Santa Teresa d'Avila: Autobiografia, XXIX, 13
« Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio. »
la descrizione della statua di due scrittori:
Stendhal
Siamo entrati nella chiesa di Santa Maria
della Vittoria, decorata da Carlo Maderno come fosse un salotto.
Ma non era per ammirare l'architettura che avevamo disturbato
il frate portinaio. Tutte queste chiese della Roma alta sono
poco frequentate e vengono chiuse alle undici del mattino,
dopo l'ultima messa. La modesta somma di tre "paoli "
ha fatto felice il fraticello, che infatti ci ha accolti con
molta gentilezza.
« Dov'è il San Francesco del Domenichino? »,
gli abbiamo chiesto. Ci ha guidati nella seconda cappella
a destra. Siamo andati poi a vedere il celebre gruppo del
Bernini e una famosa cappella, innalzata da un prozio di un
nostro amico, il gentile conte Corner.
Santa Teresa è rappresentata nell'estasi dell'amor
divino: la statua e assai espressiva e piena di movimento.
Un angelo con una freccia in mano sembra colpire il petto
della santa, come per trapassarle il cuore, mentre la guarda
sorridendo con aria tranquilla. Che arte divina! Quale voluttà!
Il buon monaco, credendo che non lo capissimo ci illustrava
il gruppo, ed ha finito per dirci: « "E' un gran
peccato " che questa statua faccia così facilmente
pensare all'amore profano ».
Abbiamo completamente perdonato al cavalier Bernini tutto
il male che ha fatto all'arte. II cesello greco non ha mai
prodotto niente di simile al volto di questa giovane spagnola,
cut il Bernini ha saputo trasfondere tutta la passione espressa
dalle sue celebri lettere. Forse gli artisti greci che hanno
scolpito l'Illisso e l'Apollo hanno saputo fare di meglio,
ci hanno dato cioè la vera espressione della «
forza » e della « giustizia » in tutta la
sua maestà: ma quanto tutto ciò e lontano dalla
Santa Teresa'
il Marchese De Sade
Rientrando in città, si vede, a fianco della fontana Felice, la chiesetta dei Carmelitani, chiamata Madonna della Vittoria. Questa chiesa è una delle più decorate di Roma. È completamente ricoperta di marmo e oro, al punto che le pareti sembrano quasi scomparse. Nella cappella di sinistra, appartenente alla famiglia Cornaro, originaria di Venezia, vi è la famosa statua di Santa Teresa in estasi, che l'Angelo si accinge a ferire. Si tratta di un capolavoro del Bernini. Questo pezzo è sublima per Paria di verità che lo caratterizza, ma si stenta a credere, guardandolo, che si tratta di una santa, poiché dal-l'aria estatica di Teresa, nelle sembianze investite dalla fiamma, sa¬rebbe facile sbagliarsi. L'Angelo potrebbe essere preso per l'Amore, e Teresa per sua madre o per una bella vittima della malizia di Cupido. Comunque questa statua è ammirevole. C'è soltanto, mi sembra, un eccessivo drappeggio negli abiti della santa, eun'aria troppo affettata nel modo con cui l'Angelo sorregge il dardo. Ma si sa che l'eccesso di ricercatezza era il difetto naturale del Bernini. Sarebbe ugualmente opportuno che questa statua fosse situata un po' meglio:è molto alta e troppo affossata, e si stenta parecchio ad osservarla bene. I bassorilievi di destra e di sinistra rappresentano dei busti in marmo bianco di questa famiglia.
La Cappella Cornaro e la Statua di Santa Teresa di G. Bernini
Bernini collocò il gruppo di Santa Teresa e l’angelo in una profonda nicchia sotto un baldacchino architettonico di protezione e ciò rende praticamente impossibile vedere l’opera se l’osservatore non si trova nella navata della chiesa esattamente nell’asse centrale della Cappella Cornaro. Rinchiuso nelle linee dell’architettura che lo incorniciano, il gruppo ha un carattere essenzialmente pittorico: si può paragonarlo a un quadro vivente.
