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CHIESA di SAN CARLO alle 4 FONTANE

CHIESA di SAN CARLO alle 4 FONTANE
CHIESA di SAN CARLO alle 4 FONTANE

Via del Quirinale, 23, 00187 Roma, Italia

Orari di apertura:
Lunedì - Sabato : 10.00 - 13.00 / Pomeriggio: Chiuso
Domenica: 12.00-13.00 / Pomeriggio: Chiuso (Messa alle 11)

L’occasione si presentò al Borromini nel 1634, quando il procuratore generale dei trinitari scalzi spagnoli gli commissionò la costruzione del monastero di San Carlo alle Quattro Fontane, distante circa duecento metri dal Palazzo Barberini. Borromini costruí prima il dormitorio, il refettorio (ora sacrestia) e i chiostri5 e lo schema dimostrò che egli era un maestro nel razionale sfruttamento delle limitate possibilità offerte da quel terreno piccolo e tagliato irregolarmente. Nel 1638 fu posta la prima pietra della vera e propria chiesetta che, ad eccezione della facciata, fu finita nel maggio del 1641 e consacrata nel 1646. Subito dopo la chiesa dei Santi Martina e Luca del Cortona, eretta durante gli stessi anni, deve essere considerata uno degli «incunabuli» del barocco romano e merita la piú rigorosa attenzione. I chiostri, una struttura di mirabile semplicità, contengono elementi che anticipano la «orchestrazione» fondamentale della chiesa, quale l’anello, di grande effetto, costituito da colonne disposte ritmicamente a formare un ottagono allungato, il cornicione uniforme che lega insieme le colonne, e la sostituzione degli angoli con curvature convesse per impedire che avvengano interruzioni nella continuità del movimento. Numerosi progetti, che si trovano all’Albertina di Vienna, sono sempre stati attribuiti erroneamente – secondo le nostre conoscenze attuali – alla progettazione della chiesa, dopo che E. Hempel li pubblicò nel 19246. La concezione geometrica del progetto definitivo è uno schema a diamante di due triangoli equilateri con base comune lungo l’asse trasversale dell’edificio; il perimetro ondulato della pianta segue questo disegno geometrico romboidale con grande precisione.

È della piú grande importanza rendersi conto che in San Carlo e nelle costruzioni posteriori, Borromini basò i suoi disegni su unità geometriche. Rinnegando il principio classico di progettare in termini di moduli, cioè in termini della moltiplicazione e divisione di una unità aritmetica di base (di solito il diametro della colonna), Borromini rinunciò, veramente, alla posizione centrale dell’architettura antropomorfica. Per chiarire la differenza di procedimento, si potrebbe affermare, forse con troppa sottigliezza, che nel primo caso la pianta complessiva e le sue divisioni sono sviluppate aggiungendo modulo a modulo e nel secondo dividendo una configurazione geometrica coerente in sottounità geometriche. Il sistema di pianificazione geometrica del Borromini era sostanzialmente medievale, e ci si domanda quanto della tradizione del vecchio muratore egli aveva assorbito prima di andare a Roma. Per centinaia di anni la Lombardia era stata la culla dei muratori italiani ed è molto probabile che nei cantieri dei muratori le tecniche edilizie medievali si trasmettessero di generazione in generazione. Il fatto che il Borromini rimanesse ostinatamente attaccato alla regola della triangolazione sembra confermare tale ipotesi. Nel progetto di San Carlo, Borromini dà straordinaria importanza all’elemento scultoreo delle colonne. Esse sono raggruppate per quattro con piú larghi intervalli sull’asse longitudinale e trasversale. Mentre le triadi di intercolunni ondeggianti lungo le diagonali sono unificate dal tipo di trattamento del muro – nicchie e modanature continue – le pitture scure con cornici dorate nelle assi principali sembrano creare cesure ricche di effetto. Cosí, partendo dall’intercolunnio d’entrata, esiste un ritmo del seguente ordine: A/b c b/A’/b c b/A/ecc. Ma questo, evidentemente non è del tutto vero. Un ritmo differente viene creato dagli archi alti e dai frontoni segmentati sopra le pitture. Questi elementi sembrano collegare ogni gruppo di tre intercolunni sugli assi principali. La lettura, di nuovo dall’intercolunnio d’entrata, sarebbe quindi: /b A b/c/b A’b/c/b A b/ecc.

