma,
gnaa, con figure di Jan Miel) che rivelano un fecondo e
precoce rapporto con Claude Lorrain. Tra le imprese a
fresco, particolare rilievo rivestono le decorazioni della
casa di Gian Lorenzo Bernini in via della Mercede (1654-
55: oggi a Bordeaux, mba) e alcuni riquadri nella galleria
di Alessandro VII al Quirinale (1657, con figure di Filippo
Lauri e Lazzaro Baldi). Nel 1658 affresca, in collaborazione
con il Courtois, la Sala del Principe in palazzo
Pamphili a Valmontone, seguono (1667-68) un salone in
palazzo Colonna a Roma e due mezzanini (1671-72) in palazzo
Borghese. (sr).
Grimaldi, Giovan Francesco
(Bologna 1605-1606 - Roma 1680). Venne a Roma intorno
al 1626-27; dopo aver collaborato con Agostino Tassi
alla decorazione del corridoio di Urbano VIII al Quirinale
(1632), fu accolto nel 1635 all’Accademia di San Luca,
di cui divenne Principe nel 1666. La sua fertile vena di
decoratore si manifesta già nei primi cicli ad affresco condotti
autonomamente, quelli in palazzo Santacroce e in
palazzo Peretti Montalto (poi Fiano-Almagià), eseguiti tra
il 1635 e il 1640, nei quali il G si mostra pienamente inserito
nella tradizione pittorica bolognese tra i Carracci,
l’Albani e Domenichino, ai quali si ispirò costantemente
ripetendone frequentemente i motivi: fatto che determinò
l’erronea convinzione di un suo alunnato, impossibile
per ovvi motivi cronologici, presso Annibale Carracci.
L’ambiente dei bolognesi operanti a Roma fu comunque
un suo costante riferimento, cosí come quello dei
francesi: diresse, in collaborazione con l’Algardi, la costruzione
della villa del cardinale Camillo Pamphilj (1646-
48), curando particolarmente l’impianto del parco e decorando
gli ambienti interni con paesaggi e scene mitologiche
(Storie di Ercole).
Nel 1651 tornò a Roma, dove rimase fino alla morte,
esercitando un’intensa e fortunata attività: affrescò ambienti
in palazzo Borghese, al Quirinale (1656-57), in
villa Falconieri a Frascati (1666-72), nel duomo di Tivoli
(1656-59), nella galleria di palazzo Muti Papazzurri
(1671-78), nelle chiese di Santa Maria della Vittoria, di
San Martino ai Monti (dove lavorò a fianco del Dughet
ed utilizzò i suoi disegni) e di Santa Maria dell’Anima.
Soprattutto nelle decorazioni profane contribuí largamente,
insieme al Dughet, alla fortuna delle «stanze dei
paesi», ossia affrescate con paesaggi lungo tutte le pareti
creando l’illusione di uno spazio aperto e in rapporto con
la natura circostante.
Storia dell’arte Einaudi