Ben piú complessi sono i rapporti di colore nelle ultime opere del Bernini. La Cappella Cornaro è, ovviamente, l’esempio piú perfetto. Nella zona piú bassa, quella umana, l’osservatore sta di fronte a un’armonia di colori caldi e brillanti di tono rosso, verde e giallo. La visione di santa Teresa, il punto focale di tutta la composizione, è drammaticamente accentuato dal contrasto fra le colonne scure che fanno da cornice e il levigatissimo candore del gruppo. Altri stimoli sono messi in gioco per sottolineare il carattere eccezionale dell’evento che mostra un serafino mentre trafigge il cuore della santa con il dardo infuocato del divino amore, simbolo della sua unione con Cristo. La visione ha luogo in un regno immaginario su una vasta nuvola, magicamente sospesa a mezz’aria davanti a uno sfondo iridescente di alabastro. Inoltre, viene usata una luce guidata e nascosta a rafforzare il momento drammatico del quale l’osservatore diventa testimonio. La luce cade attraverso una finestra con i vetri gialli celata dietro il frontone ed è materializzata, per cosí dire, nei raggi d’oro che circondano il gruppo9. Viene spesso osservato che il Bernini attinse qui alla sua esperienza come disegnatore teatrale. Sebbene questo sia probabilmente esatto, distrae dal problema reale. Perché quest’arte non è né meno né piú «teatrale» di una pala d’altare tardo gotica che riproduca una scena di un mistero fermata per l’eternità. In un altro capitolo sono state esaminate le caratteristiche simbolico-religiose della luce. Il modo come Bernini ha trattato il problema della luce segue una tradizione chiaramente pittorica, i cui esempi nella pittura barocca sono legioni. La luce celeste guidata, com’è usata dal Bernini, santifica gli oggetti e le persone che colpisce e le sceglie come destinatarie della grazia divina. I raggi dorati lungo i quali sembra passare la luce, hanno ancora un altro significato. In contrasto con la luce calma e diffusa del Rinascimento, questa luce guidata sembra momentanea, transitoria, instabile. L’instabilità è la sua vera essenza. La luce guidata, perciò, rafforza nell’osservatore la sensazione di provvisorietà della scena rappresentata: ci si rende conto che il momento della «illuminazione» divina passa come è venuto. Con la luce guidata, il Bernini trovò il modo di convincere il fedele dell’intensa esperienza del soprannaturale. Nessuno scultore, prima del Bernini, aveva tentato di usare la luce reale in questo modo. Qui nell’ambiente di una cappella egli fece ciò che i pittori tentarono di fare nei loro dipinti. Se si ammette che egli ritradusse nelle tre dimensioni della vita reale l’illusione della realtà resa dai pittori in due dimensioni, si sarà riusciti a vedere a fondo il carattere specifico del suo modo pittorico di trattare la scultura. Il suo amore per la disposizione cromatica ora diventa completamente comprensibile. Un’opera come la Cappella Cornaro fu concepita in termini di un enorme dipinto. Questo vale per la cappella nel suo insieme. Piú in alto la gamma dei colori si alleggerisce e sulla volta si apre il cielo dipinto. Gli angeli hanno spazzato via le nuvole cosí che la luce celeste che emana lo Spirito Santo può raggiungere la zona in cui vivono i mortali. La figura del serafino, fratello degli angeli dipinti nelle nuvole, è scesa sui raggi di luce. Lungo le pareti laterali della cappella, sopra le porte, appaiono i membri della famiglia Cornaro che, inginocchiati a lato degli inginocchiatoi, parlano del miracolo che avviene sull’altare. Essi vivono in un’architettura illusionistica che sembra una estensione di spazio in cui si muove l’osservatore. Nonostante il carattere pittorico del progetto nell’insieme, il Bernini fece una distinzione, qui come in altri casi, fra i vari gradi di realtà. I membri della famiglia Cornaro sembrano vivi come noi. Essi appartengono al nostro spazio e al nostro mondo. L’avvenimento soprannaturale della visione di santa Teresa è elevato in una sfera sua propria, tenuta lontana da quella dell’osservatore soprattutto in virtú del baldacchino che la isola e della luce celeste10. Infine, molto meno tangibile è l’incommensurabile infinito del luminoso empireo. L’osservatore è attratto in questa rete di rapporti e diventa un testimonio della misteriosa gerarchia che sale dall’uomo al santo e a Dio Padre.