Dove sono allora le vere cesure in questo edificio? Nelle triadi di intercolunni che si sovrappongono c’è certamente una indicazione della complessità manierista. Comunque, invece di rafforzare l’inerente situazione di conflitto, come avrebbero fatto i manieristi, Borromini la neutralizzò con due espedienti: primo, la robusta trabeazione serve, nonostante il suo movimento, da salda barriera orizzontale che l’occhio segue facilmente e ininterrottamente tutto intorno al perimetro della chiesa; e, secondo, le colonne che per loro stessa natura non hanno direzione, possono essere viste come una accentuazione continua delle pareti ondulate. È appunto la massa predominante di colonne entro la piccola area di questa chiesa che aiuta ad unificarne la forma complessa. Le triadi che si sovrappongono possono essere considerate come il «ritmo di fondo» che crea quell’instancabile ricchezza e fascino della disposizione; o, per usare una similitudine, si possono paragonare all’ordito e alla trama della materia del muro. In termini musicali tutta la disposizione può essere messa a confronto con la struttura di una fuga. Che tipo di cupola si poteva erigere sopra il corpo ondulato della chiesa? Collocare la volta direttamente su di esso, secondo il noto metodo per gli edifici a pianta circolare e ovale (tipo Pantheon), sarebbe stata una possibilità che Borromini però escluse a questo stadio di sviluppo. Invece egli inserí un’area di transizione con pennacchi che gli consentivano di disegnare una cupola ovale di forma curvilinea continua. Egli usò, in altre parole, il mezzo di transizione necessario nelle piante con incroci quadrati o rettangolari. I quattro intercolunni sotto i pennacchi («c») adempiono quindi la funzione dei pilastri negli incroci delle piante a croce greca. E, in effetti, nella zona dei pennacchi Borromini incorporò un interessante riferimento alle braccia della croce. Le basse nicchie trasversali come pure la piú profonda entrata e i recessi degli altari sono decorati con cassettoni che diminuiscono rapidamente di dimensioni e dànno l’idea in teoria non solo di una profondità maggiore di quella reale, ma anche contengono un accenno illusionista ai bracci della croce greca. Ma questo sofisticato espediente voleva avere un effetto piú concettuale che visivo. Sopra i pennacchi c’è il robusto anello sul quale poggia la cupola ovale. La cupola stessa è decorata con un labirinto di cassettoni profondamente incisi di forma ottagonale, esagonale e a croce.

Essi producono l’impressione movimentata di un favo e la cristallina limpidezza di queste semplici forme geometriche è tanto lontana sia dal tipo classico dei cassettoni negli edifici del Bernini quanto da quelli lisci e curvilinei del Cortona. I cassettoni diminuiscono notevolmente di dimensione verso la lanterna, cosicché anche qui un espediente illusionista è stato inserito nel disegno. La luce entra non solo dall’alto attraverso la lanterna, ma anche dal basso attraverso finestre poste nei riquadri dei cassettoni, in parte nascoste alla vista dietro all’anello ornamentale finemente cesellato di foglie stilizzate che corona il cornicione. L’idea di queste finestre si può far risalire a una sistemazione simile, ma tipicamente manierista, in una chiesa ovale pubblicata dal Serlio nel suo V libro. Cosí la cupola nel suo splendido biancore e la sua luce uniforme senza profonde ombre sembra librarsi immaterialmente sopra le forme massicce e compatte dello spazio in cui il visitatore si muove. Borromini conciliò in questa chiesa tre differenti tipi di struttura: la zona piú bassa ondulata, la cui origine si trova in piante tardoantiche come il salone a cupola della piazza d’oro nella Villa Adriana presso Tivoli; la zona intermedia dei pennacchi che deriva dalla pianta a croce greca; e la cupola ovale che, secondo la tradizione, dovrebbe ergersi su una pianta della stessa forma. Oggidí è difficile valutare in pieno l’audacia e la libertà nel maneggiare tre strutture genericamente diverse in modo tale che esse appaiano fuse in un insieme infinitamente suggestivo. Con questo ardito passo Borromini aprí orizzonti completamente nuovi che furono ulteriormente esplorati piú avanti nel secolo in Piemonte e nell’Europa settentrionale piuttosto che a Roma. Il carattere straordinario della creazione del Borromini fu riconosciuto immediatamente. Quando la chiesa fu terminata il procuratore generale scrisse che l’edificio era «cosí raro al parer di tutti, che pare che non si trova altra simile nello artificioso et capriccioso, raro, et estraordinario in tutto il mondo. Questo testimoniano le diverse nationi, che continuamente come arrivano a Roma solicitano haver il suo disegno: spesse volte siamo solicitati per questo effetto di Alemanni, Fiamenchi, Francesi, Italiani, Spagnoli, et anco li Indiani...» Il rapporto contiene pure un’abile descrizione dell’edificio: «Dappertutto – esso dice – è sistemato in modo che una parte integra l’altra e lo spettatore è stimolato a lasciar correre l’occhio incessantemente».