tratto da Rudolf Wittkower - Arte e architettura in Italia. 1600-1750 - Storia dell’arte Einaudi
La Cappella Cornaro e la Statua di Santa Teresa di G. Bernini
Lo scultore decorò splendidamente
di stucchi, di marmi e di composizioni pittoriche —
con la valida collaborazione di Guidobaldo Abbatini, che condusse
le pitture della volta, e di altri suoi discepoli —
la cappella gentilizia, e lavorò il meraviglioso gruppo
dell'Estasi di Santa Teresa.
Nelle pareti laterali della cappella lo scultore finse un
verone ornato d'un drappo di marmo giallo, dove si vede uno
sfondo architettonico di prospettiva bellissima. Sul davanzale
raffigurò parecchi consanguinei del porporato veneziano,
in mezze figure di marmo d' alto rilievo, atteggiati liberamente
in pose diverse. Come si vede, unì in un curioso amalgama
le tre arti del disegno, forse con buon gusto decorativo,
ma - diciamola una buona volta la brutta parola - in un modo
soverchiamente barocco. Sul verone di destra si vedono quattro
gentiluomini barbuti, dalle forme angolose, dai lineamenti
rudi e dai capelli irti sul capo : a manca invece se ne vengono
tre, e due si stringono all'angolo sinistro del quadro ed
uno appare isolato a destra, recando un libro nelle mani.
Si vuole che uno di questi ultimi busti raffiguri il cardinale
veneziano e sia di mano del Bernini. Ma non mi sembra di riscontrare
la mano del Maestro nel viso freddo e senza studio profondo
dell'anatomia, nelle mani semplici, ne' riccioli attorti soverchiamente
e nella mantellina poco ondeggiata di quei personaggi, il
cardinal Federico Cornaro mori assai vecchio nel 1653 e fu
tumulato nella medesima chiesa di Santa Maria della Vittoria.
La Cappella Cornaro e la Statua di Santa Teresa di G. Bernini
Nel fondo del ricco frontone centinato
dell'altare, adorno di belle colonne di marmo, si vede Santa
Teresa in deliquio, che un angiolo vezzoso dardeggia con lo
strale d' oro. Il gruppo non ha più l' apparenza del
masso, poiché non posa, ma si vede sollevato in aria,
infinitamente leggero e delicato. Un nimbo d' oro ardente
scende dall'alto su la candida figurazione come un raggio
di sole su la neve, ed occupa col suo fulgore tutto il fondo
dell'ombracolo misterioso.
Strana immagine di pietà e di fede, la Santa, resupina,
sembra fingere nell'abbandono delle membra e nel volto transfigurato
intense voluttà carnali. E pure quello spasimo della
piissima era consono al modo di sentire de' mistici del secolo
di Molinos
e di Madama
Guyon, in cui la Riforma Cattolica si assimilava le più
suggestive forme estetiche per alzar 1'altare di Dio su un
trono d'oro sfolgoreggiante. Tutte le espressioni più
severe della liturgia e della filosofia cattolica si rivestivano
di forme grandeggianti, luminose, esagerate ; 1'artifizio
entrava in tutte le esplicazioni della vita e del culto. San
Giuseppe era il Grande Ammiraglio della cristianità,
il sacramento dell'Eucarestia era l' Isola del Piacere, e
la Chiesa si imponeva col fasto delle sue pompe e con le gonfie
orazioni de' suoi prelati retoricanti. E così il Bernini,
già di sua natura spirito ardente e sensuale, non seppe
in miglior modo raffigurare la Santa spagnola nell'estasi
divina, che circondandola di ima bellezza pagana e di un fascino
di dolore voluttuoso.
Ella si dissolve nel fuoco, nelle lacrime, e aspetta lo sposo
divino, assorta nella febbre di passione dell'estasi gaudiosa.
L'angiolo sorridente le appare, mostrando di volerla ferire
con lo strale dell'amor divino, a somiglianza di certi Amori,
che nelle più pure figurazioni del Quattrocento appaiono
librati su le teste delle fanciulle gentili. La composizione
non rende la rudezza della materia, sì bene, nelle
grandi masse di chiaroscuri e di penombre, la macchia vigorosa
di una tela superba.
E infatti nel gruppo è una morbidezza veramente mirabile
: il marmo bianco si apre, si piega, si torce, prende un'anima
di cosa viva e finge la carne sana dell'angelico fanciullo,
e quella delicata, piena di languore, della bella estatica
; e finge la lana opaca del saio di lei e la seta finissima
del velo dell'angiolo e i capelli sottili, filati, e le ali
piumate, soffici come bambagia. Lo scalpello passò
su quel marmo come un pennello, macchiando con furia le principali
masse d' ombra e poi strisciando su le carni con una carezza
gentile a renderle levigate e polite, insinuandosi fra le
pieghe ampie della veste talare, tormentando le piegoline
sottili del velo serico, battendo su le nubi ad arrotondarne
le masse.
Le nubi hanno apparenza rocciosa, e sopra esse sorge il nunzio
del Paradiso, civettuolo nella mimica efficace, ma forse troppo
adulto, il quale con la mano delicata tocca nobilmente il
saio della Santa. Il velo leggero, adorno di nastri svolazzanti,
gli scende dall'omero sinistro, e gli cinge la vita, attorto
in piegoline spirali. La vezzosa testolina, ricca di sottili
capelli ondulati, si piega un poco a manca nell'atto grazioso,
e il sorriso franco e aperto illumina il volto intelligente.
La bella resupina, giace avvolta nel saio lanoso, ohe si piega
e si ripiega nascondendo le forme del corpo adagiate nel languore,
in un modo così pesante, con angoli così taglienti
e rigidi, che ha l' apparenza d' un panno bagnato. Una mano
deliziosamente morbida pende abbandonata in una stanchezza
sonnolente, e in essa traspare il gioco dei muscoli sottili
e una certa espressione di grazia. Il volto, incorniciato
dal panno monacale, è cosa in verità idealmente
delicata : la fronte sembra aspersa d' un sudore freddo; gli
occhi socchiusi sotto l'arco ampio delle sopracciglia hanno
un baleno di luce tra le ciglia lunghe, e un lividore di malata
gli accerchia ; il naso è sottile, affilato, e la bocca
semiaperta, dagli angoli abbassati nel piacere intenso, ha
una espressione profonda, indimenticabile. I piedini pendono
nel vuoto delicati come foglie morte da un albero, e, nell'abbandono
pieno di languore, la bella figura, che aspira a gaudii lontani
e inenarrabili, nella sua voluttà profana sembra quasi
arsa da un soffio di fiamma.
È questo uno de' migliori lavori della seconda maniera
dello scultore, « opera di tutta bellezza », come
la chiama un antico scrittore, e il Bernini stesso soleva
dire esser questa la men cattiva cosa eh'egli avesse fatto.
Monsignor Pietro Filippo, figliuolo dell'artefice, ne trasse
la inspirazione per il seguente madrigale :
Un si dolce languire.
Esser dovea immortale,
Ma perché duol non sale
Al Cospetto Divino,
In questo sasso l' eternò il Bernino.
STANISLAO FRASCHETTI - IL BERNINI - LA SUA VITA, LA SUA OPERA, IL SUO TEMPO - Clerico Hoepli - Milano - 1900