La facciata non fu eretta durante il primo periodo della costruzione. Fu l’ultimo lavoro del Borromini, iniziato nel 1665 e completato nel 1667, cosí che la decorazione scultorea fu finita solo nel 1682. Per quanto l’intera carriera del Borromini come architetto sia compresa fra la costruzione della chiesa e quella della facciata, l’esame della seconda non può essere separato da quello della prima. Il sistema di articolazione, che combina un ordine piccolo e uno gigantesco, deriva dai palazzi capitolini di Michelangelo e dalla facciata di San Pietro dove il Borromini aveva iniziato a lavorare come «scalpellino » quasi cinquant’anni prima. Ma egli usò questo sistema michelangiolesco in un modo completamente nuovo. Ripetendolo in due registri di importanza quasi uguale, egli operò contro lo spirito in cui il sistema era stato inventato, cioè di unificare una facciata in tutta la sua altezza. In piú, questa ripetizione voluta era destinata a esprimere un concetto specifico e altamente originale; nonostante la coerente articolazione, la fila superiore contiene una quasi completa inversione di quella inferiore. La facciata consiste di tre settori; sotto, i due settori esterni concavi e il settore centrale convesso sono legati insieme dalla robusta, continua e ondulata trabeazione; sopra, i tre settori sono concavi e la trabeazione si svolge in tre segmenti separati. Inoltre il medaglione ovale sorretto da angeli e sovrastato dall’elemento a forma di cipolla annulla l’effetto del cornicione come barriera orizzontale. Sotto, le colonnine dei settori esterni incorniciano un muro con piccole finestre ovali e servono come supporto per nicchie con statue; sopra, le colonnine incorniciano nicchie e sostengono pannelli di muro conchiusi; in altre parole, le parti chiuse e aperte sono state invertite. All’apertura della porta nel settore centrale corrisponde sopra l’elemento «sculturale» e aggettante del «box» ovale in cui è ripreso il movimento convesso della facciata. Infine, invece della nicchia con la figura di san Carlo, la fila superiore ha un medaglione staccato dal muro. Il principio che sta alla base del progetto è quello della diversità e perfino dell’antitesi entro un tema unificante e va notato che lo stesso principio lega la facciata all’interno della chiesa. Infatti la facciata è chiaramente una differente realizzazione dei settori usati per la «strumentalizzazione» dell’interno. La compattezza di questa facciata, con il minimo spazio di muro, fittamente riempito di colonne, sculture e decorazione plastica, che non lascia mai l’occhio posarsi a lungo, è tipica del barocco. Borromini incluse anche un elemento visionario, caratteristico del suo stile tardo. Sopra l’entrata ci sono delle erme che terminano in grandissime, vivaci teste di cherubini, le cui ali formano un arco che protegge la figura di san Carlo Borromeo nella nicchia. Anche in altre parti della facciata realistici dettagli scultorei sostengono forme architettoniche funzionali. Questa strana fusione di architettura e scultura, il cui sviluppo si può seguire per un lungo periodo, è completamente opposto allo stile del Bernini, che non riuscí mai a togliere alla scultura i connotati narrativi e perciò non la sostituí mai all’architettura.

tratto da Rudolf Wittkower - Arte e architettura in Italia. 1600-1750 - Storia dell’arte Einaudi

San Carlo alle 4 Fontane.

In una cantonata della più bella croce di strade, ch'abbia Roma, detta le Quattro fontane, è la chiesa di s. Carlo, che è moderna, fatta con disegno bizzarro dal cav. Borromini, dove abitano li Padri Spagnuoli della ss. Trinità del riscatto.

In questa chiesa è la memoria del sig. card. Gio. Casimiro Denhoff Polacco, ivi sotterrato. Fu già S. E. Inviato del re Gio. III di Pollonia alla sa. me. del Ven. Innocenzio XI per la liberazione di Vienna.

Un Crocifisso con altri Santi nel quadro della prima cappelletta a mano destra, è pittura di Giuseppe Milanese; il quadro nell'altare contiguo è di Gio. Domenico Cerrini Perugino; e la pittura dell'altar maggiore con la ss. Trinità, s. Carlo, ed altri Santi, a olio nel muro, con la Nunziata sopra la porta interna della chiesa, son opere stimate del Mignardi Francese.

La Madonna con Gesù nel quadro della cappelletta, che segue, è pittura del Romanelli: in quello, che segue, è un'altra opera di Gio. Domenico suddetto, fatta da giovane. Nell'altar maggiore era prima un quadro con san Carlo fatto da Orazio Borgiani, ed ora è posta nella libreria.

Non è da lasciar di vedere il sotterraneo, e il bellissimo cortile del convento, che fa stupire che la sua piccolezza, e purità, effetto della gran proporzione, ambedue sforzi dell'ingegno del Borromini.

Testo tratto da: Descrizione delle Pitture, Sculture e Architetture esposte in Roma di Filippo Titi stampato da Marco Pagliarini in Roma MDCCLXIII - Il testo è nel dominio pubblico.

Indice delle Chiese Barocche